Se da una parte emerge drammaticamente la povertà del dibattito politico consacrata e coltivata dal compiacimento mediatico, dall’altra parte, per rendere interessante e appetibile la partita, si scatena la ricerca, più gossipara che giustizialista, dello scandalo a tutti i costi, sbirciando gli intrallazzi tra i poteri dal buco della serratura.
Sul vuoto pneumatico della campagna elettorale penso di avere già dato. Mi resta da stigmatizzare il gusto sadico, al limite del masochistico, di scovare le combutte di potere che squalificano e condizionano la politica. L’occasione mi è offerta su un piatto d’argento dal chiacchiericcio intorno ai presunti rapporti affaristici tra Matteo Renzi e Carlo De Benedetti: l’ingegnere per antonomasia avrebbe speculato sulle azioni delle banche popolari in base a informazioni ottenute dall’allora premier in materia di riforma di questi istituti di credito. La questione, peraltro già archiviata dalla Consob e in via di archiviazione dalla magistratura, è rispuntata, più succulenta che mai, nel clima della campagna elettorale.
Dopo avere ascoltato un’esauriente intervista a trecentosessanta gradi rilasciata da Carlo De Benedetti, mi sono fatto l’idea che non esista materia per scandalizzarsi, strapparsi le vesti e crocifiggere il solito Renzi: la riforma era sulla bocca di tutti, gli scambi di opinione tra uomini di potere sono all’ordine del giorno, le manovre finanziarie sono l’alimento quotidiano delle borse, il capitalismo ha i secoli contati.
Resta in democrazia il problema dei rapporti tra i poteri, quelli istituzionali (legislativo, esecutivo e giudiziario) e quelli di fatto (economico, bancario, finanziario e mediatico). Silvio Berlusconi aveva risolto quasi tutto, concentrando in sé potere politico, economico e mediatico: dopo avere sfruttato le scie craxiane per accrescere e consolidare le proprie posizioni imprenditoriali e televisive, le traballanti situazioni economiche delle sue imprese gli consigliarono di prendere il toro per le corna e buttarsi nella mischia politica, chiudendo il cerchio in senso totalitario. Restava fuori dal giro solo il potere giudiziario, che diventò in effetti l’unico antidoto allo strapotere berlusconiano, ma invase anche il campo della politica creando i rischi di una interferenza, che permangono tuttora.
Da allora il sistema, dopo avere rischiato di diventare un vero e proprio regime, risente di questa triste esperienza: è un po’ come una persona che soffre di una grave malattia, non ne guarisce mai completamente e, invece di reagire e riprendere la vita normale, continua a ingigantire ogni sintomo di recrudescenza della malattia, finendo col mettersi a letto ad aspettare la morte. Gli antiberlusconiani sono evoluti, trasformandosi persino in antirenziani, non capendo di essere fuorviati dal “complesso del regime”, allargando l’esorcismo verso i potentati economici fino al punto da demonizzarli tutti e sempre, chiudendo l’analisi della società in un pericoloso provincialismo pseudo-etico per cui tutto è affarismo e conflitto di interessi e quindi, come ha acutamente osservato l’ingegner De Benedetti, di fronte ad una imbarazzata Lilly Gruber, rifugiandosi nella prospettiva di consegnare il Paese nelle mani del primo incompetente che passa, purché totalmente estraneo ai giochi di potere e immacolato giudiziariamente.
Per continuare nella similitudine medico-sanitaria, è come se, dal momento che diversi medici sbagliano le diagnosi e le terapie o addirittura mettono i propri interessi prima di quelli del malato, ci si affidasse ad un medicone qualsiasi, che ha il pregio di non avere mai confuso una gastrite con un tumore allo stomaco solo perché ha il difetto di non sapere nemmeno cosa siano.
Stiamo cioè correndo il rischio di gridare continuamente al lupo e di affidarci, per la paura, ad un cacciatore improvvisato che non ha mai abbattuto neanche una lepre e forse non sa neanche sparare. Siccome poi tutte le padelle sarebbero quasi uguali, meglio cadere addirittura nella brace.
Qualcuno invece, perso per perso, sussurra “arridateci er puzzone” e si prepara a ricadere nella padella berlusconiana. La padella renziana non sarebbe sufficientemente antiaderente all’influenza dei poteri forti e allora sotto coi grillini e succeda quel che deve succedere: muoia Di Maio con tutti gli italiani dell’antipolitica.