La confusione regna sovrana. Non si sa se i vaccini ci siano, quali di essi vengano utilizzati, chi li somministri e dove, quale sia l’ordine di precedenza per i vaccinandi. Un autentico ginepraio in cui l’Unione Europea ha purtroppo dimostrato parecchi limiti, stipulando contratti assurdi con l’industria del farmaco: concorrenza più o meno sleale tra le aziende produttrici e gli Stati consumatori. Personalmente ho rinunciato a capirci qualcosa.
Qualcuno grida, con qualche ragione, al definitivo fallimento della politica rispetto all’economia se la prima non riesce a tirare le fila del discorso nemmeno di fronte ad una vera e propria fine degli assetti sistemici mondiali. Qualcuno, con i toni di una ripicca peraltro non destituita di fondamento, impreca contro il baraccone europeo impegnato assurdamente in un folle dirigismo economico, ma incapace di gestire una grave emergenza: dal 2008 sono spariti i tragicomici regolamenti sui calibri dei piselli e le curvature dei cetrioli. Ma su mele, peperoni, pomodori e altri prodotti, i limiti rimangono. Complicando la vita dei produttori e non sempre aiutando i consumatori. Forse la mentalità europea è rimasta la stessa anche se ora non si tratta di mele e pomodori, ma di fialette vaccinali da cui dipende la vita e la morte delle persone.
Qualcuno rianima il sovranismo con i flop vaccinali: se avessimo fatto da soli, non avremmo certamente fatto peggio… Qualcuno impreca contro i burocrati superpagati e superdimensionati, incapaci di elaborare un contratto con un minimo di garanzie per la popolazione in sofferenza. Qualcuno intona il de profundis per l’Europa o almeno per una certa Europa: dopo la pandemia non sarà più la stessa Unione Europea. Forse qualcuno a Bruxelles dovrebbe avere il buongusto di dimettersi e di togliere il disturbo, prima che gli eventi si incarichino di buttare tutto all’aria. Lo dico e lo scrivo da europeista convinto.
C’è chi sostiene che il problema stia nella carenza delle dosi vaccinali a disposizione, c’è chi annota che la questione stia invece nella disorganizzazione a livello logistico e del personale addetto, c’è chi scarica le colpe sull’anarchia regionale rea di aver imbastito un vero e proprio ginepraio vaccinale, c’è chi se la prende con i commissari vocati al fallimento, c’è chi ripiega sul grande Gino Bartali e la sua espressione “gli è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”.
Sull’altro fronte, quello delle mani nude contro il virus, regna altrettanta confusione: chiudere, aprire, socchiudere, riaprire; zona bianca, zona gialla, zona arancione, zona arancione scuro, zona rossa, zona rosa pallido, zona regionale, zona provinciale, zona comunale, etc. etc. Ormai mi rifiuto categoricamente di esaminare la situazione: agirò secondo il mio personale buon senso a costo di beccarmi una multa (vorrei sapere chi controlla e chi ha pagato le sanzioni comminate).
Dopo il primo vero lock down c’era tempo e modo per tentare di fare quattro cosettine (e non sono state nemmeno tentate): potenziare le strutture sanitarie ed il personale addetto (siamo tornati in colpevole emergenza); potenziare e organizzare i trasporti (sono l’anello debole della catena pandemica); organizzare un sistema serio ed articolato di controlli (tutto viene svolto in chiave burocratica ed assai poco incisiva); prevedere un sistema funzionale di somministrazione dei vaccini (siamo ancora in altissimo mare).
È il senno di poi di cui sono piene le fosse? Le fosse sono piene di cadaveri! Il senno purtroppo manca prima e manca poi. Volete una previsione pseudo-politica? Alla fine sarà tutta colpa di Mario Draghi! Doveva fare i miracoli e non ne è stato capace…: «Non voglio promettere nulla che non sia realizzabile». È già molto e grazie comunque per il coraggio di essere entrato in scena dopo le stonature di parecchi cantanti.
Il famoso e simpatico critico musicale Rodolfo Celletti ammetteva di godere, sotto sotto, allorquando i parmigiani spazzolavano qualche mostro sacro del bel canto. Però aggiungeva: «Ho la sensazione che a voi parmigiani piacciano un po’ troppo gli acuti sparati alla viva il parroco…». Sempre di più sembra calzante l’aneddoto che tutti conoscono: il baritono venne accolto da urla e fischi e, rivolgendosi al pubblico lo pregò ironicamente di pazientare ed attendere l’esibizione del tenore. Fischiate me? Sentirete il tenore! Nel nostro caso si potrebbe dire: «Fischiate me? Guardate chi c’era prima di me!».
Il presidente della Repubblica si è messo in fila per sottoporsi alla vaccinazione: aveva un’aria più rassegnata che speranzosa. Forse incarna la stressante delusione degli italiani, che però, tutto sommato, non rinunciano a comportarsi seriamente. Forse vuole essere solo uno di noi, con tutti i dubbi del caso, ma con l’orgoglio di essere italiani ed europei, nonostante tutto.