Lo Stato fannullone e il privato tuttofare

  1. In questi giorni, si capirà dopo il perché, mi sovviene un’esperienza fatta durante la mia vita professionale, all’inizio degli anni novanta del secolo scorso. Andai a rappresentare le cooperative parmensi (quelle sociali in particolare) aderenti all’associazione in cui prestavo il mio servizio. Dove? In Prefettura! A Parma si intende. Era stata convocata una riunione dei rappresentanti delle forze economiche e sociali in occasione dell’emergenza creatasi in Italia, ed anche a Parma, per la fuga in massa degli Albanesi dal loro Stato in piena bagarre post-comunista. Eravamo alla fine degli anni ottanta, se non erro. Era un afoso pomeriggio estivo: arrivai senza giacca e cravatta e con un po’ di ritardo (fatto strano ed eccezionale per la mia quasi maniacale puntualità) alla riunione che si teneva in un’ampia sala della prefettura, ricca di stucchi ed affreschi. L’incontro si svolgeva attorno ad un grande e lungo tavolo. Non era in funzione l’impianto microfonico e quindi non si capiva nulla. Il collega a cui era seduto vicino, ad un certo punto mi chiese perché tutti parlassero a così bassa voce. Me la cavai con una stupida battuta: «Probabilmente, bisbigliai, non si può parlare ad alta voce per il pericolo che gli stucchi possano deteriorarsi in conseguenza delle onde sonore?!». Chi riuscì a sentirmi mi guardò scandalizzato: ero arrivato in ritardo, senza giacca e cravatta ed ora osavo fare lo spiritoso in Prefettura? Il dibattito si trascinò stancamente e francamente non ricordo granché dei contenuti: se gli Albanesi arrivati a Parma si fossero aspettati qualcosa di concreto da quell’incontro… Ad un certo punto il Prefetto (non ricordo il nome) fece un attacco nei confronti delle associazioni di volontariato e del privato-sociale in genere, sostenendo che, a suo giudizio, l’impegno non era all’altezza della situazione emergenziale. Non seppi tacere, non sopportai un simile “becco di ferro”. Non ricordo le testuali parole, ma dissi sostanzialmente: «Da uno Stato incapace di affrontare le difficoltà, non sono accettabili critiche a coloro che si stanno comunque impegnando. C’era solo da dire grazie e tacere…». Non ebbi molte solidarietà. Mettersi contro il Prefetto non è tatticamente il massimo dell’opportunismo, ma…

 

  1. Un mio carissimo amico, impegnato in modo eroico nell’assistenza agli immigrati, nel dicembre 2015 scrisse pubblicamente una lettera alle autorità locali.

 

“Nella mattina del 16 dicembre scorso i Vigili urbani di Parma hanno sottratto le coperte con le quali i migranti che si rifugiano sotto i portici della Pilotta si coprono per ovviare – seppur in minima parte – al rigore delle notti invernali. Quei migranti sono lì a trascorrere la notte non per spirito di esibizionismo, ma perché non trovano posto nei dormitori comunali o non rientrano nei canoni stabiliti per la protezione -temporalmente limitata- dei nuovi richiedenti rifugio.

Le coperte portate a loro sono, in gran parte, raccolte nella chiesa di S. Cristina. da persone di buona volontà. Altre organizzazioni pensano al cibo. Numerosi sono i migranti che non trovano ospitalità nei dormitori e sono costretti a dormire all’addiaccio in varie parti della città. La Pilotta costituisce il posto migliore, più sicuro, in quanto al coperto, monitorato da una telecamera della Questura che fa sì che non vi siano episodi di spaccio o di criminalità abituale. Non costituiscono motivo di disturbo in quanto arrivano verso le 22 o 23, e sgombrano lo spazio al mattino, spesso anche prima dell’arrivo di turisti o fruitori della Biblioteca.

Alcuni ritengono la faccenda indecente per il decoro della Città, ma forse è indecente perché evidenzia l’incapacità delle Istituzioni a provvedere ad un minimo rispetto per i diritti di persone che chiedono aiuto.

Sarebbe importante sapere se i Vigili urbani che hanno operato in quel modo (forse legale, ma sicuramente immorale, disumano) hanno agito di loro spontanea iniziativa, spinti da zelo crudele, o sono stati spinti all’azione da ordini superiori.

Già altre volte i Vigili urbani sono stati attori, qui a Parma, di operazioni del genere (multe, pestaggi) e forse sarebbe necessario che si stabilisse, pubblicamente, una volta per tutte, quali sono i limiti del loro agire in situazioni di emergenza (emergenza che, oramai, è cronica). In ogni caso, quali sono i provvedimenti che le Istituzioni di Parma intendono prendere, assumendosi le proprie responsabilità pubblicamente?”.

La lettera è inutile precisarlo rimase senza risposta.

 

  1. In questi giorni è scoppiato a Parma lo scandalo a carico di un’associazione di volontariato, che, stando ai risultati di un’inchiesta poliziesca e ai primi provvedimenti dell’autorità giudiziaria, avrebbe gestito in modo scorretto l’accoglienza agli immigrati in base a pubbliche assegnazioni ottenute in modo altrettanto scorretto. Non entro nel merito anche se non mi unisco al coro dei petulanti perbenisti che, come diceva mia sorella, si scandalizzano di tutto e di tutti, finanche del proprio culo. Staremo a vedere se si tratterà del solito castello di sabbia dietro cui difendere la colpevole inerzia dei pubblici poteri.

Sì, perché, a tutti i livelli, chi governa la cosa pubblica risulta inadempiente e inconsistente. Da una parte abbiamo i “negazionisti” del fenomeno migratorio, che vorrebbero cancellarlo con un deciso tratto di penna all’insegna dello sbrigativo e sollecito rimpatrio: cosa impossibile oltre che umanitariamente riprovevole. Dall’altra parte gli “interventisti”, che però non sanno o non vogliono intervenire: non sono capaci di programmare i flussi, di organizzare l’accoglienza, di gestire strutture adeguate al bisogno, di controllare le situazioni sul campo.

I primi esorcizzano il privato sociale ritenendolo un’interferenza affaristica nel problema migratorio; i secondi appaltano a destra e manca e poi se ne fregano, salvo criminalizzare il primo ente che capita sotto le grinfie di controlli spesso tardivi, approssimativi e incompetenti.

Allora prima di tutto lo Stato, in tutte le sue articolazioni istituzionali, deve fare il suo “mea culpa” e non presentarsi trionfalmente davanti alle telecamere con le spoglie del malcapitato imprenditore sociale in odore di speculazione.

In secondo luogo, prima di criminalizzare qualcuno e di mostrarlo alla pubblica opinione come capro espiatorio di un fenomeno generalizzato, bisognerebbe attendere che la giustizia faccia il suo corso per poi magari scoprire fra dieci anni che l’impianto accusatorio si basava su un castello di carte piuttosto inconsistenti e poco probanti.

Non voglio negare che speculazione, affarismo, illegalità si nascondano anche nel mondo del cosiddetto privato-sociale: d’altra parte la definizione stessa è portatrice di un benefico paradosso dietro cui possono celarsi interessi molto privati e assai poco sociali. Però non ci sto a sputtanare tutto e tutti per fare un piacere a Salvini e a chi straparla e “strapensa” come lui, ma nemmeno a chi parla bene contro Salvini e razzola male sul difficile ma imprescindibile terreno dell’immigrazione.

Se i pubblici poteri non riescono a gestire in proprio il discorso migratorio, siano almeno solleciti nell’effettuare controlli preventivi e in corso d’opera, senza sparare a casaccio, nel mucchio, una tantum, per dimostrare la propria (in)esistenza e (in)consistenza.

Devo essere sincero: intravedo accanimento mediatico, investigativo e giudiziario nella vicenda dell’associazione “Svoltare” e del suo rappresentante legale, sul quale peraltro qualcuno sta facendo della gratuita e macabra ironia. Sarà perché ho imparato, anche a mie spese, a non dare spallate di comodo a chi si trova in difficoltà. Ho letto una sfilza di capi d’accusa che nemmeno la più brutta associazione a delinquere potrebbe comportare. Non sono né rigorista né garantista, tento disperatamente di essere una persona obiettiva, che non si fa bella enfatizzando tutto ciò che di brutto le succede intorno. Se, nel settore dell’accoglienza agli immigrati, “Svoltare” ha peccato, chi è senza peccato scagli la prima pietra.