Il gioco dell’oca dell’immigrato

Non era difficile immaginare che una certa politica di contenimento dell’immigrazione avrebbe avuto il triste contraccolpo dell’ammassamento dei profughi nei lager libici. Questi disperati, che vengono fermati dalla guardia costiera libica, ritornano all’inferno, anzi sono partiti dall’inferno dei loro luoghi di origine, hanno attraversato l’inferno dei trafficanti e approdano all’inferno dei campi di concentramento: una sorta di macabro gioco dell’oca dell’immigrato.

In questo momento l’Europa sta facendo la politica dello struzzo, mette la testa sotto la sabbia e riconsegna indirettamente i profughi ai loro carcerieri sperando così di risolvere il problema, facendo calare sì gli arrivi, evitando le morti in mare, ma sottoponendo questi disgraziati a torture, violenze, maltrattamenti e umiliazioni.

Non faccio fatica a credere al rapporto e alle accuse di “Medici senza frontiere”. Un paese come la Libia, dilaniato da lotte tribali, diviso in due tronconi, senza uno straccio di classe dirigente, non è in grado di gestire l’emergenza immigrazione. Anche gli eventuali aiuti economici rischiano di essere ininfluenti e di non creare alcun sollievo ai migranti accatastati nei centri di detenzione in attesa di un impossibile ritorno nei loro Paesi.

Penso, spero di sbagliare, che anche in Turchia la situazione non sia molto diversa. Tramite Turchia e Libia stiamo riuscendo a bloccare i traffici, ma non stiamo affatto risolvendo o avviando a soluzione il problema.   Agli annosi ritardi accumulati nella politica verso i Paesi sottosviluppati, aggiungiamo la pretesa di recuperare gli errori e le situazioni drammatiche, allontanando dalle nostre coste la pressione, ributtando indietro i fuggitivi e spostando il tutto in campo neutro.

Come minimo bisognerebbe avere il coraggio di controllare veramente quanto succede in questi luoghi di decantazione del problema e non limitarsi a prendere atto con soddisfazione dei risultati ottenuti in mare. Il problema è enorme e nessuno ha la ricetta in tasca. Però l’Europa deve trovare una politica comune che ripartisca equamente i sacrifici, deve stanziare le risorse materiali e umane necessarie, deve “intromettersi” in questi Stati per favorirne un minimo di responsabilizzazione democratica, deve guardare meno alle urne elettorali e più alla gente che soffre e muore, deve riuscire a rasserenare il clima tranquillizzando i “poveri nostrani” e togliendoli dall’inganno della contrapposizione ai ”poveri stranieri”, deve cessare di rincorrere i fantasmi populistici per battere i populismi, deve parlare chiaro ai cittadini senza nascondere i problemi e la verità.

Se sapessimo riflettere di fronte all’orrore dei morti in mare, dei profughi sfruttati dai trafficanti, delle torture inferte ai migranti intercettati e riportati indietro, se alla sera, prima di addormentarci, avessimo il coraggio di pensare a come (non) dormiranno gli ospiti (?) dei campi di concentramento in Libia e forse anche nei centri di accoglienza in Italia, i Salvini di turno dovrebbero cambiare mestiere, gli imprenditori della paura dovrebbero rischiare sulla propria pelle e non speculare su quella degli altri, i politici tutti dovrebbero aprire la mente e il cuore e fare fino in fondo il proprio dovere.

Non parto però dai politici, ma dai singoli cittadini che devono smetterla di mentire spudoratamente a loro stessi criminalizzando un fenomeno che, se di criminale ha qualcosa, dipende in tutto e per tutto anche dal nostro passato e dal nostro presente. È comodo scandalizzarsi se delinque un immigrato e sorvolare sulla delinquenza nostrana a tutti i livelli; è scorretto pensare che chi ha fame voglia rubarci il pane; è inaccettabile far finta di credere che i migranti siano terroristi camuffati da poveracci. Sconfiggiamo questi vergognosi luoghi comuni. Poi potremo discutere seriamente e pretendere che la politica faccia la sua parte, che è anche la nostra parte.