Il duello con le bacchette magiche

Le pensioni sono un tema che attira l’attenzione: di chi già le percepisce per il timore di vedersele messe in discussione o decurtate, di chi si avvicina all’età pensionabile per lamentarsi dello spostamento in avanti del relativo diritto, di chi è lontano dall’anzianità e teme di non raggiungere mai questo traguardo. Va quindi sul velluto chi cavalca l’argomento, come ad esempio la CGIL che vuole scendere in piazza per difendere tutti e rischia di finire col difendere (succede da parecchio tempo) solo i pensionati che la pensione ce l’hanno in tasca, Silvio Berlusconi che, in base al suo solito e irrinunciabile vezzo di promettere l’impossibile, preannuncia di alzare il trattamento minimo pensionistico a 1000 €, la sinistra, che più sinistra non si può, la quale strizza l’occhio alla CGIL e lascia intendere di essere in grado di invertire la tendenza rigorista, la destra, che più populista non si può, la quale continua a sparare contro la riforma Fornero, senza pensare che tale riforma si rese necessaria proprio a causa di una deriva politico-economica di cui era non l’unico, ma certamente un decisivo protagonista il sempre più sconclusionato e incredibile centro-destra.

Il governo Gentiloni ha timidamente e ragionevolmente provato a proporre una mitigazione dell’innalzamento dell’età pensionistica per alcune categorie di lavori usuranti e una prospettica e partecipata gestione del diritto alla pensione in base al rialzo delle aspettative di vita. La CGIL ha risposto con un no, annunciando una mobilitazione, facendo ricorso cioè, come si diceva un tempo, alla lotta di massa. Non so fino a qual punto questo importante sindacato riuscirà a portare in piazza pensionati e lavoratori, giovani ed anziani: fatto sta che questo rigido atteggiamento sembra dettato più da ragioni politiche (appoggio alle sinistre in rottura col PD) e dal recupero di consenso da parte dell’establishment sindacale (sempre più scollegato dalle istanze della gente che cerca un lavoro, che lavora e che ha finito di lavorare) che non da motivazioni di carattere socio-economico.

Il governo si è visto chiudere la porta in faccia: sinceramente credo non lo meritasse, così come non credo che il ricorso a scioperi e manifestazioni di piazza possa aumentare miracolosamente le risorse limitate con cui si devono fare i conti. Infatti ecco puntualmente arrivare l’avvertimento della Ue per la quale il persistere dell’alto debito pubblico, la bassa produttività, la disoccupazione giovanile preoccupano e rendono impraticabile una retromarcia sulla riforma delle pensioni nella manovra 2018, che deve essere attuata in modo rigido e senza sconti. Si dirà: il solito ritornello europeo! In parte è sicuramente vero, ma solo in parte, perché il debito lo abbiamo sul serio ed è riconducibile in gran parte al sistema pensionistico squilibrato.

Quindi da una parte Susanna Camuso, che fa la schizzinosa e dimentica che anche il sindacato in materia pensionistica ha non pochi scheletri nell’armadio, e dall’altra la Ue, che non perde occasione per fare la faccia dura: duellanti a distanza che brandiscono bacchette magiche.

Non invidio Gentiloni e Padoan. Non è il momento di indebolire il governo italiano sperando di sostituirlo a breve con chissà quale nuova compagine. Non è il momento di chinare pedissequamente il capo a Bruxelles. La situazione è difficile. Vogliamo provare tutti ad essere seri?

«I gh’ la fan» diceva mio padre fra sé, seduto davanti al video, ma in seconda fila, come era solito fare, per dare libero sfogo ai suoi commenti al vetriolo senza disturbare eccessivamente. Stavano trasmettendo notizie sulle battaglie sindacali a tappeto. Mi voltai incuriosito, anche perché, forse volutamente, la battuta, al primo sentire piuttosto ermetica, si prestava a contrastanti interpretazioni. «Co’ vot dir? A fär co’?» chiesi, deciso ad approfondire un discorso così provocatorio e intrigante. «A ruvinär l’Italia!» rispose papà in chiave liberatoria, sputando il rospo. Badate bene, mio padre era un antifascista convinto, di mentalità aperta e progressista, un tantino anarchico individualista: tuttavia amava ragionare con la propria testa e si accorgeva, fin dagli anni settanta, che la strategia sindacale stava esagerando in nome del “tutto e subito”.