La grandezza delle piccole cose

Ho seguito l’intervista a papa Francesco, andata in onda su canale 5. Fa notizia? Direi di no ed è un bene che sia così, per diversi motivi. Questo papa ci ha giustamente abituati alla continua discesa dal soglio pontificio al punto che le sue solenni incursioni liturgiche rischiano di essere stonate rispetto al suo stile fatto di estrema semplicità ed immediatezza: durante le celebrazioni proposte dal Vaticano si nota una netta frattura fra il cerimoniale, che non rinuncia mai, nemmeno in parte, alle sue regole più formali che simbologiche, e lo sforzo di proporre l’esperienza di fede come qualcosa di accessibile a tutti (il dono raggiunge tutti coloro che, a loro modo, rispondono all’invito di Dio, il quale bussa alla porta delle coscienze).

In secondo luogo papa Francesco parla a cuore e vangelo aperti: è questa la sua cifra caratteristica e questa è la sua capacità di mettersi in sintonia con le persone. Un dialogo aperto e costante pieno di sommessi ma provocatori inviti alla riflessione, frutto del suo carisma della semplicità. Si suole affermare che non esistano risposte facili a domande difficili: ebbene il papa dimostra il contrario e snocciola risposte di una semplicità disarmante di fronte a problemi enormi. Ciò non significa banalità o superficialità, ma al contrario profondità e radicalità di pensiero e soprattutto di azione.

Nel corso della suddetta intervista gli sono stati sottoposti quesiti di enorme portata a cui ha cercato di rispondere con estrema concretezza e grande realismo, quasi si sentisse pregiudizialmente addosso le spontanee obiezioni contro il buonismo e il pietismo di maniera. Ricordo ad esempio che mio padre, con la sua solita e sarcastica verve critica, di fronte agli insistenti messaggi statistici sulla morte di un bambino per fame ad ogni nostro respiro, si chiedeva: «E mi alóra co’ dovrissja fär? Lasär lì ‘d tirär al fiè?». Il papa non ci chiede l’impossibile o comunque ciò che è al di fuori della nostra portata, ci invita, paradossalmente per il periodo che stiamo vivendo, alla “vicinanza”, a ragionare con la mentalità del “noi”, superando quella dell’io, sconfiggendo la tentazione dell’indifferenza, che è ancor più bestiale della violenza.

Non possiamo restare indifferenti e sentirci a posto con la coscienza di fronte al dramma dell’infanzia senza cibo e senza istruzione, davanti alla guerra che domina nel mondo. Non possiamo lasciar morire affogati in mare le persone che tentano disperatamente di fuggire da situazioni umanamente invivibili e insopportabili: bisogna salvarle, poi verrà il discorso di organizzare il loro futuro, capovolgendo lo schema culturale che siamo soliti adottare, vale a dire il principio secondo il quale accogliere solo se ed in quanto ci sia la possibilità di farsene carico in base ai meccanismi economici del nostro benessere.

Sul discorso della vaccinazione papa Francesco non entra in valutazioni di carattere scientifico, ma si limita a definirla una imprescindibile opzione etica, come del resto fa per tutto quanto concerne la difesa della vita e il rifiuto della cultura dello scarto: non si tratta di principi religiosi, ma di dettami provenienti dalla coscienza dell’uomo in quanto tale. Quindi mi permetto di aggiungere (forse opero una forzatura…) che al di là delle norme giuridiche, dei dogmi e delle regole, deve valere il rispetto per la persona umana in tutto e per tutto.   Mi fermo perché non è il caso di avventurarmi in disquisizioni etiche: preferisco rimanere coscienziosamente al sodo.

Tutta la classe dirigente, in qualsiasi campo e settore, ha diritto di avere idee e punti di vista diversi, talora contrapposti, ma più che mai in questo tempo di crisi pandemica deve prevalere l’intento unitario: messaggio chiarissimo per quanti giocano con la democrazia per stabilire da chi e come deve essere spento l’incendio mentre la casa brucia.

A buon intenditor poche parole. Ce n’è per tutti. Il papa parte infatti dall’impegno ad uscire dalle situazioni gravissime in cui siamo imprigionati non illudendosi di ricominciare la solita vita o addirittura cambiandola in peggio, ma sforzandosi di migliorare concretamente e realisticamente. I valori restano sempre tali, occorre saperli tradurre nella storia, è necessario tentare seriamente di “inculturarli”: non ci salviamo da soli e non ci salviamo rimanendo incalliti nei nostri difetti.

L’intervistatore ha ringraziato il papa per la sua disponibilità. Lui con rara spontaneità e sincerità ha contraccambiato: grazie a te che ti sei disturbato per venire fin qui ad ascoltarmi. Può sembrare un fatto di ovvia cortesia. No, c’è di più, c’è la voglia papale di dialogare con tutti e nell’interesse di tutti. Con semplicità, il genio evangelico della semplicità.