La guerra dei vaccini

Se è troppo facile e dissacrante paragonare lo scontro fra Giuseppe Conte e Matteo Renzi a quello fra Slatan Ibrahimovic e Romelo Lukaku, molto più calzante è il paragone fra una rissa da cortile senza esclusione di colpi e la vertenza giuridico-diplomatica che si è profilata fra Unione Europea, Regno Unito e aziende produttrici sull’acquisto del vaccino anti-covid, combattuta sul filo di cavilli contrattuali cuciti addosso ai moribondi.

“Renzo abbracciò molto volentieri questo parere; Lucia l’approvò; e Agnese, superba d’averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stia, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; il quale, date e ricevute parole di speranza, uscì dalla parte dell’orto, per non esser veduto da’ ragazzi, che gli correrebber dietro, gridando: lo sposo! lo sposo! Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n’andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”.

Alessandro Manzoni possedeva l’arte della similitudine e quella dei capponi di Renzo rende molto bene l’idea del tempo che stiamo attraversando. La sempre più grave e devastante emergenza ci sta spingendo verso i peggiori egoismi personali e nazionali. È quindi una grande mistificazione della storia quella di chi afferma che quando si viveva in miseria e povertà ci si voleva più bene e si era più disposti all’aiuto reciproco? L’ho sempre sentito dire dagli anziani e me ne ero quasi convinto, senonché…

Papa Francesco con la sua lucida vena pastorale sostiene che dalla pandemia non si esce uguali a prima, ma decisamente migliori o peggiori. Noi, tanto per non sbagliare, ce la stiamo mettendo tutta a peggiorarci. La guerra dei vaccini, che si è scatenata, è la tragica riproposizione storica della similitudine manzoniana di cui sopra.  Le premesse esistevano già, in un certo senso tutto era scritto con la folle corsa alla Brexit, con una Unione Europea molto brava a revisionare i conti dei vari Stati, ma poco incline a perseguire la solidarietà fra i partner, con trumpismo, sovranismo e nazionalismo in agguato dietro l’angolo del mondo in guerra perpetua, con l’ingiustizia fatta sistema a favore dei ricchi sempre più ricchi e dei poveri sempre più disperati.

Mettersi a litigare sulla distribuzione dei vaccini per poi non essere capaci di distribuirli con sollecitudine ed equità è veramente l’apice della follia egoistica che cova comunque dentro di noi. Meriteremmo che alla fine fosse dimostrato che i vaccini non hanno alcuna efficacia (non ci siamo molto lontani): sarebbe la giusta beffa finale di una vergognosa guerra fra poveri. È in atto un vero e proprio sciacallaggio istituzionalizzato e sofisticato seguito dalla cronica incapacità ad affrontare le emergenze, tra cui quella vaccinale è la più clamorosa. Dopo un commissariamento piuttosto inconcludente, puntiamo al riguardo su un nuovo governo: evidentemente è la struttura amministrativa e sanitaria di base che non riesce a mobilitarsi. E se provassimo a incaricare l’esercito? Forse otterremmo due piccioni con una fava: anziché prepararci, sulle orme letterarie di Dino Buzzati, alla guerra contro un nemico immaginario, ci impegneremmo in una guerra che non fa morti, ma salva vite umane.

In guerra ci siamo e stiamo rovistando tra le macerie per trarne qualche misero vantaggio: chi fa affari d’oro con la pandemia, chi specula sulle disgrazie altrui, chi litiga per la spartizione del bottino, chi le tenta tutte per salvarsi anche a costo di far morire qualcun altro. Non scandalizziamoci se qualcuno sta sfruttando le solite raccomandazioni per saltare la fila vaccinale: è solo la colorita e vomitevole punta di un iceberg molto più profondo e allargato, che coinvolge istituzioni pubbliche e private, Stati e persone, politica ed economia, governanti e governati.

Non mi resta che arroccarmi agli insegnamenti famigliari. Sì, perché stiamo arrivando al dunque che si chiama solidarietà, alla regola d’oro di mio padre, il quale combatteva aspramente la grettezza d’animo, la meschinità e la tirchieria. Nelle sue colorite espressioni, ricordo come rifiutasse la logica dell’avaro: «S’a t’ tén sarè la man, a ne t’ cäga in man gnanca ‘na mòsca». Non solo teniamo strette le mani, non solo, come diceva mio zio, le abbiamo di piombo e non riusciamo a toglierle dalle nostre tasche, ma tentiamo disperatamente di metterle nelle tasche altrui, soprattutto di coloro che le hanno vuote e allora caviamo loro anche le braghe.

Sarà qualunquismo? Non posso nascondere che la tentazione di generalizzare tutto ciò che è peraltro generalizzabile è forte. Sarà catastrofismo? Siamo in piena catastrofe umanitaria e sarebbe infantile non ammetterlo apertamente. Sarà disfattismo? Rimane poco da disfare. Un mio carissimo amico, di fronte alle cose storte di questo mondo si chiedeva: “Cosa aspetta il Padre Eterno a distruggerci?”. Forse, dopo averci salvato a caro prezzo, osserva impotente la nostra autodistruzione. Siamo sempre in tempo per ravvederci, anche se, più il tempo passa, e più è difficile.