Per essere europeisti bisogna essere…Draghi

Siamo colposamente abituati a leggere la storia con gli occhiali deformanti dell’attualità: vale per il passato e per il futuro. Enfatizziamo gli eventi politici del momento assegnando ad essi un significato ed una portata tali da segnare irrimediabilmente la storia degli anni a venire.

La brexit è stata e viene vissuta come una irreversibile sconfitta dell’unità europea; la vittoria di Trump alle elezioni americane come la fine della globalizzazione; l’esito delle elezioni presidenziali francesi come un passaggio decisivo nel processo di unificazione europeo. Non si tratta certamente di eventi marginali, ma nemmeno di questioni decisive.

Così come non credo che l’esito delle elezioni francesi non sia determinato dall’attentato più o meno terroristico e più o meno islamico ai Campi Elisi, ritengo che il risultato elettorale, qualunque sia, non sarà decisivo per il futuro dell’Europa.

Non per il gusto di andare contro corrente, ma se prevarrà un candidato antieuropeista non è detto che si scatenino a livello continentale tutte le pulsioni nazionaliste o sovraniste; potrebbe trattarsi anche di uno choc benefico tale da accelerare il percorso unitario, rivedendo magari quel paralizzante status quo che sembra imbalsamare la Ue imprigionandola in burocratici meccanismi di conservazione; in senso inverso l’affermazione di un Presidente francese europeista potrebbe paradossalmente comportare un rilassamento nelle istituzioni europee tale da sclerotizzare i meccanismi di crescita e di integrazione ulteriore.

Non diamo a Marine Le Pen il carisma e il potere che non ha, vale a dire quello di interrompere o invertire il corso della storia europea; non assegnerei neanche a Emmanuel Macron, pur con tutta la fiducia e simpatia che mi ispira, il ruolo di difensore e sviluppatore dell’Unione Europea. Andiamo adagio. Come nella vita individuale, anche nella vita sociale e politica basta poco per smentire le facili e drammatiche previsioni.

Restando al discorso europeo bisogna convincersi innanzitutto che non ha alternative e che le proposte antieuropee scontano un pressappochismo ed un velleitarismo immediatamente implodenti. Non c’è spazio per fughe all’indietro. La strada è obbligata. C’è modo e modo di percorrerla: qui stanno le questioni serie e qui si gioca il futuro. Sono ridicole le sparate referendarie dei Salvini, dei Grillo e di personaggi italiani e di altri Stati europei.

Perché l’europeismo segna il passo nella mentalità dei cittadini? Perché cammina sulle gambe della classe dirigente e, se questa non è credibile, si aprono praterie per le battaglie strumentali dei disfattisti e dei fascisti vecchi e nuovi.

Quante volte ho sentito ripetere il ritornello lamentoso verso lo strapotere regionale ai danni di Parma: in Emilia-Romagna non contiamo niente, siamo tagliati fuori, veniamo trattati come parenti ricchi e indesiderati…

In parte era ed è la verità, ma soprattutto per colpa nostra perché non abbiamo mai saputo esprimere ai vari livelli e nei diversi settori una classe dirigente all’altezza del compito e spendibile in sede regionale. Laddove non si è autorevolmente presenti diventa impossibile pesare nelle decisioni, si prende quel che arriva e si tace.

Quando ebbi l’occasione, per motivi professionali, di partecipare direttamente e di introdurmi, modestamente ma fattivamente, nell’establishment regionale, capii ancor meglio la situazione e riuscii faticosamente a inserirmi nei meccanismi decisionali nella misura in cui portai un contributo all’altezza del compito che mi era stato assegnato: non contavo in quanto parmigiano, ma se e in quanto sapevo fare il mio mestiere. Di conseguenza ne beneficiava la mia provincia di provenienza e di appartenenza. A chi si intestardiva ad accusare reggiani e modenesi di prevaricazione ero costretto e rispondere: può darsi, ma loro ci sono, noi no! Gli assenti hanno sempre torto.

Questa situazione, a mio avviso, si verifica anche nei rapporti tra Italia e Unione Europea. Faccio tre esempi. All’Italia è spettato di ricoprire l’incarico di Alto rappresentante per la politica estera abbinato ad una vice-presidenza della Commissione. Si dirà: ma il ministro degli esteri europeo non conta nulla dal momento che ogni Stato fa la sua politica estera e l’Unione non riesce a presentarsi con una voce unica. Anche questo è vero, però Federica Mogherini, pur con tutto il rispetto e la simpatia che provo nei suoi confronti, mi sembra “debolina”. Se alla “leggerezza” della carica aggiungiamo la “debolezza” dell’incaricato…Le occasioni di sedersi a certi tavoli internazionali non mancano, la possibilità di far pesare l’opinione e la visione italiana è notevole. Allora forza e coraggio. Se ci siamo, battiamo un colpo e lasciamo da parte le lamentazioni.

Da qualche giorno abbiamo un italiano alla presidenza del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, non è uno scherzo. Presiedere questa istituzione democraticamente rappresentativa è non solo prestigioso, ma influente e importante anche per il nostro Paese. Sarà una “gabbia di matti”, un’assemblea pletorica ed afunzionale, un organismo con scarsi poteri: tutto vero. Ma se ci siamo, battiamo un colpo. Staremo a vedere…

La dimostrazione di quanto vado sostenendo la incarna Mario Draghi. È vero che la BCE è una istituzione di forte peso economico e politico, ma avere un italiano di grande e indiscutibile competenza, di idee aperte, convinto europeista, banchiere integerrimo, ci consente di avvalerci di una corretta sponda e di essere autorevolmente in prima linea dove si decidono i destini del nostro continente. Non manca la contestazione nei suoi confronti, non gli vengono risparmiate critiche anche per il solo fatto di essere italiano e sud-europeo, ma la sua competenza e la sua visione prevalgono. Cosa sarebbero l’Europa e l’Italia se in questi anni Mario Draghi non avesse presieduto la BCE?

Permettetemi di ritenere che il futuro europeo dipenda molto più dalla competenza, dall’equilibrio e dalla serietà di Mario Draghi che dalla demagogia da quattro soldi di Marine Le Pen.

La politica cammina sulle gambe degli uomini. Le elezioni e le istituzioni contano, ma conta soprattutto chi vive le realtà dal di dentro e nel tempo.