La Rai non è un r(a)ing

Una delle contestazioni principali che vengono fatte a Erdogan, tese a dimostrare il graduale passaggio da democrazia a regime autoritario della Turchia, è quella di mettere il bavaglio alla stampa arrivando persino ad arrestare i giornalisti ostili al suo corso. In effetti la libertà di stampa è un dato costitutivo e qualificante della democrazia.

Di conseguenza non è accettabile alcuna censura preventiva o successiva anche sulle trasmissioni televisive che ospitano inchieste su argomenti eticamente delicati e socialmente rilevanti come la vaccinazione contro il papilloma virus.

Se il discorso riguarda il servizio pubblico televisivo, si fa ancora più pesante: servizio pubblico non vuol dire mandare in onda trasmissioni funzionali al sistema, che non ne denuncino cioè le incongruenze e le ingiustizie, ma mettere, senza reticenze e timori reverenziali, a disposizione dell’utente il maggior quantitativo possibile di elementi di giudizio su argomenti e problemi di interesse pubblico.

Restando al discorso della vaccinazione, un inchiesta televisiva non deve essere un mero spot a favore, ma nemmeno una faziosa e vorticosa contestazione. La Rai dovrebbe pretendere dai suoi giornalisti un atteggiamento obiettivo ed equilibrato, che rifugga da tentazioni   meramente scandalistiche da lasciare semmai all’iniziativa delle televisioni private.

Le libertà sono un bene irrinunciabile, ma “inabusabile”. Qualcuno tende ad approfittare salvo gridare allo scandalo e alla censura se una qualsivoglia autorità si permette di contestare il rispetto dei principi di obiettività e correttezza. Non vedo niente di grave se a livello parlamentare ci si chiede se una clamorosa inchiesta targata Rai sia una cosa seria o una gag teatrale. Non giudico una intromissione partitica il sacrosanto diritto di chiedere conto agli amministratori della Rai di cosa va in onda su problematiche fondamentali per la vita dei cittadini, non mi sorprendo se un amministratore Rai chiede conto di ciò al direttore generale e non mi stupisco se il direttore generale pretende spiegazioni dal direttore di rete e dal responsabile del programma per poi eventualmente adottare decisioni adeguate alla situazione.

Sui vaccini non si possono fare polemica fine a se stessa, informazione settaria, mera provocazione. Il problema è troppo importante per essere sbrigativamente liquidato con la registrazione unilaterale di gravi conseguenze indesiderate del vaccino, che hanno tutto il diritto di essere espresse e testimoniate, ma non possono essere l’unica voce che fa testo e orienta la pubblica opinione inoculandole dubbi e perplessità. Con tutto il rispetto per le capacità professionali e la verve giornalistica di Sigfrido Ranucci, attuale conduttore di Report, la trasmissione entrata nell’occhio del ciclone, sul discorso vaccini vorrei sentire anche il parere delle autorità scientifiche, di quelle sanitarie e di quelle politiche, possibilmente in modo contestuale e non en passant rispetto alle informazioni critiche ed alla messa in discussione dell’utilità dei vaccini.   Mi è dovuto come cittadino e Ranucci non può cavarsela, magari dicendo di avere invitato le Istituzioni, Ministero della Salute e Istituto superiore di sanità, che non hanno raccolto tale sollecitazione.

Sarebbe un errore far chiudere i battenti a una trasmissione rea di essere andata oltre il seminato dell’obiettività e della completezza informativa: potrebbe diventare addirittura lo sfogo per altri regolamenti di conti tra politica e televisione pubblica, un avvertimento per evitare critiche al sistema. Chi di dovere vigili attentamente: vigilare non vuol dire intromettersi né prevaricare. Chi ha la responsabilità di gestire l’informazione Rai esamini la situazione e, se del caso, corregga il tiro, prendendo le più opportune misure in linea con la libertà di stampa, con l’etica professionale e con il diritto dei cittadini ad essere informati correttamente, senza peli sulla lingua ma anche senza pelo sullo stomaco.

I giornalisti devono fare un bagno di orgoglio per quanto concerne le libertà costituzionali inerenti il loro mestiere, ma anche un bagno di umiltà per come utilizzano queste libertà a sevizio degli utenti. La Rai non è una qualsiasi emittente televisiva, è un servizio pubblico e chi ci lavora dentro deve saperlo e comportarsi di conseguenza, altrimenti può cambiare mestiere o emittente. Non saranno padri eterni i politici, ma non lo sono certamente nemmeno i giornalisti Rai e i loro strumentali difensori d’ufficio. La Rai non diventi l’interposta persona tramite la quale si scatena l’ira critica verso il sistema o la pregiudiziale difesa del sistema stesso.

In questi giorni, parlando di altre cose, mi è venuto spontaneo definire il “senso politico” come la capacità di prevedere le conseguenze pubbliche dei propri pronunciamenti istituzionali e professionali e financo dei propri comportamenti privati. Quando si dice fuori la politica dalla Rai, si dice una solenne minchiata. La Rai è politica, quella vera, quella a servizio dei cittadini e non ad uso dei partiti, dei dirigenti e dei giornalisti. Quando si ipotizzano formule neutre e tecnocratiche di gestione Rai, resto molto perplesso. Tutto sommato preferisco che a sovrintendere siano le Istituzioni col rischio della partitizzazione, piuttosto che lasciare il tutto nelle mani dei cosiddetti esperti   col rischio della giubilazione.