Anche il virus sanremese, che peraltro circola da anni colpendo milioni di persone, ha la sua “variante Ibrahimoviciana”, che lo sta rendendo ancor più contagioso. Il festival di Sanremo è da sempre non solo e non tanto un evento musicale, ma un fenomeno di costume, se vogliamo, una sorta di potente baraccone, di avvolgente circo, che attira per settimane l’attenzione più col gossip e con le sfilate di vip che con le canzoni (sono ormai ridotte a pura tappezzeria).
Premesso che il calciatore Zlatan Ibrahimovic è libero di fare quel che vuole, considerato che il permesso per questa danarosa incursione sanremese glielo ha concesso il suo datore di lavoro, vale a dire l’Associazione Calcio Milan (contenti loro…), accertato che i più importanti e quotati giocatori di calcio sono ormai diventati a tutti gli effetti delle star dello spettacolo, ci può stare che un professionista poco serio lasci i suoi impegni contrattuali per dedicarsi ad altro.
Ho sentito autorevoli e opportunisti giornalisti e commentatori fare i salti mortali etici e calcistici per giustificare una vicenda che di etico non ha proprio nulla e di calcistico ancor meno. La nostra società va così: tutti, chi più chi meno, si divertono a rubare mestiere e proscenio agli altri in mezzo a fiumi di denaro e di applausi (fino a quando non lo so). Se il mondo del calcio avesse delle regole serie Ibrahimovic, dopo il disgustoso episodio della lite furibonda con l’avversario interista Romelu Lukaku, sarebbe stato squalificato per alcuni mesi e allora sarebbe stato ancor più libero di partecipare al Festival di Sanremo. Se il calcio fosse una professione seria non dovrebbe ammettere clamorose distrazioni canore (?), ma, considerata anche l’entità degli ingaggi, dovrebbe richiedere impegno e dedizione totali. Siccome però non è una cosa seria, tutto è possibile ed ammissibile, compreso il fatto che prezzolati cronisti Rai facciano i difensori d’ufficio dell’indifendibile passeggiatore (e non palleggiatore). D’altra parte guai a disturbare il sistema, guai a soffiare sul castello di carte, potrebbe crollare tutto da un momento all’altro.
Mio padre, così come era obiettivo e comprensivo in generale, per quanto concerne il calcio sapeva essere intransigente verso le scorrettezze del pubblico, ma anche dei giocatori. Soprattutto pretendeva molto dai grandi campioni superpagati, arrivava alla paradossale esigenza del gol ad ogni tiro in porta per un fuoriclasse come Zico (col da la ghirlanda) incoronato re di Udine al suo arrivo nella città friulana: cose da pazzi! Ma non solo con Zico anche con altri cosiddetti fuoriclasse: mio padre non accettava gli ingaggi miliardari, ne avvertiva l’assurdità prima dell’ingiustizia, faceva finta di scandalizzarsi, ma in realtà coglieva le congenite contraddizioni di un sistema sbagliato. Mi riferisco al sistema calcio ma anche al sistema più in generale. E capisco mio padre che non era capace, per sua stessa ammissione, di farsi pagare per il giusto, che non osava farsi dare del “lei” dai garzoni, che aveva uno spiccato senso del dovere e non concepiva, nella sua semplicità di vita, questi lauti guadagni. Sogghignava di fronte agli scandalosi ingaggi: “Mo co’ nin farani äd tutt chi sòld li, magnarani tri galètt al di?”. Scherzi a parte mio padre era portatore di un’etica del dovere, del servizio e reagiva, alla sua maniera, alle incongruenze clamorose della società.
Amava mettere a confronto il fanatismo delle folle di fronte ai divi dello sport e dello spettacolo con l’indifferenza o, peggio, l’irrisione verso uomini di scienza o di cultura. Diceva: “Se a Pärma a véna Sofia Loren i corron tutti, i s’ mason par piciär il man, sa gnìss a Pärma Fleming i gh’ scorèzon adrè”. E con Ibrahimovic c’è ben meno di Sophia Loren, da tutti i punti di vista.
Ma torniamo a Sanremo: mi rifiuto di cadere in questa trappola, in questo spettacolo ingannevole, giunto ormai al limite della Tv spazzatura. Da tempo immemorabile non seguo questa assurda kermesse, quest’anno ho un motivo in più per disertarla: la presenza di Ibrahimovic. Fosse solo questione del festival di Sanremo…Il problema è anche il calcio, il più bel gioco del mondo, che sta cadendo così in basso. Me lo stanno rovinando. Pazienza, vorrà dire che mi consolerò col Parma, che con ogni probabilità retrocederà in serie B, laddove, forse, c’è un po’ meno bagarre affaristica e divistica e un po’ più calcio giocato.
Torno coi ricordi al tempo in cui il Parma era stato promosso, per la prima volta, in serie A. Dopo un campionato trascinante ed entusiasmante, finalmente salivamo nell’Olimpo: da parte mia non ripudiavo gli anni difficili, quelli gloriosi e sofferti. La partita d’esordio in serie A ci metteva in soggezione davanti alla Juventus ed un pubblico strabocchevole si preparava a varcare i cancelli del “Tardini” ampliato, ristrutturato, messo a nuovo anche se non ancora pronto per un ruolo diverso. Si respirava un’aria di attesa, ma anche di confusione e di disorganizzazione da esordio, tale da creare una ressa pazzesca all’ingresso ed una lunga coda sotto un sole ancora cocente, in un clima nuovo a cui non si era abituati. Mi venne spontanea una battuta, molto meno bella rispetto a quelle che elargiva mio padre con la sua solita nonchalance, che tuttavia risultò abbastanza buona e fu accolta con una risata generale: “Mo se stäva bén quand al Pärma l’era in serie B o C. A s’ gnäva al stadio a l’ultim minud, sensa còvvi e sensa confuzjón. Quäzi, quäzi, tornaris indrè”.