L’espressione potenze dell’Asse, o semplicemente Asse, è usata per indicare l’insieme delle nazioni che parteciparono alla seconda guerra mondiale in opposizione agli Alleati. A dare popolarità al termine fu Benito Mussolini che, durante un discorso tenuto a Milano il 1º novembre 1936, definì «asse» l’intesa stipulata il precedente 24 ottobre tra la Germania e il Regno d’Italia, chiamata per questo motivo «Asse Roma-Berlino». Il successivo Patto d’Acciaio, stipulato dalle due potenze il 22 maggio 1939, rappresentò il primo nucleo dell’alleanza militare, poi estesa anche al Giappone con il Patto tripartito del 27 settembre 1940 (detto anche «Asse Roma-Berlino-Tokio»).
La storia per certi versi si ripete, in grande o in piccolo, e per altri versi sorprende. In questi giorni in Italia si stanno configurando due anacronistici, stranissimi, imprevisti e imprevedibili assi a rendere ancora più complicata e aggrovigliata la matassa politico-governativa.
Papa Francesco in una intervista televisiva ha dichiarato, autorevolmente e credibilmente: “La parola chiave per pensare le vie di uscita dalla crisi è la parola vicinanza”. Se non c’è unità, vicinanza, ammonisce il Papa, “si possono creare delle tensioni sociali anche all’interno degli Stati”. Parla così della “classe dirigenziale” nella Chiesa come nella vita politica. In questo momento di crisi, è la sua esortazione, “tutta la classe dirigenziale non ha diritto di dire ‘io’ … deve dire ‘noi’ e cercare una unità di fronte alla crisi”. In questo momento, riafferma con forza, “un politico, un pastore, un cristiano, un cattolico anche un vescovo, un sacerdote, che non ha la capacità di dire ‘noi’ invece di ‘io’ non è all’altezza della situazione”. E soggiunge che i “conflitti nella vita sono necessari, perché ce ne sono, ma in questo momento devono fare vacanza”, fare spazio all’unità “del Paese, della Chiesa, della società”.
A questo appello, volenti o nolenti, direttamente o indirettamente, ha risposto Beppe Grillo, fondatore del Movimento 5 Stelle, che, su Facebook, ha lanciato un “patto tra tutti i partiti per il bene dell’Italia“: “Tutti i rappresentanti del popolo devono contribuire uniti a sostenere, in uno dei momenti più bui della sua storia, il Paese. Nessuno cerchi scuse o pretesti per sottrarsi a questa grande responsabilità o ancor peggio faccia in questo momento biechi calcoli elettorali sul proprio futuro”.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo messaggio di fine anno ha richiamato tutti al senso di responsabilità: “Questo è tempo di costruttori. I prossimi mesi rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e per porre le basi di una stagione nuova. Non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte. È questo quel che i cittadini si attendono. La sfida che è dinanzi a quanti rivestono ruoli dirigenziali nei vari ambiti, e davanti a tutti noi, richiama l’unità morale e civile degli italiani. Non si tratta di annullare le diversità di idee, di ruoli, di interessi ma di realizzare quella convergenza di fondo che ha permesso al nostro Paese di superare momenti storici di grande, talvolta drammatica, difficoltà”.
Al capo dello Stato ha risposto, in tempo reale e con una tempestività e convinzione disarmanti, Silvio Berlusconi: “Il Presidente Mattarella ha saputo esprimere nel modo più alto il comune sentire degli italiani al termine di un anno difficile. Siamo in perfetta sintonia con ogni parola del Capo dello Stato, che ha saputo cogliere la sofferenza di tanti italiani, le difficoltà delle imprese, le angosce delle categorie meno tutelate, donne, giovani, disabili, lavoratori autonomi, precari. Credo in particolare sia molto importante che il Presidente della Repubblica abbia ribadito, in questa occasione solenne, l’appello ad un’unità sostanziale della nazione e della sua classe dirigente, unità che non cancella le distinzioni di parte ma che le supera in nome della comune responsabilità verso il futuro del Paese e verso le nuove generazioni”.
Un ballo in maschera è un’opera di Giuseppe Verdi su libretto di Antonio Somma, la cui fonte è il libretto di Eugène Scribe per Daniel Auber Gustave III, ou Le Bal masqué (1833). La vicenda prende avvio da uno strano episodio collocabile, come del resto tutta la vicenda, tra il tragico e il faceto. Un giudice chiede al conte Riccardo, il saggio e illuminato governatore della colonia inglese di Boston, sotto il regno di Carlo II, di firmare l’atto di condanna a morte della maga Ulrica, ma il governatore, cede alle simpatiche insistenze del suo paggio Oscar, il quale si schiera in difesa della innocua maga, e preferisce conoscerla di persona visitando il suo macabro antro. La trama prende poi ben altra piega anche se la maga viene assolta e addirittura generosamente omaggiata dal conte, che, riflettendo ad alta voce, mette insieme la maga e il suo paggio e dice: “Che vaga coppia…Che protettor!”. Il conte Riccardo mi toglie le parole di bocca.