Il sacrosanto diritto alla non sofferenza

Il biotestamento è legge. In estrema sintesi si può dire che il provvedimento tutela il diritto alla vita, alla salute, ma anche il diritto alla dignità e all’autodeterminazione e dispone che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Tra le principali novità introdotte, abbiamo le disposizioni anticipate di trattamento (Dat), attraverso le quali ogni persona può esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, compreso il rifiuto alle pratiche di nutrizione e idratazione artificiale.

Non si dovrà quindi più, come disse in una stupenda battuta polemica Pier Luigi Bersani (una delle poche…), accettare che a decidere la nostra morte sia il senatore Gaetano Quagliariello, preoccupato solo di compiacere i cattolici dotati di dogmatici paraocchi: un passo avanti, non c’è dubbio, infatti personalmente penso di avere il sacrosanto diritto a decidere in proprio, dal momento che la vita è stata donata a me ed io ne devo e ne dovrò rispondere. Ho fatto esperienze tali da convincermi che non solo il testamento biologico sia sacrosanto, ma anche la prospettiva di una seria legislazione in materia di eutanasia non sia da scartare a priori. Ma non voglio correre.

Non è questione di egoismo o di mancanza di coraggio, anzi si tratta di rispetto per la persona e per la sua volontà. Se anche la vogliamo mettere sul piano squisitamente religioso, non credo che il Padre Eterno nel giudicarci userà il cronometro per stabilire se una donna sta abortendo o prendendo una pillola anticoncezionale (beghe di frati, diceva Indro Montanelli); non userà il calendario per ammettere i nostri comportamenti contraccettivi (non ho mai capito perché astenersi dall’atto sessuale nei giorni fertili sia ammesso mentre intervenire con altre metodiche sia da condannare: il risultato è lo stesso, si tratta sempre di evitare il concepimento); non adotterà un manuale delle terapie non accanite per ammettere la nostra morte (non sarà il burocratico controllore della fine dei nostri giorni); non sottilizzerà per vedere se ci siamo accostati all’Eucaristia in odore di concubinaggio (i sacramenti non si negano a nessuno). Cerchiamo di essere seri.

Meno male che la politica ha avuto questo sussulto di dignità per legiferare in un campo estremamente delicato, ma affrontabile in base a due precisi concetti: il rispetto della persona umana, trovando il non facile ma corretto equilibrio fra diritto alla vita e diritto alla dignità e all’autodeterminazione; la laicità della politica, che deve puntare al bene dell’individuo e della comunità senza farsi condizionare dalle regole religiose.

Anche sulle regole religiose c’è molto da discutere e in materia ritengo opportuno rifarmi a quanto diceva don Andrea Gallo: «Non è la tutela dei diritti individuali uno dei cardini del messaggio evangelico? La nozione di vita deve essere alta, ricca, personale più di quanto non sia una nozione di organismo, oggetto della scienza. Dov’è l’amore? Dov’è il rispetto del primato della coscienza personale? Dov’è la pietà? C’è un vuoto d’amore in questa crociata cattolica e avanza un pesante fondamentalismo. Esistono regole come la libertà di cura e il divieto di accanimento terapeutico anche nel catechismo. Mi sembra che si voglia respingere un principio sancito dalla legge, come la libertà di non accettare cure. A Piergiorgio Welby, per sua volontà, mentre ascoltava la musica di Bob Dylan, dopo essere stato sedato, è stato staccato il sondino ed è spirato: era come un malato di tumore con metastasi, sapeva che l’operazione non sarebbe servita a nulla e l’ha rifiutata. Si può accettare un’esistenza dolorosa in un letto, completamente immobile? Per Welby era un inferno. Chi aveva il diritto di decidere per lui?».