Tutti sono soliti commentare i risultati elettorali a babbo morto, sciorinando affrettate proiezioni e conclusioni. Provo ad andare contro-corrente e a dire la mia a prescindere dai dati, che tutti aspettavano come un redde rationem dell’attuale politica italiana. Il commentino quindi non è assolutamente una riflessione sui dati emergenti dalle urne: ce ne saranno in giro anche troppe… Provo a rifiutare il senno di poi, optando per quello di prima.
Chi ha vinto dice che si trattava di un test di validità nazionale capace di fotografare una tendenza in atto; chi ha perso ridimensiona il risultato nella cornice regionale e nella specificità del quadro siciliano. Gli uni considerano le lezioni siciliane come l’antipasto di quelle politiche ormai prossime; gli altri fanno una netta distinzione tra voto amministrativo e politico, fra Sicilia e Italia tutta.
Due dati emergono comunque dalla campagna elettorale: innanzitutto dei problemi siciliani non è fregato niente a nessuno e gli isolani l’hanno capito astenendosi in massa (ha votato solo circa il 47% degli aventi diritto). Forse sarò stato distratto, ma non ho captato alcuna analisi seria dei gravissimi problemi dell’isola, nemmeno una valutazione obiettiva dell’uscente governo regionale, solo scaramucce polemiche fra candidati vecchi e nuovi, solo accuse reciproche di impresentabilità etica, di continuismo politico e, peggio ancora, di contiguità col fenomeno mafioso. I (pochi) Siciliani hanno esercitato il loro diritto al buio, scegliendo fra Renzi e i suoi detrattori, tra un centro-destra redivivo e un centro-sinistra diviso, tra Grillo e il resto del mondo.
La seconda riflessione riguarda la pochezza culturale e politica delle candidature: scarsa rappresentatività, carente preparazione e laddove esisteva una certa consistenza civica e professionale si respirava comunque una deleteria aria di improvvisazione, che ha caratterizzato questa consultazione, peraltro istituzionalmente importante anche per il fatto che la Sicilia è una regione a statuto speciale.
La politica è stata schiacciata tra le vuote polemiche partitiche e l’inadeguatezza dei suoi protagonisti: questi difetti dovrebbero quanto meno alleggerirsi con l’avvicinamento alla realtà periferica, invece, paradossalmente, più ci si accosta ai problemi concreti dei cittadini e più la risposta politica si fa evanescente e pretestuosa.
Sono preparato ad una coda polemica infinita e inconcludente. Non ho idea come (non) abbiano vissuto questo appuntamento i Siciliani e come vivranno il dopo-elezioni. Speriamo che la politica cattiva non scacci ulteriormente quella buona.
I leader nazionali si sono fatti vedere, combattuti fra la voglia di (s)qualificare la consultazione e il timore di rimanere sotto le macerie. La preoccupazione principale è che, sputtana le elezioni oggi, sputtanale domani, la democrazia si riduca sempre più ai minimi termini. Ricordo con quanto entusiasmo vennero vissute le prime elezioni regionali del 1970: è passato molto tempo, le regioni hanno istituzionalmente deluso al di là delle sparate autonomiste, i partiti si sono allontanati dalla gente, la politica vivacchia. Come detto la Sicilia è una regione a statuto speciale, ma di speciale ha ben poco da offrire: in questa occasione ha messo a disposizione il suo territorio per un duello di altro genere. Una sorta di pre-elezioni politiche, combattute in campo neutro, con tanto di padrini, di armi varie, di colpi bassi: qualcuno ha addirittura minacciato roghi per gli avversari. Può darsi che tutto passi alla storia come la Cavalleria Rusticana di Beppe Grillo, dove non si capisce chi fa la parte di compar Alfio e di Turiddu, mentre Santuzza (l’Italia) piange disperata.