Ma lasciatelo lavorare!

Oltre al “totodurata” è iniziato anche il “totocelafa” riferito al futuro di Mario Draghi e del suo governo. Se il dibattito parlamentare sulla fiducia è stato sconfortante per l’incapacità di deputati e senatori a mettersi in sintonia con un vero e proprio nuovo corso della politica (salvo solo l’intervento di Graziano Del Rio, un personaggio che meriterebbe un rilievo assai maggiore, ma il Pd preferisce giocherellare all’intergruppo…), il dibattito a livello giornalistico-mediatico punta sul calcolo delle probabilità che Draghi riesca a fare le riforme.

Gli viene concessa, bontà loro, la capacità di gestire l’emergenza (per la verità sarebbe già molto), ma sulle riforme strutturali si prevede la paralisi causata dalle diverse linee politiche dei partiti che lo sostengono o che lo dovrebbero sostenere. Gli esempi sono tanti. Come può fare Marta Cartabia a mettere d’accordo sulla giustizia il garantismo spinto di Forza Italia col giustizialismo identitario del M5S? Come può fare Daniele Franco a riformare il fisco tra le velleità del centro-destra ad abbassare le tasse a tutti e le preoccupazioni sull’equità fiscale della sinistra? Come potrà Patrizio Bianchi riuscire nell’impresa di riformare la scuola, obiettivo mancato storicamente da tutti i suoi, anche validi, predecessori? Come potrà il governo affrontare il gran busillis della protezione del lavoro con l’inevitabile riconversione di imprese sull’orlo del fallimento, inquinanti o comunque insostenibili a livello di mercato e di compatibilità ambientale?

Detta in positivo, per fare riforme serie e profonde occorre una volontà politica larga e forte, che non esiste nell’attuale panorama partitico al di là della salita obbligatoria sul treno di salvezza pubblica lanciato da Mattarella e guidato da Draghi. Il discorso razionalmente non fa una grinza secondo i normali criteri e schemi della politica tradizionale, senonché qualcosa sta cambiando e di questo cambiamento Mario Draghi potrebbe prendere atto o addirittura esserne l’artefice principale.

Innanzitutto la globalizzazione ci impone un ricollocamento generale sulla base degli andamenti economici, sociali ed ambientali del mondo: rimettersi in discussione è diventato obbligatorio uscendo dagli schemi di ogni tipo. Come si dice in edilizia, è più facile ed è meno costoso ricostruire dal nulla che ristrutturare l’esistente. La pandemia, lo si dice in continuazione, se non segna la fine del mondo, comporta almeno (sic!) la fine di questo mondo. Capirete se potrà non andare in crisi lo schema culturale dei grillini, abbarbicati al modernismo della piattaforma Rousseau, quello dei piddini legato ai pasticci pur di evitare il dilagare destrorso, quello di un centro alla continua e disperata ricerca di se stesso, di una destra “schifosa” (a proposito, avete ascoltato l’intervento alla Camera di Giorgia Meloni?), che parla di patria per non parlare dei problemi, etc. etc.

In secondo luogo la politica è sempre più collegata all’esigenza di mettere in campo conoscenze ed esperienze tecnico-professionali: finora era ferma agli ideali, se non alle ideologie, ora deve coniugare i valori, pur irrinunciabili, con la reimpostazione della società tecnologica, informatica, digitale e quant’altro. Si impone la competenza quale criterio selettivo della classe dirigente, quale criterio di giudizio sulle forze politiche e quale presupposto per programmare e gestire lo Stato democratico. Finora tutto avveniva con lo sguardo al passato, ora occorre guardare avanti e chi non sarà in grado di farlo prima o poi cadrà rovinosamente.

Mario Draghi è perfettamente in linea con questi nuovi presupposti strategici ed essendo fuori dalla mischia può avviare qualche processo molto interessante al riguardo: si tratta di una continua provocazione del buon governo. Voglio vedere come faranno i partiti a dire no a riforme razionali, che rispondano alle esigenze di una società in movimento: i giovani e le donne dovrebbero essere gli alleati preferenziali del governo Draghi. Non è un caso che lui abbia calcato la mano sul discorso generazionale che ci impone un cambio di passo.

Certo non sarà facile, ma cosa c’è di facile a questo mondo? Diamogli tempo e modo di provarci seriamente, senza “gufamenti” ante litteram, senza scetticismi di maniera, senza snobistiche pregiudiziali. La gente forse è molto più avanti del Parlamento e dei salotti: un primo miracolo di Mario Draghi!