In contradditoria difesa del governo del non governo

Mentre il fantasma di Mario Draghi continua a volteggiare sulle teste cocciute dei politici alle prese con la più insulsa e inconcludente crisi di governo possibile, ricordabile ed immaginabile, le lucide ed allarmanti analisi dell’ex presidente della Bce continuano a tenere banco seppure discretamente e seppure mediate dal gruppo dei trenta, vale a dire  quale co-presidente del “gruppo dei trenta” (un’associazione di consiglieri di governi, istituzioni internazionali e imprese), che ha presentato l’ultimo rapporto lanciando l’allarme su una possibile ed imminente crisi finanziaria non solo italiana ma di gran parte dei Paesi Ocse.

Due sarebbero i fattori determinanti e scatenanti: l’indebitamento “privato” (di famiglie, banche ed imprese) ed il crescente divario tra andamenti delle Borse ed economia reale. Come riporta Giuseppe Pennisi in un articolo su Avvenire di cui riportiamo di seguito ampi stralci, Mario Draghi ha detto, nel presentare l’ultimo rapporto del “gruppo”, che «siamo sull’orlo del precipizio» a ragione dell’alto livello dell’indebitamento (circa il 300% del Pil). Il rapporto ha dieci proposte specifiche; a) dare priorità alla crisi delle imprese; b) ottimizzare l’impiego delle risorse pubbliche per aiutare le economie ad uscire dalla crisi; c) adattarsi alla nuova realtà invece di tentare di preservare lo status quo; d) utilizzare l’intervento pubblico solo in caso di alti costi sociali ed evidenti “fallimenti di mercato”; e) impiegare il più possibile l’esperienza del settore privato per ottimizzare l’allocazione delle risorse; f) trovare un equilibrio tra obiettivi nazionali ed esigenze di settore; g) minimizzare il rischio per i contribuenti; h) attenzione ai pericoli di “azzardo morale”; i) ottimizzare la tempistica degli interventi; l) anticipare effetti non desiderati e tamponarli.

Il rischio di una crisi innescata dall’indebitamento del settore privato viene aggravato da quella che il Financial Times chiama “The Great Disconnect”, ossia la grande sfasatura tra mercati finanziari ed economia reale. Secondo gli ultimi dati del Fondo monetario internazionale (Fmi), il Pil mondiale ha subito una contrazione del 4,5% circa (quello dell’Italia quasi del 13%), ma i mercati finanziari, altalenanti per buona parte degli ultimi 12 mesi, chiudono con aumenti significativi della valorizzazione delle loro quotazioni: negli Stati Uniti, il cui Pil si è contratto del 5% circa, l’indice Standard & Poor 500 riporta un aumento complessivo di oltre il 14% e il Nasdaq di oltre il 40%. Dal 1990 il valore delle azioni nel mercato degli Stati Uniti è aumentato di ben sei volte, mentre il Pil Usa è raddoppiato. Avvertimenti di pericoli su questo fronte vengono anche dal Premio Nobel Robert Shiller.

Interessanti, le proposte dell’economista austriaco, Kurt Bayer, il quale dopo una carriera accademica in Austria è stato consigliere d’amministrazione sia della Banca mondiale (Bm) sia della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers). Le autorità di regolazione, quali la nostra Consob possono impedire operazioni arrischiate che, in una fase come l’attuale, alcuni operatori sono indotti a fare: «Imporre un adeguamento dei libri contabili per le imprese quotate in modo che il valore delle attività rispecchi quello “di sostituzione”, ossia il prezzo di mercato». È una proposta che molte imprese avranno difficoltà ad accettare.

Cosa possono fare i governi, già alle prese con la pandemia e con il conseguente aumento del loro indebitamento? Studiare, e se del caso attuare (auspicabilmente su base Ocse e Ue) suggerimenti innovativi, la cui attuazione non sarà comunque immediata, e soprattutto trasmettere fiducia, tenendo la barra dritta, in una fase così incerta per tutti.

Dopo aver letto le sintetiche ma chiare osservazioni contenute nell’analisi di Draghi e nelle ulteriori considerazioni annesse e connesse, sulle quali non mi sento degno di fare discussioni ed approfondimenti, ma solo umilmente capace di riflettere, viene spontanea una domanda: “Perché la classe politica italiana ed europea tende a snobbare con eccessiva disinvoltura questi contributi scientifici, insistendo a brancolare nel buio dei ristori a pioggia, degli aiuti fuori bilancio, di programmi varati alla “sperindio”, della stucchevole dicotomia tra difesa della salute pubblica e salvaguardia degli interessi economici?”.

È pur vero, come sostiene il caro amico professor Giorgio Pagliari, in merito all’equivoco venutosi a creare tra azione di governo e contributo della scienza in materia sanitaria, che la forzatura di attestarsi a meri esecutori degli indirizzi fissati dal comitato tecnico-scientifico è in netto contrasto anche con la scienza giuridica, che si è posta il problema delle scelte pubbliche, le quali devono fondarsi su dati tecnici, ma non essere la pura eco di tali elementi. “In questa prospettiva, sul presupposto che la decisione è del titolare  del potere scelto dalla legge (e non di altri), la scienza giuridica ha coniato le categorie della discrezionalità mista e di quella tecnica, che inquadrano  due fattispecie caratterizzate dall’elevata tecnicità delle questioni da decidere, che impone che la scelta sia congiunta tenendo conto anche dei profili tecnici, sul presupposto, implicito epperò non meno chiaro, che il titolare della decisione non può mai negarsi la complessità, non può rinunciare alla sintesi, non può appiattirsi sul tecnico, ma deve governare sempre tenendo conto della complessità. Chi governa, in altri termini, non può mai diventare il passacarte di un ramo della scienza; non può ignorare i risultati e i consigli scientifici, ma non può nemmeno appiattirsi acriticamente su questi, non assumendo la responsabilità della risposta politica”.

Ritorno alla domanda di cui sopra. Da una parte, sul fronte sanitario, c’è la innegabile e sbagliata tendenza della politica a farsi mero esecutore degli ordini impartiti dalla folta e peraltro piuttosto contradditoria schiera di scienziati, messa in campo in modo confuso e raffazzonato, a costo di prescindere dal contesto socio-economico in cui si vive e si colloca la pandemia. Dall’altra parte c’è una testarda riottosità rispetto alla scienza economica, vista come una vuota, accademica e burocratica interferenza, nel segno del “lasciateci governare”.

Da una parte c’è la subdola e strisciante concretizzazione del governo dei tecnici sanitari, dall’altra c’è il rifiuto del governo dei tecnici e degli esperti dell’economia e dell’amministrazione: alla salute pensaci tu che al portafoglio ci penso io. Conclusione: una gran confusione di ruoli in cui scienza e pubblici poteri si scavalcano e finiscono col non collaborare.

Nicola Zingaretti, segretario del Partito democratico, dice un netto no ad un governo tecnico, che aprirebbe le porte alla destra, o a elezioni. Non ci sarebbe nulla di buono per l’Italia. E non è un governo tecnico quello attuale che finge di governare, ma in realtà si fa dettare le decisioni dal Comitato tecnico-scientifico e dai consulenti ministeriali? E che fastidio sarebbe per l’Italia avere ministri del calibro di Draghi, Cottarelli, Cartabia etc. etc. Non farebbero certo peggio rispetto agli attuali! Quanto al primato della politica, mi sembra che sia un falso problema, smentito ampiamente nei fatti avvenuti in questi mesi, durante i quali la politica ha salvato solo le apparenze.

Scrive ancora Giorgio Pagliari: “L’alternativa non era – come ha voluto lasciar intendere l’ufficio stampa di Palazzo Chigi – il caos, ma il governo (e non il non governo) della situazione nella sua complessità. Il che avrebbe richiesto meno DPCM, meno conferenze stampa, meno formalismi giuridici, meno banchi a rotelle e più idee, progetti e misure – ad esempio – sui trasporti, sulla regolamentazione dell’accesso agli esercizi commerciali e alle piste di sci”.

Vogliamo continuare con i DPCM, con le conferenze stampa a getto continuo, con le porte girevoli nelle scuole, con i bar e i ristoranti a zi-zag? La politica abbia il coraggio di battere un colpo e, se necessario e solo Dio sa quanto lo sia, abbia il buongusto di farsi aiutare dalle competenze e dalle esperienze scientifiche e professionali senza però il cattivo gusto di nascondersi dietro di esse. Tutto sommato meglio andare a mamma, che continuare a governare a babbo morto.