I mangiatori di telegiornali

“Chi vespa mangia le mele, chi non vespa…”: era lo spot pubblicitario, dal vago (?) sapore erotico, messo in pista dalla Piaggio per promuovere l’ultima generazione del suo storico prodotto.

Vespa, oltre che essere il nome di un gran bel mezzo di trasporto è il nome di un noto giornalista, il Bruno nazionale. Nel periodo in cui dirigeva il principale telegiornale della televisione di stato, fecero scalpore alcune sue dichiarazioni pubbliche in cui affermava di considerare il partito della Democrazia Cristiana il suo “editore di riferimento”; venne di conseguenza accusato di non considerare l’informazione un servizio pubblico e di produrre un’informazione subordinata agli interessi della partitocrazia. Vespa disse in realtà che, essendo il Parlamento l’editore della Rai, un accordo fra i partiti aveva assegnato alla DC l’influenza sul primo canale, al PSI quella sul secondo e al PCI quella sul terzo, come fu riconosciuto poi da tutti.

Nonostante tutto considero la Rai erogatrice di un servizio pubblico e quindi a livello di informazione seguo testardamente i suoi telegiornali: una vera e propria inflattiva sarabanda, che sembra orientata a confondere e frastornare lo spettatore. Non c’è verso di mettervi ordine e razionalità: inutili e ripetitivi incarichi, assurdi sprechi, superficialità e impreparazione, presenze invadenti e invasive.

Da questo turbinio di giornalisti emerge un apparente assalto dietro cui si cela un sostanziale chiacchiericcio di comodo: se i giornalisti della Rai (e non solo…) un tempo erano scopertamente di parte, oggi stanno nascostamente e subdolamente dalla parte dello status quo nonostante le intemperanze di facciata. Nel momento in cui appaiono si sa già cosa (non) diranno e cosa chiederanno al politico di turno; si rifugeranno nella superficiale polemica, che in realtà non dà fastidio a nessuno.

Quando vigeva il regime della spartizione istituzionale, gli editori di riferimento almeno cercavano di coprire le loro caselle con giornalisti di notevole professionalità, i quali riuscivano paradossalmente a coniugare parzialità di giudizio e professionalità di metodo. Oggi scarseggiano le professionalità e restano le faziosità. Se devo essere sincero mi disturba più la mancanza di professionalità della faziosità, anche perché la prima direttamente o indirettamente dovrebbe calmierare la seconda, anche perché meglio combattere contro i capaci di tutto che contro i buoni a nulla. Quando la professionalità non fa più da filtro, emerge, anche se in modo coperto ma ancor più fastidioso, la parzialità (sarebbe forse opportuno chiamarla “polemica continua”).

Andava meglio quando andava peggio. Dall’informazione asservita alla politica siamo passati all’informazione scialba padrona della politica a cui tenta addirittura di dettare tempi e modi. In poche parole la Rai risponde a se stessa in una sorta di istituzione parallela di cui il salotto di Bruno Vespa è l’emblema, la terza Camera.

La par condicio esiste per la gestione degli spazi televisivi. Fra chi? Fra i garzoni di bottega che si dividono il video e non sanno nemmeno di cosa stanno parlando. Frotte di ragazzini o ragazzoni sguinzagliati in giro per il mondo o collocati a latere dei palazzi del potere per ripetere le solite menate o per lanciarsi in analisi sbrigative e gratuite. Nessun approfondimento critico, nessuna voglia di scavare, interviste all’acqua di rose, “gossiparizzazione” a tutto spiano : bla-bla o tifo.

Spegnere la televisione? A volte lo faccio! Ripiegare sistematicamente sulle televisioni private? Mi rifiuto di farlo! Mi rifugio nella nostalgia per le tribune politiche di un tempo, per i telegiornali di parte che tuttavia dicevano qualcosa, per un’informazione meno quantitativa e più qualitativa.

“Chi Vespa mangia la politica, chi non Vespa vomita la disinformazione”.