Vincoli o sparpagliati

“Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa considerare come imputato e l’essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione.

Non corro io il rischio di apparire come uno spirito angusto e perturbatore, che si fa portavoce di egoismi nazionali e di interessi unilaterali?

Signori, è vero: ho il dovere innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano; ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universaliste del cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire”.

È l’incipit del discorso di Alcide De Gasperi alla Conferenza di Pace del 1946. L’Italia che si presentava a quella conferenza di fronte alle potenze vincitrici non era solo un Paese in miseria e devastato dal conflitto mondiale, ma anche un Paese portatore di una fama non certo ragguardevole: voltagabbana, incapace di “servare i pacta” e, per di più, anche ex-alleato dei nazisti.

A ben pensarci la situazione attuale non è molto diversa da quella del 1946. Siamo in guerra, una guerra strana ma ancor più drammatica, contro un nemico comune pronto ad approfittare delle divisioni altrui. Ed è proprio quello che scriteriatamente, a tutti i livelli e in tutti i campi, stiamo facendo di fronte all’aggressione del Covid 19. Divisi nel mondo, divisi in Europa, divisi in Italia, divisi nel governo italiano, divisi nelle opposizioni al governo, divisi nella comunità scientifica, divisi sui media e sui social, divisi nel modo di affrontare la pandemia, divisi tra ricchi e poveri, divisi tra difesa della salute e difesa del lavoro, divisi sulla vaccinazione, divisi su tutto.

Siamo prigionieri della precarietà: la nostra vita è più che mai appesa ad un filo che può essere strappato da un momento all’altro; il nostro lavoro, per chi ce l’ha, traballa e chi lo cerca non lo trova; persino i nostri rapporti famigliari sono messi a dura prova per non parlare di quelli umani in genere; tutto è rimesso in discussione, dai negozi alle fabbriche, dai teatri alle scuole, dalle chiese alle case. Tutto è precarietà!

A questo stato di assoluta insicurezza rispondiamo dividendoci a più non posso. Quanto De Gasperi aveva capito, gli attuali governanti di tutto il mondo non l’hanno capito. In Italia, come ho già avuto modo di scrivere, ai mali endemici e storici del Paese – evasione fiscale, corruzione, burocrazia, mafie – aggiungiamo l’incapacità della classe politica a trovare un denominatore comune e a mostrare un minimo di dignità. È quello che sta succedendo nei rapporti tra Italia ed Europa: ai tavoli che contano ci presenteremo divisi e presuntuosi, l’esatto contrario rispetto alla lezione storica degasperiana di cui sopra. Non solo abbiamo le serpi in seno dell’antieuropeismo, ma siamo sparpagliati e andiamo a gara per indebolire i nostri rappresentanti istituzionali.

Bettino Craxi sosteneva che ogni volta che si sedeva ad un tavolo europeo notava intorno a sé la sorpresa per una certa continuità del suo governo. Gli europei ci guardano, forse ci stimano più di quanto meritiamo, ma non sopportano la nostra incapacità di lavarci i panni sporchi in casa. Non lamentiamoci poi se ci trattano a pesci in faccia o se ci considerano partner inaffidabili e imprevedibili. Ce lo siamo voluto!

Possibile che Matteo Renzi faccia esplodere le contraddizioni esistenti all’interno del governo Conte proprio alla vigilia di un importantissimo appuntamento europeo durante il quale verranno poste le premesse per distribuire una enorme quantità di fondi? Non mi convince il pur significativo rischio di contrapposizione tra manager e ministri: quando si vuole rompere e creare problemi tutte le occasioni sono buone. Se non è masochismo è settarismo. Se qualcosa di nuovo sta bollendo in pentola, diciamolo e portiamolo a veloce cottura, e non teniamo l’attuale governo a bagnomaria con un irresponsabile e folle gioco al massacro.

Per quel poco che ho ascoltato del dibattito parlamentare sulla riforma del Mes e sul Recovery fund, ho notato che molti rimproveravano a Giuseppe Conte di presentarsi in Europa con debolezza programmatica e scarsa autorevolezza, salvo poi fare di tutto per attaccarlo, screditarlo e indebolirlo preventivamente ed ulteriormente. Non è il momento delle divisioni più o meno giustificate, è il momento delle unioni più o meno convinte. I conti con Conte ci sarà tempo e modo di farli fra qualche tempo, a pandemia superata.