Non si potrebbe e dovrebbe prescindere dall’alto richiamo al senso di responsabilità rivolto dal presidente della Repubblica nel suo messaggio di fine anno, ma facciamo pure finta che Mattarella non abbia detto nulla e non abbia lasciato intendere che aprire crisi di governo in un periodo come quello attuale sarebbe demenziale più che delinquenziale. Il capo dello Stato è stato chiarissimo (anche se qualcuno lo vorrebbe ancor più incisivo, non so cosa dovrebbe dire di più…): “Non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte. È questo quel che i cittadini si attendono. La sfida che è dinanzi a quanti rivestono ruoli dirigenziali nei vari ambiti, e davanti a tutti noi, richiama l’unità morale e civile degli italiani. Non si tratta di annullare le diversità di idee, di ruoli, di interessi ma di realizzare quella convergenza di fondo che ha permesso al nostro Paese di superare momenti storici di grande, talvolta drammatica, difficoltà”.
Proviamo a fare come diceva mio padre, a valutare i pro e i contro della eventuale apertura di una crisi di governo, per la quale ci sarebbero molte ed anche valide ragioni: la debolezza di una coalizione tenuta insieme più con lo scotch della sopravvivenza che con reali convergenze di carattere politico e programmatico; una compagine ministeriale assai debole dal punto di vista della competenza, dell’esperienza e, come sostiene Carlo Calenda, della capacità amministrativa; un premier uscito dal cappello di Beppe Grillo e dei suoi amici, che ci ha preso gusto, che sta mettendo le radici a Palazzo Chigi, che ha i nervi d’acciaio, che è un muro di gomma contro cui vanno a sbattere le critiche, che è un volpone capace di galleggiare in mezzo a mille difficoltà; un equilibrio politico clamorosamente inadeguato al momento storico; una incapacità a prendere il toro per le corna dal punto di vista dei rapporti con l’Unione Europea e dell’impostazione di un piano di rinascita concreto ed efficace; e via discorrendo.
Se esistono cinquantanove motivi per buttare all’aria il governo Conte, ne esistono sessantuno per lasciarlo sopravvivere, aiutandolo semmai a vivere: la mancanza di alternative serie a livello politico-parlamentare; le oggettive difficoltà da affrontare azzerando quel poco o tanto che l’attuale governo ha saputo imbastire; la dimostrazione della debolezza istituzionale verso tutti gli interlocutori che si troverebbero spiazzati dal dover iniziare interlocuzioni nuove e pericolose; l’apertura di una crisi al buio senza prospettive a livello personale e politico; l’aggiunta di incertezza alla pur già incerta e precaria situazione globale; la fornitura dell’immagine di una classe politica rissosa ed inconcludente in una fase in cui bisognerebbe rimboccarsi le maniche e lavorare sodo; la creazione di discontinuità in un momento che richiede un minimo di continuità nell’azione di governo; etc. etc.
Non ho ancora capito se siano in atto solo schermaglie per il riposizionamento generale e particolare, se si tratti di un tiro alla fune, se alcuni stiano bluffando mentre altri stanno a guardare, se Giuseppe Conte punti al logoramento degli avversari interni alla sua coalizione o a prepararsi una via di fuga in vista di eventuali elezioni politiche anticipate, se il M5S creda davvero a questo governo o faccia solo buon viso a cattiva sorte, se il Pd voglia dare prova di senso di responsabilità o se gli manchi la spinta per ripassare il motore di una macchina che perde colpi, se, e qui forse c’è l’interrogativo principale, Matteo Renzi intenda portare la sua azione alle estreme conseguenze o si stia creando una facile e comoda via d’uscita per quando ce ne sarà l’opportunità.
Qualcuno autorevolmente sostiene che il governo traballi non tanto per colpa di Renzi, ma per sua endemica debolezza. Anche questo discorso non è destituito di fondamento: se Conte avesse veramente le carte in regola non soffrirebbe alcun bluff da qualsiasi parte proveniente. Invece forse tutti bluffano, nessuno vuole andare a scoprire le carte. Alcuni pensano che se crisi ha da essere, la si faccia, perché può essere peggio proseguire in questo tira e molla in cui ballano i miliardi del Recovery fund, ma soprattutto l’avvenire del nostro Paese.
Io personalmente, a denti stretti, preferisco un capo inadeguato piuttosto che non avere alcun capo; meglio un uovo oggi che una gallina domani; meglio tirare a campare che tirare le cuoia; putost che nient è mej putost. Certo non sarebbe il momento per calcoli minimalisti e tanto meno per sarcastiche analisi nel più puro politichese: purtroppo a fronte della situazione di una gravità pazzesca, dobbiamo fare i conti con soluzioni purchessia. Tutti lo dicono, tutti lo pensano, tutti si lamentano, ma il meglio non è assolutamente dietro l’angolo. Pu che far il nòsi coi figh sècch as trata ad färos miga incolär atach al mur cme ‘na péla ‘d figh.