È sinceramente penosa e imbarazzante la vicenda che vede Beppe Grillo nel ruolo di padre accanitamente e sconsideratamente impegnato nella difesa del figlio accusato di un gran brutto reato. E se facessimo tutti un po’ di pur indignato silenzio intorno a questo fatto? Se ne stanno dicendo e scrivendo di tutti i colori, senza rispetto per le presunte vittime e gli eventuali colpevoli, senza alcun ritegno in attesa dei risultati giudiziari, senza comprensione per il dramma di un padre e senza pudore da parte di quel padre che, peraltro, non si comprende se sia più intento a difendere, nel peggiore e più squallido dei modi, il proprio buon nome o l’innocenza del figlio.
Beppe Grillo è un attaccante e quindi non riesce a tacere: utilizza sempre e comunque la cattiveria, tenendo fede ad un cliché costruito e vincente fino ad un certo momento, ma ormai in fase piuttosto discendente. Ha ragione quando vuole smascherare l’evidente tentativo di far ricadere sul padre le eventuali colpe del figlio. Ha ragione quando rivendica il diritto del figlio ad essere considerato innocente fino a condanna definitiva. Ha ragione quando esterna il suo dramma di padre incredulo e combattuto fra la verità e l’amore per il figlio. Ha torto quando scarica le eventuali colpe sull’eventuale vittima, quando vomita offese a destra e manca, quando sparla sul piano giuridico, quando vaneggia dal punto di vista psicologico e sociale, quando sputa veleno dopo averne sparso parecchio per parecchio tempo, quando spara autentiche cazzate inopportunamente amplificate dai media.
Agli errori di Grillo si accompagnano, anche per storica e traviante spinta grillina, gli errori di una società ciarliera, che vive di chiacchiere maligne e di polemiche assurde, di una politica che non rispetta i limiti di velocità a livello di strumentalizzazione lanciando manciate di fango contro gli avversari e portando il confronto dalle idee ai dispetti, di una impostazione mediatica che si butta a capofitto sulle più delicate situazioni personali e famigliari, di una giustizia lenta che lascia macerare gli atroci dubbi verso i protagonisti delle più squallide vicende, di una cultura che mette nel tritacarne manicheo tutto e tutti facendone un polpettone dal sapore equivoco e vomitevole, illudendosi di far progredire la società con le gogne mediatiche e con le ribalte pseudo-dialogiche.
Chi esce male da questa situazione? La ragazza che chiede giustizia e viene messa sul banco degli imputati: la confusione infatti non serve a fare giustizia ma a beffeggiarla con un tremendo gioco delle parti. Il ragazzo che chiede di poter difendersi e si trova spiazzato da un padre scomodo e impiccione: vittima del peggiore dei paternalismi. La magistratura che dorme sonni tranquilli a latere di quelli inquieti delle persone in attesa di giudizio: serve solo a sollecitare gli assetati di sangue e a mortificare gli affamati di verità. Le vittime della violenza sessuale che vengono messe alla berlina: si tratta del solito maschilista scaricabarile.
A Beppe Grillo concedo tutte le attenuanti del caso (più che di essere capito ha diritto ad essere compatito), ma voglio ricordare che con la cattiveria e l’arroganza non si va da nessuna parte, anche perché, prima o poi, si ritorcono, a torto o a ragione, su chi le pratica. È riuscito a portare la politica sul suo palcoscenico dello sberleffo, ma, per l’amor di Dio, non tenti di portarci anche i suoi problemi personali e famigliari. Non scherziamo col fuoco! Si taccia innanzitutto per il bene suo e di suo figlio. Trovi un rigurgito di riservatezza e di misura.
E tutti facciano un lungo minuto di rispettoso silenzio. “Un bel tacer non fu mai scritto” è un noto proverbio italiano il cui significato è: “la bellezza del saper tacere al momento opportuno non è mai stata lodata a sufficienza”. Questo proverbiale modo di dire è da molti attribuito a Dante Alighieri. Ammesso e non concesso che sia così, visto che ne stiamo celebrando l’anniversario dei 700 anni dalla morte, proviamo a celebrarlo un po’ meno e a imitarlo un po’ di più. Ne vale la pena.