L’afta elettorale

Col morto in casa ancora caldo è quasi normale che si cominci a litigare sull’eredità e sui rapporti esistenti col de cuis: mentre si chiude mestamente la legislatura, la campagna elettorale, peraltro in moto perpetuo, si profila tanto calda quanto assurda, tanto litigiosa quanto inconsistente.

Mi è subito venuta alla mente la famosa barzelletta delle promesse elettorali: vi daremo questo, vi concederemo quest’altro, vi offriremo ciò che vorrete… E l’afta epizootica? chiese timidamente un agricoltore della zona interessata. Vi daremo anche quella! rispose gagliardamente il comiziante di turno.

Sono mesi che il movimento cinque stelle parla di reddito di cittadinanza: una delle tante boutade, una proposta chiaramente inapplicabile per motivi economici e inopportuna per una società basata sul lavoro e non sulla sussistenza.

Adesso arriva anche Silvio Berlusconi, lui che di sogni irrealizzabili se ne intende, il quale anziché la zuppa promette il pan bagnato, non il reddito di cittadinanza ma quello di dignità. Luigi Di Maio reagisce stizzito e accusa Berlusconi di essere “un copione”. Che pena!

Ho sempre avuto una certa antipatia per i primi della classe: li sopportavo e li sopporto sono se lo sono veramente e soprattutto se lasciano copiare il compito in classe. Ebbene, Di Maio è il capoclasse tollerato da Beppe Grillo, non è certo il primo della classe a giudicare dalle fandonie che snocciola in continuazione e poi denuncia addirittura chi tenta di scopiazzargli il compito. Il massimo della sciatteria politicante. Berlusconi deve essere veramente alla frutta se non trova di meglio che scopiazzare i pentastellati, cavalcandone le più trite battaglie teoriche.

Sullo stesso file del televideo Rai in questi giorni erano collocati due titoli: “Di Maio: Berlusconi ci copia” e “La Costituzione compie 70 anni”. Peggiore accostamento non si poteva fare, a meno che non si intendesse rendere l’idea della sfacelo politico attuale rispetto al progetto politico costituzionale. I padri della Costituzione si rivolteranno nella tomba e chi ha speso la propria vita per conquistare libertà e democrazia si chiederà se ne valesse la pena. Siamo arrivati alla scuola degli asini…

Abbiamo di fronte quasi due mesi e, se il buon giorno si vede dal mattino, stiamo freschi. Una certa qual esasperazione dei toni propagandistici è da mettere in conto, ma tutto ha un limite e speriamo che tale limite il cittadino lo sappia far rispettare in cabina   elettorale. Qualcuno in un lontano passato disse, che essendo il voto segreto, bisognasse fare i conti comunque con Dio che vede tutto e non con Stalin che infatti non ammetteva il voto segreto. Oggi si potrebbe aggiornare la questione senza scomodare Dio e lasciando perdere Stalin. “In cabina ci dovrebbe entrare il buonsenso, lasciando perdere gli slogan elettorali la cui ridondanza formale è direttamente proporzionale alla inconsistenza sostanziale”.

Mia sorella Lucia amava ricordare, in riferimento alla schietta e profonda religiosità incarnata da don Raffaele Dagnino, suo maestro e storico sacerdote, l’incoraggiamento sui generis da lui fatto ad un’amica a cui era nato un figlio con una piccola imperfezioni fisica. «L’important l’è cal g’abia dal bon sens, ‘na roba ca ne’s compra miga dal bodgär» sentenziò con sano realismo umano e religioso di fronte alle ansie di una madre inquieta. Proviamo a farci guidare da questa merce rara durante la campagna elettorale, ma soprattutto al momento del voto.