Le elezioni (non) s’hanno da fare

È da oltre sei mesi che il nostro paese vive nel tormentone elettorale: la legge per votare non c’è, complice lo sciagurato fallimento delle riforme costituzionali,   conseguenza di un eccessivo tuziorismo della Corte Costituzionale, effetto di una classe politica che non riesce a guardare oltre il naso dei propri calcoli di bottega; la voglia di ricorrere alle elezioni anticipate è altalenante: tutti le vogliono e tutti non se ne intendono assumere la responsabilità, i motivi a favore sono tanti ed altrettanti quelli contro. Quando i giochi sembrano fatti, il banco salta e si ricomincia tutto da capo. Se si profila un accordo spuntano le grida allarmistiche all’ignobile connubio, se l’accordo si allontana si censura la rigidità delle posizioni che portano allo stallo.

Elezioni anticipate sì, elezioni anticipate no. Ad esse molto probabilmente si annette un importanza eccessiva, un effetto taumaturgico sul piano della tenuta democratica e del funzionamento istituzionale. E facciamole una buona volta! Se ne uscirà un casino pazzesco negli equilibri fra partiti e coalizioni, ce lo saremo meritato. E il giorno dopo si ricomincerà a parlare di elezioni.

Purtroppo la cura elettorale rischia di peggiorare la malattia politica costituita da partiti inadeguati, rissosi e inconcludenti. Le elezioni rischiano di essere la chemioterapia per il tumore partitico: bloccano le metastasi ma debilitano il sistema.

Si fa un gran parlare di sistema elettorale maggioritario o proporzionale con tutte le opzioni intermedie: si chiacchiera di rappresentatività e governabilità,   di partiti e di piccole e grandi coalizioni, di sbarramenti e premi. L’ingegneria e la fantasia elettorali   sono purtroppo inversamente proporzionali alla concretezza dei problemi ed alla loro soluzione.

All’inizio degli anni novanta andò i crisi, per tutta una serie di motivi, la classe dirigente   politica che aveva retto il lungo periodo dal dopoguerra in avanti. Ricordo che Gianni Agnelli previde tempi duri in quanto, a suo giudizio, sarebbero occorsi venti anni per crearne una nuova all’altezza delle mutate situazioni. I venti anni, coincidenti, più o meno, con lo spreco del berlusconismo, sono passati, ma la nuova classe dirigente fatica ad emergere, tra personalismi eccessivi e politicismi incalliti.

Il problema mi sembra questo, prima e al di là dei sistemi e delle consultazioni elettorali. Per parafrasare un vecchio detto: web pieno (di stronzate), urne (probabilmente) sempre più vuote, politica (drammaticamente) assente dai problemi e lontana dai cittadini.

Basta guardare come si rischia di arrivare alle elezioni anticipate, non sulla base della impossibilità o incapacità di affrontare importanti questioni, ma facendo detonare scontri pretestuosi su falsi problemi di principio (leggi voucher e lavoro occasionale). Questo comporterà che anche la successiva campagna elettorale si snoderà su temi polemici, sul rimpallo di responsabilità in ordine all’interruzione dell’esperienza governativa, sullo scontro tra una politica debole e pasticciona e un’antipolitica confusa e pericolosa.

Non invidio il Presidente della Repubblica, il quale ha il compito di arbitrare una partita brutta, fallosa ed ostruzionistica. Speriamo nel suo senso delle Istituzioni, nel suo equilibrio politico e, come ha detto Trump (fra le tante cazzate, questa l’ha indovinata), nella grande reputazione di cui gode.