Le ovvietà dei sociologi e i colpi bassi del sindaco

Se devo essere sincero, nutro poca stima nei confronti di tre categorie di esperti, studiosi (no scienziati): psicologi, sociologi ed economisti. Spero di non offendere o irritare nessuno perché di paradossi si tratta. Gli psicologi hanno sempre ragione in quanto, per il dritto o per il rovescio, in un modo o nell’altro, in un senso o nel suo contrario, trovano sempre una spiegazione, piuttosto campata in aria, e nessuno è in grado di confutarla.I sociologi, come detto più autorevolmente da altri, si dedicano, più o meno abilmente, alla elaborazione sistematica dell’ovvio, fanno una fotografia, più o meno nitida, della situazione. Gli economisti elaborano teorie che si rivelano sempre e sistematicamente sbagliate: in parole povere non ci pigliano mai.Lasciamo stare, per il momento, psicologi ed economisti, verrà anche il loro turno ed occupiamoci di sociologia. In questi giorni sono usciti i risultati di una indagine statistica, condotta da Demetra, che fornisce i dati per il rapporto “Gli Italiani e lo Stato”, realizzato da Demos &Pi per la Repubblica. Al di là dell’emergente ovvietà della sfiducia degli Italiani nello Stato e nei partiti – cosa che si respira nell’aria senza bisogno di lunghi e costosi studi che spesso hanno il solo scopo di far lavorare e guadagnare ricercatori ed esperti – si notano alcuni risultati in paradossale controtendenza rispetto ai dati elettorali del recente referendum sulla riforme costituzionale, altri in preoccupante ascesa a livello di tenuta del sistema democratico, altri ancora in contraddizione fra di loro.Innanzitutto la riduzione del numero di parlamentari è vista con favore dal 92% degli intervistati, così come il bicameralismo perfetto tra Camera e Senato andrebbe superato per il 61% degli Italiani. L’esperto di turno commenta così: vuole le riforme anche chi votò No al referendum. I casi sono due: o sono errati i sondaggi (cosa ormai dimostratasi piuttosto probabile) oppure gli Italiani hanno votato senza capire cosa era loro richiesto (ipotesi che, per carità di patria e di compatrioti, vorrei non prendere in considerazione) oppure il referendum è stato completamente falsato nel suo oggetto, vale a dire riportato a mero, semplicistico e sintetico giudizio sul governo e forse ancor più sul sistema partitico (con il curioso fatto che i cittadini hanno raccolto l’indicazione al No che veniva proprio da tutti i partiti ad esclusione del Pd che vedeva schierata per il No gran parte della sua corrente di sinistra).In secondo luogo emerge che per il 48% degli Italiani la democrazia potrebbe funzionare senza partiti politici: il dato è inquietante se associato a quello della fiducia ai partiti stessi misurata da un 6% (ultima istituzione in classifica), ancor più se consideriamo che un italiano su tre avrebbe affermato di preferire, in alcune circostanze, un regime autoritario, oppure di essere indifferente tra regime autoritario e democratico. Roba da far tremare le vene ai polsi e da far rivoltare nella tomba tutti coloro che hanno dato la vita per conquistarci la democrazia. Qui si trova la conferma del vento populista che a livello mondiale, europeo e italiano sta soffiando dietro la solita e stupida motivazione dello spazzar via l’establishment, i poteri forti, le élite, la burocrazia, etc. etc.In terzo luogo un osservatore consequenziale da una così diffusa sfiducia nei confronti dello Stato si aspetterebbe percentuali da prefisso telefonico sulla soddisfazione verso i servizi pubblici (scuola, ferrovie, trasporti urbani, assistenza sanitaria), mentre questi dati non sono disastrosi e soprattutto in quasi parità rispetto ai servizi privati, 39% per il pubblico rispetto ad un 46% per il privato (nel 2015 il dato era addirittura in perfetta parità al 42%).Al di là del valore assai relativo di queste indagini e delle teorizzazioni sociologiche ad esse sovrapposte, abbiamo la conferma della debolezza della politica nei confronti dei problemi e delle aspettative della gente con il rischio delle scorciatoie pseudo-democratiche (leggi soprattutto M5S) e/o delle derive populiste (leggi soprattutto Lega).Non c’è alcun dubbio che la politica debba fare un profondo, autocritico e credibile bagno di umiltà, rimuovendo l’elemento scatenante della sfiducia costituito dalla corruzione: davanti ad essa infatti scompaiono tutti gli argomenti razionali sul valore della democrazia, sulle difficoltà oggettive, sull’enormità dei problemi da affrontare.Bisogna però essere molto attenti a coloro che cavalcano lo scontento e pretendono di avere in mano la bacchetta magica. Costoro hanno la presunzione di avere la verità in tasca e, quando qualcuno alza il ditino per far loro presenti contraddizioni e limiti piuttosto evidenti, si difendono, distogliendo il discorso dai contenuti e postandolo sul piano della rissa, attaccando in modo sguaiato, gridando trivialmente al lupo mediatico in combutta col potere (Beppe Grillo in penosa difesa dei propri metodi e delle debacle amministrative dei suoi adepti), oppure arrivando a volgari e vomitevoli insinuazioni (Luigi De Magistris in risposta alle critiche di Roberto Saviano).Voglio soffermarmi con poche parole su quest’ultimo episodio. Ammetto di avere letto con una certa soddisfazione il giudizio critico di Saviano nei confronti del sindaco De Magistris l’indomani dell’episodio camorristico di gravi intimidazioni a mano armata nei confronti degli ambulanti-immigrati rei di non voler pagare il pizzo, con ferimento casuale di una bambina di 10 anni che oltretutto c’entrava come i cavoli a merenda.Cosa ha detto di tanto irritante? Aveva solo criticato severamente il sindaco napoletano e la sua facilona autoincensazione a livello di sviluppo turistico e di ritrovata immagine della città: «È in carica da sei anni, ma parla come se si fosse appena insediato. Chi invita a distogliere lo sguardo da questa realtà mi fa paura quasi quanto le paranze che sparano». In buona sostanza Roberto Saviano ha chiesto un bagno di sano realismo comunale nel combattere la camorra, uscendo dai facili entusiasmi e dai virtuali risultati. Un richiamo forte al quale il sindaco ha ritenuto di rispondere non contrapponendo argomenti e dati, ma attaccando sul piano personale: «Stai facendo ricchezza sulle nostre sofferenze, sulle nostre lotte. Che tristezza non voglio crederci. Caro Saviano, non speculare più sulla nostra pelle. Sporcati le mani di fatica vera. Vieni qui, mischiati insieme a noi». La rissa verbale innescata da De Magistris è ovviamente proseguita, non la riporto anche se la risposta di Saviano meriterebbe di essere considerata molto attentamente. Io però non volevo entrare nel merito e non ci entrerò, volevo soltanto evidenziare l’insofferenza assoluta alle critiche da parte della cosiddetta anti-politica. Se questa è l’antipolitica mi permetto di preferire di gran lunga la politica con tutte le sue magagne.Ho recentemente rivisto, con grande nostalgia, uno spezzone di Tribuna politica, relativo agli anni sessanta, in cui, con tono aggressivo verso Aldo Moro, l’allora giornalista Mauro Paissan dava, in modo manicheo e demagogico, tutte le colpe alla Democrazia Cristiana ed al suo governo. L’allora presidente del consiglio non si difese promettendo qualche improbabile referendum, né promettendo mari e ponti, né imprecando alla falsità delle critiche, né tanto meno insultando l’interlocutore o squalificandolo sul piano personale. Con flemmatica ma carismatica eloquenza, Moro rispose (cito a senso): «Non sono d’accordo con le sue secche e sbrigative sentenze, penso che anche gli elettori non lo siano, aiutiamoli e lasciamoli ragionare, aspettiamo…». Per ovvi motivi non aveva potuto dargli del cretino apertamente, lo fece solo di sponda… Altri tempi, altri uomini, altro stile, altra politica!