Che il movimento cinque stelle sia nel pallone si è capito da tempo. È rimasto senza un leader degno di questo nome. Beppe Grillo è finito nell’auto-spazzatura di una vicenda sulla quale è meglio stendere un velo di pietoso silenzio: si è squalificato a vita entrando nel peggiore dei modi in una incresciosa e gravissima situazione che ha per protagonista il figlio, gettando manciate di merda sulla presunta vittima a preventiva discolpa dei presunti colpevoli: il più brutto garantismo messo in opera da un giustizialista spinto.
Sono da sempre stato convinto che il M5S consistesse in Grillo e niente più: finito lui è finito anche il movimento da lui letteralmente inventato e malamente gestito. Considero un colpo di coda l’invenzione di un nuovo leader individuato frettolosamente e disperatamente in Giuseppe Conte: non ha il carisma e non ha la visione politica di un leader. Mi sembra solo un dignitoso commissario liquidatore di un’azienda politica in fallimento. Anche con tutte le migliori intenzioni non può ricuperare una situazione irrimediabilmente compromessa: non ci sono idee, non c’è una politica, non c’è un minimo di compattezza, non c’è classe dirigente, soprattutto non ci sono più i voti.
Stupisce l’insistenza con cui Giuseppe Conte si accanisce terapeuticamente sul movimento somministrandogli dosi da cavallo di “raggismo” scaduto, inefficace e controindicato. Non capisco l’intestardirsi nella riproposizione di una candidatura rivelatasi sbagliata fin dall’inizio o forse addirittura prima dell’inizio. Posso comprendere la volontà di attaccarsi alla ciambella piddina: quando uno sta per affogare si attacca dove può. Ma volere imporre le regole per un salvataggio (quasi) impossibile mi sembra assurdo.
Non intendo colpevolizzare Virginia Raggi per tutti i mali che opprimono da molto tempo la vita della capitale italiana, ma nemmeno beatificarla sull’altare della salvezza pentastellata. Credo che il partito democratico sia perfettamente consapevole delle gravissime difficoltà in cui versa il M5S e che abbia non pochi dubbi e perplessità sulla stipula di alleanze con tale partito ormai senza capo e senza coda. Giuseppe Conte non può permettersi il lusso di imporre niente, figuriamoci se può lanciare degli ultimatum sul nome di Virginia Raggi. Se intende buttare all’aria tutto, ce la sta facendo.
Se la Lega poteva mai essere una costola impazzita della sinistra (lo teorizzava, non senza qualche seria motivazione, un politico di razza come Massimo D’Alema), il M5S non può essere considerato il figliol prodigo della sinistra. Per di più un figlio pieno di pretese che osa porre condizioni inaccettabili per l’eventuale ritorno a casa. Forse Conte vuole difendere una dignità irrimediabilmente perduta e anziché varcare la soglia si perde a gironzolare intorno a casa accampando assurde pretese. Come si suole dire, la deve bere da botte! Non può permettersi il lusso di fare lo schizzinoso.
Non deve essere facile trattare uno straccio di alleanza con Enrico Letta: forse Conte temerà che possa rivalersi su di lui con un “Giuseppi stai sereno” di renziana memoria. Deve però avere l’umiltà (imponendola anche ai galletti spennacchiati del movimento) di pagare alti prezzi, perché il PD, pur con tutti i limiti che evidenzia, mantiene un minimo di capacità nel trovare personaggi politicamente accettabili per ricoprire il ruolo di sindaco nelle grandi città. Nel baseball esistono le battute di sacrificio e credo che il M5S, se vuole arrivare a casa-base, ne dovrà fare parecchie. Tanto per cominciare, mettendo educatamente da parte Virginia Raggi, che è un po’ il simbolo della presuntuosa incapacità di gestire il potere da parte dei grillini, anche se forse d’ora in poi si chiameranno contini o contani come dir si voglia.