I razzisti in curva e i coccodrilli in tribuna

Mio padre del fascismo mi forniva una lettura di base, tutt’altro che dotta, ma fatta di vita vissuta. Bastava trovarsi a passare in un borgo, dove era stata frettolosamente apposta sul muro una scritta contro il regime, per essere costretti, da un gruppo di camicie nere, a ripulirla con il proprio soprabito (non c’era verso di spiegare la propria estraneità al fatto, la prepotenza voleva così): i graffitari di oggi sarebbero ben serviti, ma se, per tenere puliti i muri, qualcuno fosse mai disposto a cose simili, diventerei graffitaro anch’io. Sì, perché su ordine e pulizia si è intransigenti solo se hanno un fondamento di contestazione politica, diversamente si lascia correre. Era ed è ancora così.

Bisogna quindi fare un discorsetto sulle scritte, sui manifesti, sulle bandiere, etc.: quando sono di stampo fascistoide, con quasi inevitabile punte razzistiche, vengono tollerati, si fanno chiacchiere il giorno dopo, ma sul momento si fa finta di non vedere. Se c’è poi di mezzo il dio-pallone, non si può disturbare il tifo anche se si arriva alla blasfemia nazista contro Anna Frank. È successo a Roma dove gli ultras laziali hanno inscenato una vomitevole kermesse anti-romanista, coinvolgendo l’immagine e la storia di una martire dell’anti-ebraismo.

Nessuno si è sognato di intervenire immediatamente e con le maniere forti, in stile caserma Diaz. Tutti hanno successivamente preso le distanze, hanno condannato, hanno garantito la punizione dei colpevoli, hanno distinto il tifo calcistico dalle manifestazioni di odio razziale, hanno recitato il solito rosario di inutili contumelie.

E se provassimo una buona volta a sottoporre questi giovanotti alle cure che i regimi da essi rimpianti applicavano ai dissidenti, rei di esprimere le loro idee tra l’altro in modo assai più urbano di quanto non facciano oggi i nostalgici nazi-fascisti. Niente violenza, intendiamoci, ma la condanna a certi “umili servigi” verso la collettività non guasterebbe. Invece i facinorosi del tifo razzista vengono spostati da una curva all’altra, magari si inibisce loro l’accesso allo stadio: in fin dei conti sono ragazzate… Andatelo a chiedere alle vittime della macelleria di Genova di parecchi anni or sono…

Quello però che mi disturba di più è la coccodrillesca reazione mediatica: dopo avere vezzeggiato i tifosi, dopo aver soffiato sul fuoco degli eventi calcistici, dopo aver fatto di una partita di calcio una questione di vita o di morte, partono con le solite ramanzine che durano lo spazio di un breve e stucchevole commento al campionato. Poi tutto come prima: questa volta è stato il turno di Anna Frank, la prossima vittima degli insulti razziali chi sarà?

La moviola (adesso si chiama VAR) è passata dai salotti televisivi ai bordi del campo, forse sarebbe il caso di spostarla sugli spalti: ne vedremmo delle belle. Probabilmente non finirebbe nemmeno una partita di calcio: allora meglio sorvolare e far finta di piangere sulle offese ad Anna Frank, che, parafrasando quanto detto da Gesù alle pie donne durante la via Crucis, ci consiglierà di piangere su di noi e sui nostri figli.