“Non abbiamo messo a disposizione tutte queste risorse perché restino inutilizzate” ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel. E si riferiva, in particolare anche se non solo, al famoso Mes. A quel fondo, per l’Italia pari a circa 36 miliardi, che potrebbe essere utilizzato, ad un tasso di interesse pressoché nullo, per interventi sul sistema sanitario, ma che a molti non piace perché teme che accettandolo si finisca dritti nelle braccia della cosiddetta Troika. La cancelliera ha rotto un po’ gli schemi ed ha parlato così poco diplomaticamente da indurre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a risponderle in maniera altrettanto chiara e netta: “Sul Mes non è cambiato nulla, rispetto le opinioni di Angela Merkel, ma a fare i conti sono io, con il ministro Gualtieri, i ragionieri dello Stato e i ministri”.
Così viene fotografato il dibattito sul Mes da Cesare Zapperi sul Corriere della Sera. È vero che bisogna sempre stare attenti, quando si contrae un prestito, alle condizioni poste dal soggetto erogante, che a volte nascondono qualche spiacevole trappola, è altrettanto vero che purtroppo dell’Unione europea non ci si può fidare a scatola chiusa, è ancor più vero che i rapporti tra i partner europei sono improntati più alla diffidenza che alla solidarietà, ma comunque la questione dell’utilizzo o meno del Mes è e sta diventando sempre più una questione di carattere ideologico, uno scontro tra europeisti ed euroscettici di casa nostra.
Le ideologie, a quanto pare, non sono mai finite, e rispuntano ciclicamente a condizionare le scelte politiche che dovrebbero tendere al bene comune e non alla difesa pregiudiziale “delle idee e delle mentalità proprie di una società o di un gruppo sociale in un determinato periodo storico”. Il Mes viene considerato il termometro con cui misurare la temperatura della convinzione europeistica e non lo strumento per attingere a importanti risorse finanziarie con cui affrontare la nostra situazione sanitaria.
Detta in altri termini non mi sembra assolutamente il caso di sottilizzare sui timori delle conseguenze che potrebbe avere il prestito qualora la situazione italiana dovesse ulteriormente peggiorare e richiedere una sorta di commissariamento da parte delle autorità monetarie europee ed internazionali. Non si può ragionare in questo modo: di queste risorse noi abbiamo bisogno come del pane, le dobbiamo bene utilizzare e, se mai dovesse andare tutto a catafascio, non sarà l’utilizzo dei fondi del Mes il motivo fondamentale e scatenante dei gravi provvedimenti nei nostri confronti. Non si può governare andando avanti alla cieca, ma non si può nemmeno governare con la paura di essere puniti qualora le cose non andassero bene.
Arrivo a pensare che, tutto sommato, il profilarsi di una (eventuale) certa qual severità nei nostri confronti ci dovrebbe aiutare a comportarci seriamente ed a muoverci con grande impegno e senso di responsabilità. Non bisogna rifiutare aprioristicamente la carota per paura del bastone. Prendiamoci la carota, utilizziamola al meglio e il bastone lo dovranno comunque riporre nei magazzini di Bruxelles o di Strasburgo. Non si può rinunciare alla politica, rinchiudendosi nel proprio guscio sovranista per paura che qualcuno ci possa “fare l’uomo addosso”. Accogliamo umilmente i fondi del Mes, ringraziamo, usiamoli bene, senza timore che ce li prestino per venire un domani a comandare in casa nostra.
Azzardo di seguito una similitudine calcistica. Mio padre, nella sua generosa e ostentata ingenuità, teorizzava che il tifoso, se si comporta correttamente o almeno evita certi eccessi e certe intemperanze, può recarsi in qualsiasi stadio del mondo senza correre rischio alcuno e senza rinunciare a sostenere la propria squadra. In effetti diverse volte eravamo andati in trasferta, avevamo seguito il Parma in altri stadi, senza soffrire spiacevoli inconvenienti. Mio padre era così sicuro della sua teoria che una volta mi consentì di portare la bandiera crociata artigianalmente confezionata con un manico da scopa. Era lo stadio Braglia di Modena, derby di serie B: non riuscii neanche a spiegare la bandiera ed a sventolarla, che il Parma era già sotto di un goal e mio padre, un po’ “grilloparlantescamente”, mi disse: “A t’ äva ditt äd lasärla a ca’, ch’ l’era méj”. Ne prendemmo altri due: un secco, inequivocabile tre a zero dai cugini modenesi.
Cosa voglio dire? Di non far finta di avere coraggio, ma di averlo veramente. Tutti ricorderanno la barzelletta del marito che, per schivare gli improperi e le bastonate della moglie, si rifugia sotto il letto. Al reiterato e autoritario invito della moglie ad uscire dal penoso nascondiglio, egli, con un rigurgito di machismo, risponde: «Mi fagh cme no vôja e stag chi!». I sovranisti in modo sbracato e gli euroscettici in modo subdolo si ficcano sotto il letto dell’orgoglio nazionale e ci rimangono a costo di rinunciare aprioristicamente a praticare quel letto, a dormirci sopra ma soprattutto a …