In prossimità del traguardo draghiano le forze politiche si sono scatenate in un balletto trasformistico per farsi trovare pronte all’appuntamento con l’esigente, imprevisto e distaccato sposo, il quale ha fatto buon viso a cattiva sorte, facendo finta di sposarsele tutte per un motivo o per l’altro.
Celebrato il finto matrimonio, con gli anelli nuziali consistenti in qualche ministero sganciato qua e là, con le promesse del recepimento di qualche novità risaputa, siamo arrivati al viaggio di nozze e le spose, dovendosi mostrare in tutte le loro bellezze, hanno cominciato a svestirsi e sono apparse invece e immediatamente le loro rughe deformanti.
È bastata una spiacevole ordinanza del ministro Speranza, che ha bloccato, improvvisamente ma giustificatamente, la riapertura degli impianti sciistici per scatenare la verve protestataria della Lega in nome degli interessi economici di cui si è fatta da tempo portavoce ante litteram. Ed è stato proprio il leghista ministro del turismo del governo Draghi a innescare la miccia e a fare fuoco, seppure indirettamente, contro la compagine di cui è parte integrante. Della serie al governo e all’opposizione, nel palazzo e in piazza, a favore e contro.
È bastata una stucchevole sbandierata femminista a mandare in crisi il partito democratico, reo di non avere piazzato donne nella sua quota ministeriale. Una buccia di banana? Direi proprio di sì, anche perché i problemi di questo partito sono ben più antichi e profondi. Rimedieranno con le sottosegretarie: xe pezo el tacon del sbrego.
È bastato il solito richiamo della foresta demagogica per spaccare in due Leu: da una parte libertà, dall’altra uguaglianza. In mezzo Roberto Speranza, ministro della salute, che ai mille grattacapi governativi dovrà aggiungere anche la spina nel fianco degli irriducibili sinistrorsi del caso.
È bastato un po’ di dieta ministeriale per mettere in crisi il M5S e far emergere l’inconcludenza grillina, nascosta sotto la farsa della piattaforma Rousseau. Vogliono rivotare on line, vogliono astenersi, vogliono votare contro. Ma facciano pure: da lôr a niént da sén’na…
È bastato il sacrosanto sgarbo al traballante Antonio Tajani, che, dopo aver fatto da penosa stampella a Salvini e Meloni, si è visto giustamente emarginato in un governo dove peraltro avrebbe potuto fare solo il ventriloquo di Draghi nei consessi europei, per creare imbarazzo e qualche mal di pancia in Forza Italia. Ebbene, qualche opportunista ha fiutato l’aria e, anziché riconoscere l’abilità di Silvio Berlusconi e Gianni Letta, ha pensato bene di passare armi e bagagli con gli scissionisti del gruppuscolo “Cambiamo”. Il cavaliere mi sta diventando sempre più simpatico…
Sono alcuni esempi della confusione in cui sono caduti i partiti nel dopo Draghi. È solo l’inizio! Sembrava scoppiata la pace. Quanto durerà la tregua? Il tempo di toccare con mano il bollente coacervo dei problemi veri e di smarcarsi conseguentemente per evitare scottature. Fosse per me, con una tale classe politica, Draghi diventerebbe premier a vita. Invece magari fra un annetto lo faranno presidente della Repubblica: promoveatur ut amoveatur. Dopo di che potranno riprendere le loro squallide manovre partitocratiche. A meno che Sergio Mattarella non resti al suo posto (chi avrà il coraggio di non rinnovargli l’incarico) e ci consenta di divertirci ancora un po’…