Il diavolo finisce per abituarsi all’acqua santa e viceversa

Un titolo de la Repubblica su un articolo di Vittorio Zucconi recitava nei giorni scorsi: “Ma per i grandi giornali che ‘svelano’ il Potere è una nuova primavera”. Il titolo, riferito alle vicende del dopo Trump, insospettisce non poco e lascia intendere che in America da parte della carta stampata   più che la verità si potrebbe cercare un ritorno di business: ben venga Trump coi suoi casini che ci fanno fare i soldini.

Oltre al solito rischio “del trumpismo dell’anitrumpismo”, un’aggressione continua contro il neopresidente può essere un boomerang: lui lo ha capito e sta al gioco trasformando le conferenze stampa in veri e propri match da consumarsi davanti al popolo.

Mi sembra in atto un accanimento in base al quale Trump, a seconda dei giorni, sarebbe un traditore in combutta col nemico, un bugiardo che dichiara A per poi fare B, un incapace che sbaglia tutte le mosse, un incoerente che cambia opinione ad ogni piè sospinto, un affarista in conflitto d’interessi, un clientelare a cominciare dallo spazio concesso ai suoi famigliari, un presidente spendaccione, costoso e lussuoso che batte di gran lunga tutti i predecessori i quali al suo confronto sono dei monaci francescani, un sovversivo rispetto agli equilibri mondiali, un razzista, che butta fuori tutti gli immigrati a suon di imponenti rastrellamenti, che chiude le frontiere vietando gli ingressi per decreto e alzando veri e propri muri di protezione, un populista che disprezza le istituzioni, un incantatore di serpenti che somministra falsità a tutto spiano, un machista che tratta le donne come giocattoli a sfondo sessuale,   un antieuropeista che se ne frega altamente dei suoi storici alleati, un menefreghista rispetto alle questioni ambientali affrontate col taglio del petroliere, un nazi-fascista nel cui pantheon trovano posto Julius Evola, Oswald Spengler, Gabriele D’Annunzio e Benito Mussolini, un nazionalista che pensa solo ed esclusivamente agli Usa, un protezionista che vuol mettere in ginocchio i rapporti commerciali fra le nazioni, un disfattista che vuole distruggere tutto quanto fatto dai suoi predecessori.

Sono convinto che purtroppo ci sia molta verità in questo scandaloso affresco emergente dal giornalismo di denuncia: probabilmente c’è in atto una vera e propria gara a scoprire gli altari trumpiani, da cui esce un assetto presidenziale tragicomico.

Portando alle estreme conseguenze il discorso, bisognerebbe immediatamente assoldare qualcuno per farlo fuori alla svelta, prima che, come teme l’attrice statunitense Meryl Streep, il suo catastrofico istinto di vendetta non ci porti a una guerra nucleare. Queste scorciatoie però funzionano sempre in senso inverso: vengono fatti fuori gli innovatori di segno opposto rispetto a quello di Trump, che avrà lunga vita e non avrà nulla da temere a livello di attentati o roba del genere (intendiamoci, meglio così).

Pare quasi che gran parte degli Americani si vogliano sgravare la coscienza dal grave peccato di averlo prima irriso, poi sottovalutato e poi, alla fine, votato. Sta diventando un esercizio retorico, un ritornello di comodo, un antifona laica che finirà col vittimizzarlo per poi rafforzarlo e radicarlo nella mentalità della gente.

Non credo ai giudici-giustizieri ed ai giornalist-salvatori della patria americana e del mondo intero. Certo, il terzo e quarto potere possono e devono bilanciare il primo e il secondo, già di per sé molto concentrati nelle mani di un uomo solo al comando, ancor più pericolosi se quell’uomo al comando non dà sufficienti garanzie di rispetto costituzionale e democratico.

Donald Trump può contare su una minoranza silenziosa che lo ha votato e che lo ammira: attenzione a non far aumentare il suo consenso, anche perché con le arie che tirano ci vuol poco a ricondurre ogni e qualsiasi contrarietà ad uno scontro epico tra il folle e paradossale nuovismo contro l’implacabile e velenosa autodifesa dell’establishment.

Poche, precise, circostanziate, documentate e gravi contestazioni: così può essere contrastato Trump a livello mediatico e davanti alla pubblica opinione. Politicamente parlando occorre che i democratici riprendano con grande pazienza e rinnovata credibilità il discorso, sfruttando gli spazi istituzionali non per fare una polemica distruttiva ed ostruzionistica, ma un’opposizione palpabile e complessiva. In campo culturale bisogna costruire un discorso alternativo che non snobbi, ma accetti le sfide: non è tempo di presuntuose primazìe di pensiero, ma di serie ed accessibili proposte costruttive.

Altrimenti succederà che con l’andare del tempo questo refrain dei grandi giornali perderà progressivamente forza, i servizi segreti torneranno sotto il pieno controllo della nuova presidenza, gli staff di governo e di gabinetto si assesteranno, il partito repubblicano chinerà il capo verso il nuovo estemporaneo leader, le istituzioni politiche si svuoteranno o si accoderanno, la magistratura verrà ricondotta alla ragion di stato, gli uomini e le donne di cultura si limiteranno a sfogare elitariamente le loro contrarietà intellettuali, le proteste di piazza si spegneranno, gli scandali si placheranno, la realpolitik internazionale prenderà il posto dei conflitti ideologici e geografici, il grande capitale si riposizionerà frettolosamente, gli ambienti economici legheranno l’asino dove vuole il padrone.

La storia dei regimi insegna che la partenza è generalmente avvenuta cavalcando lo scontento, la paura, la protesta generalizzata della gente. L’opposizione si è gradualmente divisa nella tattica e affievolita nei toni. I vari poteri si sono gradualmente adeguati. Il consenso è aumentato. Il mondo si è limitato a guardare. Gli intellettuali si sono massicciamente allineati. La politica e le sue istituzioni hanno perso mordente. I poteri economici hanno sfruttato l’onda, etc. etc.

È pur vero che le situazioni dovrebbero essere cambiate, ma non ne sono poi così sicuro…