La puzza della melina cattolica

In questi giorni nell’ambito di una ansiosa, confusa e tardiva ricerca di nuove e fattive combinazioni politiche a supporto di un governo che, al di là delle strampalate tattiche renziane, sta dimostrando tutti i suoi limiti programmatici, spunta un patto con l’Udc per porre le basi di un partito di Conte che sia un contenitore di moderati di ispirazione cattolica, europeista e liberale, una costola italiana del Ppe. Se la vogliamo dire in modo brutale, “quando il 31 mi batte”, riecco la voglia anacronistica ma impellente di una riedizione purchessia della Democrazia Cristiana.

Mia sorella Lucia era implacabilmente severa nei confronti dei cattolici nel loro approccio alla politica: sintetizzava il giudizio con una espressione colorita, esagerata e disinibita come era nel suo carattere. Non andava per il sottile e li definiva “cattolici di merda”.

Innanzitutto non sopportava i grilloparlanteschi atteggiamenti della gerarchia nelle sue varie espressioni, centrali e periferiche, volti ad esprimere forti e generiche critiche ai politici, con cui peraltro non era affatto tenera. Rinviava però al mittente parecchi rilievi: “Sarebbe molto meglio che si guardassero loro, che ne fanno di tutti i colori, anziché scandalizzarsi delle malefatte delle persone impegnate in politica”. Punto e a capo.

In secondo luogo diffidava degli integralismi cattolici: quello di chi pensa di poter fare politica come si usa fare in sagrestia, bisbigliando calunnie e ostentando un insopportabile e stucchevole perbenismo; quello di chi ritiene di fare peccato scendendo a compromessi e negando quindi il senso stesso della politica per rifugiarsi nella difesa aprioristica, teorica per non dire astratta dei principi religiosi; quello di chi ritiene la politica qualcosa di demoniaco da esorcizzare, lavandosene le mani e finendo col lasciare campo ancor più libero a chi intende la politica come l’arte dei propri affari; quello di chi pensa di coniugare al meglio fede e politica confabulando con i preti, difendendo il potere della Chiesa e assicurandosi succulente fette di consenso elettorale; quello di chi pensa che i cattolici siano i migliori fichi del bigoncio e quindi li ritiene per ciò stesso i più adatti a ricoprire le cariche pubbliche.

In terzo luogo, così come non sopportava il clericalismo ad oltranza, a rovescio non digeriva i giudizi sommari contro i cattolici investiti di incarichi pubblici; così come non sopportava i bigotti del tempio, non gradiva i bigotti della cellula di partito. Si riteneva una cattolica adulta, capace pur con tutti i suoi limiti e difetti, di discernere in campo politico, senza fare ricorso agli ordini provenienti dal clero, soprattutto quello di alto bordo.

Perché ho rispolverato questa lezione di vita: “Mia sorella mi ha fatto da battistrada e da esempio sulla via della non facile e tutt’altro che scontata combinazione tra dedizione ed autonomia nell’ambito familiare, sul sentiero impervio dell’impegno politico lontano da ogni compromesso col potere, sulla partecipazione convinta ma critica alla vita ecclesiale, sul forte legame con la schietta e generosa gente dell’Oltretorrente”. Così ho scritto sull’ultima pagina di copertina del libro a lei dedicato e quando le situazioni diventano particolarmente problematiche attingo a piene mani ai suoi insegnamenti.

La contingenza politica mi spinge a farlo e quindi tento di leggere la situazione inforcando a contrariis gli occhiali del cosiddetto “cattolicesimo di merda”. Giuseppe Conte mette il certificato di Battesimo nel suo scarso e scarno pedigree e riesce così a trovare consensi e appoggi nel mondo clericale. Matteo Renzi cavalca la tigre del cattolicesimo democratico ai cui esponenti storici tenta di fare il verso: assomiglia a loro solo nel pisciare. Matteo Salvini sfodera rosari e professioni di fede a livello di comizi elettorali, pensando che sedendo alla destra del Padre Gesù abbia fatto una scelta di schieramento politico. Sono i tre filoni aberranti del cattolicesimo mal coniugato con la politica.

E pensare che ci sarebbe tanto bisogno di riprendere i principi evangelici per tentare di tradurli non tanto in senso partitico o correntizio, ma in senso ideale e comportamentale. Ultimamente qualcuno ha fatto un timido e velleitario tentativo “terzaforzista”, vale a dire di ricollocare lo stile moderato ed equilibrato dei cattolici al centro dello schieramento politico. È un discorso che ciclicamente rispunta, ma che regolarmente abortisce. Adesso nasce la tentazione di appiccicare l’etichetta di “responsabili-costruttori” ad un manipolo di nostalgici moderati riciclati in salsa euro-liberale in soccorso bianco a Giuseppe Conte. Si dirà: sempre meglio che andare alle elezioni politiche anticipate nel casino totale. D’accordo, ma non mi basta. Il mio benaltrismo prende corpo, si trasforma in scetticismo e rischia di sfociare in qualunquismo. La politica, così facendo, non è l’arte del possibile, ma l’artigianato dell’impossibile.

Tornando ai cattolici, lo scenario pandemico dovrebbe aiutare a ripulirli da ogni e qualsiasi scoria integralista, bigottista, clerico-fascista e opportunista. Niente da fare, anche il coronavirus induce in tentazione e il più anticlericale dei papi della storia passata, presente e futura ha un bel daffare a predicare bene: i cattolici continuano imperterriti a razzolare male. Quando il santo sindaco di Firenze Giorgio La Pira affrontava delle sfide pazzesche al fine di testimoniare i valori fondanti del cristianesimo a livello degli equilibri politici internazionali, faceva il giro dei conventi delle suore di clausura mobilitandole nella preghiera di sostegno alle battaglie per la pace e la giustizia. Forse bisognerebbe fare altrettanto e più che mai oggi. Aldo Moro durante i giorni della prigionia, stando alle strazianti lettere inviate alla moglie, pregava Giorgio La Pira. In questo periodo preghino insieme per l’Italia e per il mondo intero. È troppo grande l’ispirazione cristiana per appiattirsi sulle beghe politiche, ma è anche troppo importante per essere sprecata in irrilevanti meline politiche.