L’arresto in Francia dei terroristi latitanti mi induce a parecchie dolorose riflessioni che (s)coprono immediatamente la superficiale soddisfazione (?) per la consegna alle patrie galere di persone colpevoli di gravi delitti seppure a sfondo politico. A costo di essere frainteso le riporto di seguito in modo sconclusionato, ma emozionato e sofferto. Chiedo scusa se involontariamente finirò con l’urtare qualche sensibilità, ma sono convinto che i medici pietosi facciano puzzolenti anche le ferite più antiche. Chiarisco in premessa, se mai ce ne fosse bisogno, che ho sempre respinto e respingo categoricamente ogni e qualsiasi tipo di violenza e che il mio impegno politico si è sempre svolto in senso democratico e pacifico. Nessuna indulgenza verso chi si è macchiato di reati compiuti sulla base di ideologie politiche, ma all’invettiva fine a se stessa preferisco lo sforzo della riflessione.
Parto dalla dottrina, che prende il nome del presidente socialista francese Francois Mitterand ed era diretta a non concedere l’estradizione a persone imputate o condannate, in particolare italiani, ricercati per «atti di natura violenta ma d’ispirazione politica», contro qualunque Stato, purché non diretti contro lo Stato francese, qualora i loro autori avessero rinunciato a ogni forma di violenza politica, concedendo di fatto un diritto d’asilo a ricercati stranieri che in quel periodo si rifugiarono in Francia.
Sostanzialmente, il consiglio dei ministri francese il 10 novembre 1982, aveva già adottato un’analoga linea di prassi, prima dell’enunciazione della dottrina Mitterrand del 1985: «Non sarà tenuto conto della natura politica dell’infrazione, l’estradizione sarà concessa in linea di principio nei casi in cui siano stati commessi […] «atti criminali (rapimento di ostaggi, omicidi, violenze che abbiano provocato ferite gravi o la morte, ecc.) di natura tale che il fine politico addotto sia insufficiente a giustificare il ricorso a mezzi inaccettabili».
Questa prassi era basata su dichiarazioni orali di Mitterrand, e – secondo vari giuristi – si poneva in contrasto con le obbligazioni internazionali della Francia derivanti dalla vigenza di svariati trattati. Nel caso di rifugiati italiani, tale prassi veniva giustificata con una presunta “non conformità” della legislazione italiana agli standard europei, soprattutto per quanto concerneva le leggi speciali, l’uso della carcerazione preventiva e il rapporto con i collaboratori di giustizia.
La cosiddetta dottrina Mitterand non era basata su principi peregrini anche se era molto ardita e si è prestata più a umiliare le vittime che a redimere i colpevoli. Era, in un certo senso, la riedizione riveduta, ampliata e scorretta dell’amnistia togliattiana, che fu un provvedimento di condono delle pene proposto alla fine della seconda guerra mondiale in Italia dal Ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti, approvato dal governo italiano. L’amnistia comprendeva i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi ivi compreso il concorso in omicidio, pene allora punibili fino ad un massimo di cinque anni, i reati commessi al Sud dopo l’8 settembre 1943 ed i reati commessi al Centro e al Nord dopo l’inizio dell’occupazione militare Alleata ed aveva efficacia per i reati commessi a tutto il giorno 18 giugno 1946. Lo scopo era la pacificazione nazionale dopo gli anni della guerra civile, ma vi furono polemiche sulla sua estensione, tanto che il 2 luglio 1946 Togliatti, con l’emanazione della circolare n. 9796/110, raccomandò interpretazioni restrittive nella concessione del beneficio.
Il limite fondamentale di quell’indirizzo politico francese era soprattutto l’intromissione surrettizia nell’amministrazione della giustizia italiana: l’Italia veniva cioè trattata come uno Stato anti-democratico i cui oppositori violenti meritavano almeno una certa comprensione. Non è un caso infatti che questo strano assetto sia stato clamorosamente rimesso in discussione in un momento in cui i rapporti con i cugini francesi hanno preso una piega più solidaristica e meno conflittuale rispetto al passato più o meno recente.
Mitterand non era un cretino (di politici simili ce ne vorrebbero e il suo aperturismo sociale, pur con tutta la cautela del caso, lo preferisco all’ondivago incedere del pragmatismo macroniano), ma varò una “dottrina” che finì col fare da sponsor ad un pentitismo di facciata (troppo comodo ed equivoco per essere vero), che si contrapponeva al ravvedimento operoso del pentitismo all’italiana (utilitaristico, opportunistico e sostanzialmente ingiusto). Due pentitismi a confronto, che hanno creato più danni che benefici a tutti i livelli.
Ho tentato di contestualizzare storicamente il discorso togliendolo dalle secche dell’abbasso Mitterand e dell’evviva Macron e della mera epidermica soddisfazione (illusione) di poter ammanettare la storia e di sotterrare un passato inquietante i cui fantasmi ideologici rischiano ancor oggi di ritornare a galla. Lasciamo che ognuno paghi i conti con la propria coscienza e con la giustizia, il resto è fuffa revanscista.
La seconda riflessione infatti riguarda le farneticanti analisi del terrorismo brigatista. Siamo proprio sicuri che quando i brigatisti parlavano e scrivevano di Stato imperialista delle multinazionali (SIM) non avessero qualche ragione? L’affaire vaccini anticovid è tutto lì a dimostrare come le multinazionali del farmaco, dietro il paravento della corsa scientifica e salvifica, abbiano imbastito una colossale speculazione alle spalle di un imbelle potere politico mondiale, europeo e nazionale con tutte le disastrose conseguenze del caso. Qualcuno sostiene che il comunismo sia un cristianesimo impazzito, io aggiungo che il brigatismo rosso, per quanto di suo e non di aggiunto, era una giustizia sociale impazzita: la medicina e la chirurgia sbagliate aggravano la malattia e/o ammazzano il malato. Tuttavia non pensiamo che la sconfitta del terrorismo rosso (per quello nero occorrerebbero altri discorsi, perché non tendeva a cambiare la società ma a istituzionalizzarne i mali) ci abbia consegnato una società migliore. Forse ha solo buttato via l’acqua sporca, mentre il bambino resta sporco. La nostra società è e rimane profondamente ingiusta e ce ne stiamo accorgendo: il covid è un brigatismo globale e totale, che ci sta mettendo letteralmente in ginocchio.
Terza riflessione. Sono convinto che i brigatisti rossi con tutto l’antipasto esplosivo della cosiddetta sinistra movimentista ed extraparlamentare (ricordo l’analisi di don Raffaele Dagnino davanti alla manifestazione nazionale di Lotta continua tenuta a Parma a metà degli anni settanta: c’è qualcosa di vero nel grido di protesta di questi giovani…) avessero un fondamento di sovversiva “buona fede”, sfociato in una follia autoreferenziale e violenta, come tale da condannare senza esitazione (qualcuno purtroppo esitò…), strumentalizzata ideologicamente (gli opposti estremismi…) e manovrata internazionalmente (la guerra fredda ci guazzò dentro…). Forse lo stesso Moro, durante la sua prigionia, dopo essere stato l’unico politico a capire la portata della contestazione giovanile, capì cosa effettivamente bollisse nella pentola terroristica, capì di essere vittima di un gioco molto più articolato e complesso e tentò, non tanto di salvare la propria pelle, ma di allargare e approfondire il discorso dell’antiterrorismo. Non ci riuscì forse solo per la testardaggine di Mario Moretti e la presunzione della politica ufficiale: un leader assurdo per un movimento paradossale e tanti fieri difensori per una società che non voleva ammettere i propri difetti.
Quarta riflessione. Non accetto i trionfalismi di una destra anti-democratica che vuole sciacquare nella Senna i propri panni sporchi di brigatismo nero e di relativo stragismo. I peccati storici di questa destra le dovrebbero impedire di scagliare ogni e qualsiasi pietra. Anche la sinistra ha i suoi peccati (i compagni che sbagliano…), tutti ne abbiamo (siamo solo capaci di difendere lo status quo…) e quindi non sentiamoci a posto in coscienza dopo avere incarcerato gli epigoni viventi di una violenza politica, che ci dovrebbe interpellare più che scandalizzare. Ho apprezzato la reazione composta dei famigliari delle vittime (nessun cedimento al senso di vendetta) molto più dello stucchevole e stereotipato omaggio delle autorità italiane (sapeva di tardivo e inopinato perbenismo).