Ho seguito sulle pagine del quotidiano locale l’evoluzione della vicenda giudiziaria relativa alle presunte irregolarità nella gestione dell’accoglienza agli immigrati da parte della Onlus “Svoltare”. Innanzitutto devo rilevare come dal punto di vista giornalistico la delicata questione sia stata presentata con ignoranza giuridica, con insistente e pregiudiziale volontà di scoop scandalistico e con scarsissima chiarezza nei contenuti.
Chi legge la Gazzetta di Parma o non ci ha capito dentro niente (mi iscrivo a questo partito) oppure ha sbrigativamente concluso che trattasi di uno scandalo, l’ennesimo che si verifica con l’aggravante di vedere coinvolti personaggi ed enti impegnati nel sociale (forse era il risultato che si voleva raggiungere). Il cosiddetto privato sociale, all’interno del quale mi onoro di avere operato a livello professionale e di volontariato, è un settore difficile da comprendere e da giudicare: organi di controllo, magistratura, larghe fasce di opinione pubblica prendono lucciole per lanterne, vale a dire ritengono che una cooperativa sociale sia un ente di beneficienza tout court, mentre invece è la “paradossale” scommessa non tanto di prescindere dall’economia aziendale, ma di riuscire a coniugare economia ed equità (tutte le cooperative di tutti i settori hanno questo scopo) e, per quanto concerne le cooperative sociali, di combinare, seppure problematicamente, efficienza, lavoro e solidarietà sociale.
Faccio qualche esempio riportato dai gazzettieri nostrani, che perdono il pelo ma non il vizio (di essere forti coi deboli e deboli coi forti). Mi ero illuso che da qualche tempo il quadro editoriale parmense fosse leggermente cambiato: tutto invece è sempre uguale, ma lascio al direttore Claudio Rinaldi giudicare come i suoi collaboratori abbiano riempito tanto spazio per fare un gran casino in cui il lettore si trova provocatoriamente spiazzato e fuorviato.
Che una cooperativa sociale conceda ad un suo collaboratore/lavoratore un premio di produzione non è vietato e non deve affatto sorprendere: se ha lavorato bene, con impegno e serietà professionali, dovrebbe fare notizia il contrario.
Che una cooperativa sociale sostenga qualche spesa di rappresentanza non dovrebbe scandalizzare: nei rapporti socio-economici ci può stare anche qualche onere teso ad accreditare l’immagine della cooperativa stessa.
Che nella vita di un ente stretto in mezzo a notevoli difficoltà possano sussistere scambi finanziari tra soci e cooperativa, prestiti e loro restituzione, rimborsi spese, etc., non dovrebbe suscitare sorpresa e ancor meno prova di opacità e irregolarità.
Che una associazione di volontariato o comunque un ente non lucrativo nasca come tale per poi nel corso del tempo darsi una struttura giuridicamente più adeguata all’attività di impresa sociale, come l’abito cooperativistico può senz’altro consentire, è un percorso, oserei dire, quasi obbligato. Quindi capisco che l’associazione Svoltare possa non avere avuto inizialmente l’iscrizione all’albo regionale e che in un secondo momento il problema sia stato superato dal momento che la cooperativa sociale, iscritta come tale nell’albo delle cooperative, è considerata Onlus di diritto. L’iscrizione fasulla è sicuramente un brutto biglietto da visita, ma non mi sembra il caso di costruire un castello di pesantissime accuse su una violazione che mi sembra più dettata da ingenuità che da disegno criminoso.
Su tutto pesa il macigno delle cooperative sociali costrette ad ingigantirsi per rimanere sul mercato e nello stesso tempo a viaggiare pericolosamente sul filo del rasoio nel rispetto dei principi e dei valori identitari. D’altra parte la scommessa sul privato-sociale è fondamento essenziale di quel principio di sussidiarietà di cui tutti si riempiono la bocca. Il pubblico non è in grado di rispondere a certe necessità: di grazia che i privati si cimentino in una gara durissima anche se per certi versi invitante se non addirittura esaltante.
Fin dove la managerialità non debba scantonare nella spregiudicatezza è questione da psicologi e sociologi e non da procuratori della Repubblica. Fin dove la redditività di un’impresa sociale sia ammissibile o addirittura indispensabile non è problema della Guardia di Finanza ma del legislatore. Fin dove l’assegnazione dei pubblici appalti diventi materia di sciacallaggio politico è questione di stile democratico e di corretta dialettica nel campo della pubblica amministrazione. Fin dove l’ente aggiudicante di un pubblico appalto debba intromettersi nell’etica gestionale dell’aggiudicatario e non limitarsi a controllare la qualità e qualità del servizio appaltato è un fatto di corretti e leali rapporti fra pubblico e privato.
Auspico che la vicenda venga riportata nei limiti concretamente giudiziari che le competono, ben lontana da forzature ideologiche, da rigorismi del cavolo, da polemiche politiche, da forzature mediatiche e da tentazioni scandalistiche. Osservando il movimento cooperativo, dal di dentro prima e dal di fuori ora, ero e sono preoccupato della salvaguardia della sua legittimazione, che trova il suo riferimento nell’articolo 45 della Costituzione e nelle leggi conseguenti. Preoccuparsi non vuol dire buttare fango, “affaristicizzare”, squalificare, cercare capri espiatori, criminalizzare, fare d’ogni erba un fascio. Sono invece molto preoccupato del contraccolpo socio-economico sui poveri cristi, che rischiano di prendere legnate da tutti senza avere alcuna colpa se non quella di trovarsi in gravissime difficoltà.
Se qualcuno si è comportato in modo irregolare lo si vedrà: non mi basta un’inchiesta della Guardia di Finanza e nemmeno un ordine di custodia cautelare emesso dalla Procura, né tanto meno i pruriti anti-immigrati scatenati dalla destra, né infine le ricostruzioni giornalistiche di comodo. Vorrei capire di più e meglio cosa sia successo, per amore di verità, per amore di cooperazione e per sensibilità sociale.
In cauda venenum. È sicuro il direttore della Gazzetta di Parma che, a parità di presunti reati, lo stesso trattamento cronachistico a cui è stata sottoposta “Svoltare” sarebbe riservato anche ad un’impresa aderente a Confindustria? Se mi rispondesse di sì, starei pronto col fucile spianato per verificarlo alla prima inopinata occasione. Se mi rispondesse di no, lo pregherei di cambiare mestiere, anche se non saprei quale consigliargli.