Gli acuti steccati alla “viva il sindaco”

Una cosa è certa, il 25 giugno 2017, giorno del ballottaggio alle elezioni amministrative del Comune di Parma, non sono andato né al mare né ai monti. Me ne sono stato in casa al fresco artificiale, con la “morte politica nel cuore”. Spiego il perché.

Dopo tanti e reiterati tentativi di trovare un motivo per recarmi alle urne (la ricerca dell’ago nel pagliaio della politica amministrativa parmense), ho finito, come avevo peraltro previsto e come avevo già fatto al primo turno, con l’astenermi: una decisione sofferta, assolutamente non soddisfacente, ma coscientemente presa.

Ho valutato, senza prevenzione, i candidati (nonostante il loro scarso appeal), ho sbirciato i loro programmi (aria fritta), ho considerato il significato politico della consultazione amministrativa (questione dell’uovo e della gallina), ho ripassato l’insegnamento di chi giustamente sostiene che si può votare anche per il meno peggio (non l’ho sinceramente trovato, riscontrando una perfetta corrispondenza biunivoca tra i candidati), ho persino aperto la coscienza alla storia di coloro che hanno dato la vita per conquistare il diritto al voto (alla fine mi è sembrato di offenderli con un voto dato così, tanto per votare), ho ripensato ai buoni amministratori che Parma ha avuto nella sua storia democratica (troppo lontani nel tempo e troppo diversi da quelli di oggi).

I faccia a faccia che, lo ammetto, ho seguito di sfuggita, mi pare abbiano evidenziato (al di là dei toni reciprocamente arroganti volti a soddisfare le pur scarse tifoserie e nascondere, da una parte, mancanza di proposta e dall’altra   di risultati ottenuti) un’assenza di pathos e un ripiegamento sui luoghi comuni, con particolare riguardo a quello della sicurezza. Siamo tutti per la sicurezza: il problema è se perseguirla chiudendoci nel nostro guscio, illudendoci di tenere fuori dalla porta quei rischi che puntualmente arrivano dalla finestra oppure se avere il coraggio di affrontare i nodi sociali che covano sotto la cenere. A proposito di sicurezza o meglio del suo contrario che è la paura, riporto le riflessioni della pastora battista Lidia Maggi, teologa e biblista: «Viviamo di paura. Paura di tutto. E anche altri vivono delle nostre paure: politici e funzionari del sacro, pronti a riscuotere gli interessi delle nostre paure. Viviamo di paura e la paura non ci fa vivere. Dietro porte blindate, chiuse a doppia mandata, vediamo la vita passare, col panico che qualcuno ce la tolga. Ce la stiamo togliendo noi stessi».

Mi fermo perché quando manca la sintonia è inutile insistere. Voglio invece ripiegare sull’ardita similitudine tra la passione per il canto e quella per la politica. Vado, come spesso accade, a prestito da mio padre, che, tanto per esser chiari non era un patito dell’acuto per l’acuto, men che meno dell’acuto sparato alla “viva il parroco”; apprezzava certamente l’esuberanza e la sicurezza vocali che sintetizzava in un modo di dire curioso ma plastico, rivolto soprattutto ai soprani, “la va pr’aria” , ma soprattutto si entusiasmava per la frase incisiva, per l’interpretazione trascinante, per gli interpreti “chi fan gnir i zgrizór”, per i cantanti che lasciano un segno forte nel personaggio più che nel ruolo. Ebbene i candidati a sindaco di Parma non andavano “pr’aria” e non facevano venire “i zgrizór”, forse davano solo i brividi della paura di essere male amministrati. Non incuriosivano cioè la mente e non scaldavano il cuore.

Insomma, le ho provate tutte e non ce l’ho fatta. Ho tentato l’approccio culturale, storico, razionale, sentimentale, programmatico: niente da fare. Ho sgombrato la mente da pregiudizi, dalla giustificata ossessione di vedere Parma governata dai cosiddetti poteri forti (peraltro non lontana dalla realtà storica di un lungo periodo, non ancora archiviato). Mi sono astenuto! Vorrei sforzarmi non tanto di giustificarmi, ma di dare un significato a questa non scelta.   Forse è una tardiva e petulante dichiarazione d’amore per la mia città. Forse è solo un sintomo di vecchiaia e di mancanza di volontà di combattere le buone battaglie. Forse è un atto di presunzione o di superbia. Forse ho sempre avuto passione per la politica, ma non sono mai riuscito a entrare nei suoi difficili meccanismi. Forse l’esperienza mi condiziona e mi scoraggia. Potrei continuare, ma non lo faccio. Mi sono astenuto! Punto e stop. Se ho sbagliato, me ne assumo tutta la responsabilità; se ho fatto bene, non me ne vanto per niente. Sarà, spero, per la prossima volta.