Il terrorismo dell’anti-politica

La bagarre politica italiana sta raggiungendo livelli di guardia: non si riesce più a ragionare, l’insulto è diventato la norma, gli argomenti non contano nulla, vale solo la sputtanata personale. Non volano manciate, ma secchiate di fango (per non dire di peggio).

Ammetto che ci possa essere un clima di sfiducia, non ammetto che da dentro le istituzioni e i partiti si alimenti questo clima dando ai cittadini l’illusione che il politically scorrett possa servire a qualcosa. Come quando i tifosi di una squadra di calcio, a risultato negativo acquisito, si sfogano a gridare insulti ai giocatori avversari, pareggiando il conto dei goal subiti con quello delle offese rivolte ai contendenti.

Qualcuno (Matteo Salvini) dice apertamente che sarebbe disposto a “tutto” pur di costringere il Presidente della Repubblica a sciogliere le Camere e a mandare tutti alle urne: non so cosa comprenda il termine “tutto”, sicuramente allearsi con il peggior nemico, tradire il miglior amico, sputtanare a casaccio chi detiene il potere, soffiare sul fuoco di tutte le proteste, spargere veleni a destra e manca, andare contro la storia e la geografia, ridurre la politica ad una rissa continua.

Qualcun altro (Beppe Grillo) riduce la scena politica allo sberleffo continuo e di cattivo gusto, alle linguacce di alto impatto mediatico, alla gara a chi la spara più grossa. Ricordo come, per un insegnante estremamente trasgressivo nel linguaggio a cui gli studenti la davano sù, scoppiò un tale casino da travolgere la credibilità dell’intero istituto scolastico. Uno studente fra i più seri commentò amaramente: «Sparlare e sproloquiare è indubbiamente un modo per dialogare: il peggiore che ci sia…».

Attenzione perché, chi semina vento oggi, domani, dopodomani, va a finire che   raccoglie violenza per tutti: non mi stupirei che qualche esaltato prendesse in mano un’arma e cominciasse a sparare. Il clima c’è, il resto alla prima occasione.

Bisogna reagire e tento di farlo occupandomi degli aspetti più sostanziosi del dibattito (?) in corso, astraendomi, per un attimo almeno, dall’insultificio dilagante. Gli errori del governo Renzi e del renzismo in genere. Faccio riferimento all’analisi apparsa nei giorni scorsi su la Repubblica a firma di Emanuele Felice: discutibile, ma indubbiamente interessante.

Da una parte, a suo scrivere, le meritorie riforme avviate (pubblica amministrazione, giustizia, settore del credito, istruzione, riduzione delle imposte alle imprese, nuovo codice degli appalti, ordinamento costituzionale), dall’altra le scelte demagogiche e dispersive (abolizione tasse sulla prima casa, rottamazione di Equitalia, precarizzazione del mercato del lavoro, aiuti a pioggia, interventi clientelari nel Mezzogiorno, politica degli annunci, ottimismo a tutti i costi).

A parte il fatto che non penso abbia fatto dispiacere a parecchi Italiani ricevere un bonus, non pagare tasse sulla casa in cui si abita, passare in ruolo nell’impiego scolastico, trovare un lavoro, seppur a tempo determinato, tuttavia c’è sicuramente una parte di verità nella suddetta analisi, anche perché quando si mette molta carne al fuoco è quasi inevitabile che qualche pezzo vada bruciato. E allora cosa facciamo? Votiamo No e buttiamo tutto a mare. I cittadini, si badi bene, hanno fatto così, non hanno purtroppo respinto l’ottimismo a tutti i costi, ma, spinti dal pessimismo inoculato dai profeti di sventura, hanno respinto le riforme, quelle buone, dalla costituzione in giù. Hanno buttato, come si suol dire, il bambino delle riforme assieme all’acqua sporca delle scelte dispersive.

Poi arriva il problema della classe dirigente. Renzi avrebbe ceduto alla tentazione dell’uomo solo al comando contro tutti, senza cinghie di trasmissione nella società e nel suo partito, cercando un rapporto diretto con l’elettorato. Anche qui c’è del vero. Come ha più volte affermato Massimo Cacciari, non si può governare contro tutti: magistrati, insegnanti, pubblici dipendenti, sindacati, politici di vecchia data, etc.

L’Italia è imprigionata da un meccanismo corporativo di conservazione, che deve essere preventivamente   e necessariamente messo in discussione. In base a questo meccanismo viene inoltre selezionata e formata la classe dirigente e quindi la situazione tende a perpetuarsi e a impaludare tutto il Paese. Se guardiamo indietro, non dico certo che non sia stato fatto nulla, ma sicuramente non si è fatto molto.

Se stiamo ad aspettare, prima di partire, una nuova classe dirigente, aspettiamo per vent’anni   Godot. Meglio provare a partire a costo di sbagliare parecchie cose, con la possibilità di aggiustarle strada facendo, piuttosto che discutere all’infinito per trovare continuamente motivi plausibili di rinvio. È la solita storia: a chi ha governato per tempi biblici si perdona molto, a chi ha appena iniziato a governare non si perdona nulla.

In questi giorni si fa un gran scrivere su Emmanuel Macron, il candidato all’Eliseo che assomiglia al Tony Blair degli esordi; secondo me assomiglia molto anche a Matteo Renzi. Allora non eravamo e non siamo, con Renzi, così fuori dal mondo e dalla realtà. Qualcuno sostiene che la via di Macron sia l’unica in grado di preservare la Francia dalla sciagurata deriva lepenista.

Il governo Renzi non era sottovalutato in sede europea, anzi. Qualcosa vorrà pur dire. Qualcuno dice che questo chiamare a raccolta i progressisti di destra e sinistra su riforme liberali, garantendo alcuni capisaldi del modello sociale, sulla base di due parole chiave, libertà e protezione, possa essere il futuro del riformismo. Alcuni a sinistra fanno finta di scandalizzarsi si strappano le vesti, spaccano i partiti, spostano indietro le lancette della sinistra. Questioni importanti e apertissime.

Ben vengano simili sostanziose discussioni, sarebbe già tanto che le prossime elezioni politiche avvenissero sulla base di valutazioni di questo livello. Temo invece che si vada o si andrà al voto in un clima banalizzato e drogato, se non addirittura falsato.