Realpolitik e realterrorismo

A mio modesto parere la storia insegna che ogni forma di terrorismo fa leva, dal punto di vista culturale e sociale sul fanatismo, religioso o di altra matrice, ma per reggersi ha bisogno di appoggi politici ed economici, a volte espressi, a volte coperti.

Per stare in Italia pensiamo al terrorismo della destra eversiva, che portò alla catena di stragi, da piazza Fontana alla stazione di Bologna: si serviva di deliranti e nostalgici nazi-fascisti, ma poteva contare sulla complicità dei servizi segreti più o meno deviati e sulla “simpatia” della massoneria, rientrava cioè in un disegno eversivo che andava ben oltre i farneticanti progetti dei vari Freda, Ventura, Fioravanti e Mambro.

Possiamo fare riferimento anche al terrorismo di sinistra: le brigate rosse sul piano sociale portarono a compimento il percorso rivoluzionario dei gruppi extra-parlamentari, si collegarono culturalmente all’impazzimento dell’ideologia comunista ed anticapitalista, ma furono oggettivamente strumentalizzate dai paesi dell’Est europeo da una parte e dai complottisti americani dall’altra. Il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro sono al riguardo molto eloquenti e significativi.

La verità non uscirà mai per due motivi molto semplici. Innanzi tutto i combattenti in campo a livello terroristico non ammetteranno mai di essere stati guidati e usati per scopi a loro estranei, addirittura, per certi versi, a loro nettamente contrari: la loro debacle culturale è dura da digerire, più dura di trent’anni di galera. In secondo luogo le forze tramanti nell’ombra non verranno mai alla luce in quanto aggrovigliate col potere, aggrappate ai sistemi e ai regimi e pronte a riciclarsi camaleonticamente col tempo e nel tempo.

Il discorso vale anche per il terrorismo cosiddetto islamico (definizione semplicista e scorretta). Sul piano culturale esso fa leva sulla fanatizzazione degli equivoci della religione islamica e sui retaggi di un insopprimibile e storico sentimento anticoloniale, dal punto di vista sociale sfrutta il disadattamento umano e il disagio di minoranze, situate, più psicologicamente che effettivamente, ai limiti della ghettizzazione economica della popolazione proveniente dai paesi islamici e non integrata nella nostra società.

Non c’è tuttavia Isis che tenga, terrorismo che si avvalga della facoltà di morire per la causa, senza appoggi economici, logistici, politici a livello internazionale. Certi Paesi islamici foraggiano e sostengono questo radicalismo terrorista perché fa loro da scudo e da alibi, tiene loro calde le folle, li accredita come difensori dell’Islam, fa per loro conto il lavoro sporco che consente il mantenimento degli equilibri di potere a livello mondiale, li protegge dai rischi di svolte democratiche (le varie spontanee primavere democratiche a cui succedono gli inverni teocratici).

Quando penso che l’Occidente non deve attestarsi sul presuntuoso convincimento di resistere al terrorismo senza cambiare nulla, mi riferisco proprio alla strategia diplomatica ed anche al filo dei rapporti affaristici con Arabia Saudita ed altri Paesi di questa area geografica. Se non avremo il coraggio di recidere questi legami, continueremo ad allevarci le serpi in seno. La condanna petrolifera incombe sul nostro capo. Donald Trump, da provetto imbecille diplomatico, non a caso si è spinto ancor più avanti nei rapporti con l’Arabia Saudita, ne ha conclamato il ruolo, ne ha colto le sporche opportunità economiche. I giochi sono tutti aperti e coperti. La caduta dei blocchi, la fine della guerra fredda, il rimescolamento delle carte hanno reso inestricabile la matassa dei rapporti internazionali, all’interno dei quali trova buon gioco il terrorismo islamico quale elemento impazzito ma non troppo.

È inutile far finta di scandalizzarsi perché l’Italia ha ripristinato il collegamento con l’Egitto al di là delle responsabilità di questo Paese per l’uccisione del nostro connazionale Giulio Regni. E gli Usa non facciano i saputelli della situazione. Non si può andare contro questi Stati, anzi vi è chi autorevolmente ipotizza di utilizzare questi rapporti border line per combattere o almeno contenere il terrorismo. Pie illusioni della realpolitik.

Se è vero come è vero che l’errore più clamoroso è stata la bushiana e ingiustificata invasione dell’Iraq, se è vero come è vero che la sbornia guerrafondaia anglo-francese sfogatasi contro la Libia di Gheddafi è stato un autentico disastro diplomatico, non possiamo tuttavia pensare di destreggiarci tra un dittatore e l’altro, per difenderci dal terrorismo dilagante. Bisogna avere il coraggio di fare scelte di campo, non per dividere il nemico ma per cambiare il campo di gioco. Nel calcio devono sussistere gravi motivi per disporre l’inversione di campo. I gravi motivi ci sono e allora…