“Mi propongo come segretario elevato del Pd”. Così in un lungo video sul suo blog Beppe Grillo si rivolge al Partito democratico, all’indomani delle dimissioni del segretario Nicola Zingaretti. Una scherzosa provocazione sulla sua candidatura alla guida dei dem: “Mi iscrivo al partito e portiamo avanti insieme un grande progetto comune. Tutti i partiti mettano 2050 nel simbolo”.
Molto secca e dura è stata la reazione del senatore dem Tommaso Nannicini, che su Twitter ha risposto: “Caro Beppe Grillo, per candidarsi alla guida del Pd servono due requisiti di base. 1) Iscriversi al Pd. 2) Rimangiarsi i Vaffa contro una comunità che ha una voglia matta di buona politica, non di avanspettacolo di serie C”. Troppo banale però. Non so infatti se Beppe Grillo debba essere considerato un artista o un politico. Provo comunque a prenderlo sul serio.
Nel primo caso gli risponderei con le seguenti auliche parole: “Troppo spesso la bellezza che viene propagandata è illusoria e mendace, superficiale e abbagliante fino allo stordimento e, invece di far uscire gli uomini da sé e aprirli ad orizzonti di vera libertà attirandoli verso l’alto, li imprigiona in se stessi e li rende ancor più schiavi, privi di speranza e di gioia. Si tratta di una seducente ma ipocrita bellezza, che ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di sopraffazione sull’altro e che si trasforma, ben presto, nel suo contrario, assumendo i volti dell’oscenità, della trasgressione o della provocazione fine a se stessa. L’autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé” (Papa Benedetto XVI, Discorso in occasione dell’incontro con gli artisti, 21 Novembre 2009).
Nel secondo caso, consiglierei a Grillo di rifarsi a quello che era il genio della provocazione, Marco Pannella. Anche lui si candidò alla segreteria del partito democratico, ma sotto il suo abito provocatorio c’era un cuore, un’anima, una storia, una cultura, mentre sotto il vestito di Grillo non c’è niente se non un vaffanculo istituzionalizzato e persino doroteizzato. L’arma della provocazione è apprezzabile. Come dice lo scrittore Romain Gary, “la provocazione è la forma di legittima difesa che preferisco”. Però bisogna saperla usare nei dovuti modi e a tempo debito, altrimenti diventa una pura, semplice e ripetitiva barzelletta.
Quanto al vezzo di porre scadenze prospettiche nei loghi, preferisco richiamare le date più significative ed istruttive del passato: meglio agganciarsi al certo che viene dalle lontane battaglie democratiche che puntare sull’incerto che viene dalle pie illusioni del presente. Il 2050 non mi dice niente. Il 1948, anno dell’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, mi ricorda invece che la politica basata sulle idealità è capace di progettare il futuro, mentre quella disancorata dai valori è capace solo di subirlo. Proporrei quindi, in controtendenza, di inserire nel simbolo di un partito serio, il 1948: una sorta di cartina di tornasole sulla sua attendibilità politica alla luce della storia.
Mio padre, che di provocazioni se ne intendeva parecchio, si fidava del prossimo, ma con una giusta punta di scetticismo. A chi gli forniva un “passaggio” in automobile era solito chiedere: “ Sit bon ad guidar”. Naturalmente l’autista in questione rispondeva quasi risentito: “Mo scherzot?!” E mio padre smorzava sul nascere l’ovvia rimostranza aggiungendo: “Al fag parchè se pò suceda quel, at pos dir dal bagolon”. Siamo anche qui in presenza di piccole/grandi provocazioni, in un rituale scherzoso ma non banale, sempre volte alla presa di coscienza e di responsabilità, propria ed altrui. L’esatto contrario di quanto sta facendo Beppe Grillo.