Dai veti ai voti incrociati

Matteo Salvini che apre all’asse del Nord Giorgetti-Zaia. Evoca un governo «di tutti» e rilancia: «Non facciamo le cose a metà». La Lega se dirà sì vuole entrarci con suoi ministri, insomma: «Se ci siamo ci siamo, altrimenti diamo una mano dall’opposizione come nell’ultimo anno e mezzo».

Il nodo diventa questo. Draghi, dopo aver agganciato il M5S (Di Battista e piattaforma Rousseau permettendo) con Conte, Grillo e Di Maio cerca il dialogo anche con il partito-guida delle regioni più produttive, che governa in 14 Regioni. Operazione complicata, perché le politiche sovraniste di Salvini (che di suo non pone veti e non ne accetta) e anche le proposte fiscali e sull’immigrazione della Lega creano agitazione a sinistra. La delegazione di Leu pone a Draghi un problema di incompatibilità che, dopo le parole di Zingaretti di giovedì, il Pd rinuncia a porre esplicitamente. Tuttavia è Graziano Delrio a rimarcare ancora, dopo l’incontro: «Abbiamo dato un sì convinto a Draghi, ma è chiaro che un programma antieuropeista o con contenuti non coerenti con i nostri principi per noi sarebbe un problema».

Tuttavia di veti veri e propri nessuno ne pone più. Era stato Pierferdinando Casini a giudicare «ridicolo» che lo facesse il Pd, e ora che, per Leu, hanno riproposto la pregiudiziale i capigruppo Federico Fornaro e Loredana De Petris, è Stefano Fassina a definire un «grave errore» tenere fuori non solo la Lega, ma anche Fdi. «Se a destra fossero costretti a rivedere le loro posizioni per abbracciare l’europeismo di Draghi sarebbe una grande operazione», dice Bruno Tabacci, legato da antico rapporto con l’ex presidente della Bce.

Così commenta Angelo Picariello su Avvenire osservando come si stia passando dai veti ai voti incrociati. Un autentico miracolo draghiano o l’ennesima operazione trasformistica addosso a Draghi? Propendo per la seconda ipotesi. Avevo un’amica, la quale, ogni volta che la incontravo, a distanza di poco tempo mi confessava di avere cambiato religione: era una bravissima persona, ma le sue conversioni erano purtroppo solo operazioni psicologicamente utilitaristiche, che dimostravano la sua fragilità e la sua ricerca affannosa di ancoraggi esistenziali.

La conversione di Matteo Salvini sulla strada di Bruxelles mi fa sorridere del folcloristico personaggio e mi induce ad una grande pena per chi lo ha votato e probabilmente lo continuerà a votare. “Matteo, Matteo, perché mi perseguiti?” così avrebbe risuonato l’invito irresistibile di Draghi al leader leghista. E Matteo sarebbe caduto da cavallo e, dopo gli opportuni riti di iniziazione guidati dai padrini Giorgetti e Zaia, starebbe entrando a pieno titolo nella comunità europea, un tempo tanto perseguitata. Ma fatemi il piacere…

Tutto ha un limite. Avevo da tempo previsto che l’eventuale discesa in campo di Mario Draghi avrebbe potuto trovare il paradossale appoggio di un “ignobile connubio” tra Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, anch’essi convertiti, uno ai propri affari economici e l’altro a quelli della propria immagine. Non potevo arrivare a pensare a Salvini, che pur di rimanere a galla, rinnega l’antieuropeismo spinto, che lo ha sempre caratterizzato, per diventare apostolo delle genti europee.

Capisco lo sbigottimento del partito democratico (o almeno di alcuni suoi esponenti, probabilmente i più seri e coerenti) nel vedere un simile gioco delle parti, che trasforma la politica da divertente circo a teatro dell’assurdo. A questo punto Mario Draghi dovrebbe andarci fino in fondo con la nomina di ben tre vice-presidenti del Consiglio: Silvio Berlusconi con delega alla lotta contro mafia e corruzione, Beppe Grillo con delega al rilancio culturale del Paese, Matteo Salvini con delega agli affari europei. Finora avevamo scherzato, adesso cominciamo a fare sul serio. È la politica, stupido!