Ubi Di Maio, democrazia cessat

Mio padre, dall’alto del suo sano e genuino scetticismo politico, raccontava spesso la barzelletta del comizio onnicomprensivo: «Faremo questo, vi daremo quest’altro…». «E l’afta epizootica?» chiede un preoccupato agricoltore. «Vi daremo anche quella!».

I politici, in vena di campagna elettorale scoordinata e continuativa, cadono spesso e volentieri in questo approccio, che, oltretutto, ormai non incanta più nessuno. Luigi Di Maio, rappresentante ufficiale dell’anti-politica, dopo essersi insediato nella candidatura pentastellata a premier, non ha resistito alla tentazione ed ha cominciato a girare in lungo e in largo la penisola promettendo novità a destra e manca, ultima la riforma del sindacato dei lavoratori. Forse farebbe meglio a dichiarare una volta per tutte che vuole cambiare “tutto”: otterrebbe ancor più attenzione e consenso. Ci sarebbe però un allarmato cittadino che potrebbe chiedere: «E la democrazia?». «Cambieremo anche quella!».

In effetti tra una sparata populistica e l’altra, fra una consultazione informatica e l’altra, la democrazia nel disegno grillino sta cambiando (perdendo) la faccia. Il Parlamento serve solo quale cassa di risonanza delle proteste, il governo sarà il trampolino di lancio dei personaggi vicini al movimento, la magistratura indosserà il grembiule della “donna di servizio” per pulire la nazione e via discorrendo. Il Presidente della Repubblica andrà a lezione di democrazia da Di Maio (la scuola è già cominciata). E il sindacato? O si auto-riforma o lo riformiamo noi!

Intendiamoci bene, non voglio dire che i lavoratori siano rappresentati e guidati al meglio: il sindacato continua ad essere combattuto tra la tentazione dell’invasione del campo politico e quella del corporativismo o meglio della mera difesa dei diritti conquistati. L’autonomia dalla politica mostra le sue contraddizioni e la spinta riformista nel disegnare il ruolo del lavoro nella società moderna lascia alquanto a desiderare. In democrazia nessuno è intoccabile, ma risulta molto pericoloso un disegno che, dopo aver bypassato i partiti, sottovaluta le cosiddette forze intermedie per privilegiare il rapporto diretto fra governanti e governati, sostituendo o integrando la piazza col web. Ed ecco fatta la riforma costituzionale. Se non è populismo questo…

Non credo che il disegno grillino, se esiste, possa camminare sulle gambe di Luigi Di Maio, ma picchia oggi, picchia domani, la confusione aumenta e il bambino può finire nella fogna assieme all’acqua sporca.

Ho inizialmente riconosciuto al movimento cinque stelle e al suo vero leader il merito di avere incanalato e rappresentato una protesta che poteva degenerare ed assumere toni eversivi. Strada facendo il discorso tende però a capovolgersi e ad alimentare la protesta fine a se stessa.

Ricordo un colorito episodio della mia modesta vita politica. Partecipavo ad un convegno ed il relativo dibattito era fastidiosamente appiattito sulla conservazione dello status quo. Ero seduto vicino ad un caro e battagliero amico e lo istigai ad intervenire sfoderando la sua vis polemica: «Vai e tira giù» gli continuavo a dire. Ad un certo punto si convinse, chiese la parola e fece un intervento pazzesco, al punto che mi trovai costretto ad urlargli dietro ed a contestarlo apertamente dalla platea. Lui mi guardava esterrefatto, non capiva cosa fosse successo, io gridavo contro di lui perché stava dicendo cose inaccettabili. Lo stesso presidente dell’assemblea fu costretto ad intervenire, invitandolo alla calma ed a tenere un linguaggio corretto: «Chi conosce la tua spinta protestataria può anche capire, ma chi non ti conosce penserà che siamo una manica di ladri da abbattere senza pietà…».

Sta succedendo più o meno così con i grillini. Forse Grillo lo ha capito e si è in parte defilato. Sta aizzando Di Maio? Non vorrei che ad un certo punto si mettesse a sbraitare contro di lui. Sarebbe il massimo: l’auto-populismo all’attacco della democrazia.