Il Censis nel suo rapporto annuale scatta una impietosa fotografia sociale dell’Italia: «Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica, il blocco della mobilità sociale crea rancore e la paura del declassamento è il nuovo fantasma sociale». Il Censis aggiunge che l’87% degli appartenenti al ceto popolare ritiene difficile salire la scala sociale, l’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti, il 64% è convinto che il cittadino non conti nulla. In questo quadro l’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani, con valori più alti nei ceti più bassi.
Non è certo una immagine incoraggiante anche se evidenzia dati abbastanza scontati. Che la ripresa economica fatichi non tanto a consolidarsi ma a spalmarsi sull’occupazione è cosa nota, che getta secchiate gelide sulle speranze, peraltro avvalorate da convergenti dati sulla ripresa economica provenienti da varie istituzioni e da diversi settori. Non capisco chi nega ostinatamente che l’economia italiana si stia riprendendo, sostenendo che i dati sul Pil non sarebbero attendibili e artatamente gonfiati. Su questi dati, quando hanno davanti il segno negativo, si costruiscono analisi e giudizi catastrofici; quando il segno diventa positivo non ci si crede. Mi si perdonerà, al fine di rendere l’idea, una divagazione di carattere calcistico.
Nel corso di un campionato di serie B di molti anni fa assistemmo all’incontro tra il Parma, la nostra squadra che militava nei bassifondi della classifica, e il Cagliari, compagine di altissima classifica. Mio padre temeva molto questo scontro e pensava, come la gran parte del pubblico, che il Parma avrebbe subito una pesante sconfitta. Invece – il bello della imprevedibilità del calcio – il Parma vinse con un largo punteggio, un cinque a uno clamoroso. Uscimmo con pochi minuti di anticipo, visto il punteggio: «In faran miga quàtor gol in du minud» diceva mio padre mentre abbandonavamo con una certa soddisfazione lo stadio. Appena fuori, sullo stradone, incontrammo un distinto signore che ci chiese educatamente il risultato della partita. Risposi con orgoglio: «Il Parma ha vinto cinque a uno». Ci guardò con uno strano sorriso e proseguì per la sua strada. Mio padre mi disse: «Al ne gh’à miga cardù. Adésa al la dmandarà a ‘d j ätor…Al nostor Parma…s’al pèrda i criticon, s’al vensa i ne gh crèddon miga…».
Il discorso occupazionale fatica purtroppo a trovare una definitiva e significativa inversione di tendenza, anche se qualche risultato positivo può essere registrato, ma vale sempre il discorso di cui sopra.
Sarò un patito della politica, ma quelli che mi preoccupano maggiormente sono i dati sulla sfiducia dei cittadini nel sistema politico e la chiusura egoistica da parte dei ceti più bassi: una specie di sconfortante illusione di risolvere i problemi chiudendosi a riccio nella propria particolare pessimistica povertà, che così facendo da economica diventa intellettuale e morale.
John Kavanaugh, sacerdote gesuita, filosofo e osservatore critico della nostra società consumista, scrive: «Gli uomini e le donne hanno un valore inestimabile non perché possono servire come strumenti per generare un prodotto interno lordo o per costruire la terra, né perché sono capaci di produzione o di potere e di dominio, ma perché nell’abbraccio compassionevole della loro stessa verità, nella povertà del loro essere spaventosamente incompleti, si scoprono sì vulnerabili, ma radicalmente aperti in libertà alla pienezza dell’amore e della conoscenza personale. Essi incarnano il loro stesso Dio».
Mi sembra la migliore risposta possibile agli aridi dati del rapporto Censis, pur nella consapevolezza che la povertà molto spesso rimpicciolisce il cuore, ragion per cui, come diceva papa Giovanni, le persone, prima di essere coinvolte in discorsi di apertura spirituale e sociale, dovrebbero essere soddisfatte nei loro bisogni impellenti.
Giancarlo Bossi, eroico padre missionario nelle Filippine, in riferimento alla sua diretta esperienza scrive: «Ho capito che dovevo camminare con i piccoli, i poveri. Loro sono sempre più avanti di me, perché hanno valori innati che sono già cristiani…». Cosa direbbe
del fatto che, come sostiene il Censis, l’immigrazione evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani, con valori più alti nei ceti più bassi? Se non erro, infatti, ciò significherebbe che più si è poveri più si tende a osteggiare i poveri, nel caso gli immigrati. Che questa brutale constatazione non serva a mettere a posto la coscienza dei ricchi!