Il dopo-referendum ha costretto la politica italiana in uno striminzito recinto i lati della cui staccionata sono costituiti: dalla pronuncia della Corte Costituzionale sull’Italicum (24 gennaio 2017); dalla necessità, precedente e conseguente a tale sentenza, di varare una legge elettorale omogenea per i due rami del Parlamento, che possa garantire rappresentatività, governabilità e stabilità; dalla celebrazione dei due referendum in materia di lavoro (voucher e appalti) quale misera rimanenza di uno spropositato attacco sindacale (CGIL) al Jobs act; dalla insulsa e impossibile contingenza di coniugare una certa continuità nell’azione di governo (emergenze interne e internazionali) con la smania miracolistica di ricorrere alle urne per tastare il polso all’elettorato.Dentro questo recinto si è ficcato anche Matteo Renzi condizionato dalla bruciante sconfitta elettorale sulle riforme costituzionali, dalle estenuanti diatribe interne al suo partito, dalla voglia di frettoloso riscatto e sopratutto dalla volontà di risalire rapidamente in sella per proseguire un discorso riformatore avviato e precocemente interrotto.Il segretario Pd sta tentando di mettere assieme il doveroso appoggio al governo Gentiloni, che sta lavorando nel segno della continuità, con la spasmodica corsa alle elezioni, fattore di per sé automaticamente vocato alla discontinuità politica, la forte ripresa nell’azione politica del Partito democratico con una verifica interna che neutralizzi le divisioni nel bagno purificatore delle primarie. Una gara durissima al limite dell’impossibile, che, tra l’altro, richiederebbe doti politiche di mediazione che sinceramente fanno a pugni con il piglio decisionista di Renzi.In questo momento storico, se Renzi vuole provare ad essere uno statista e non solo un, seppur bravo, governante e ancor meno un semplice, seppur forte, segretario di partito, deve dare la precedenza ai tempi istituzionali senza farsi trascinare nella bagarre pre-elettorale. Lasci che il Parlamento, anche e soprattutto ad iniziativa costruttiva del PD, vari una seria legge elettorale, consenta al governo, appoggiandolo convintamente, di affrontare i numerosi nodi programmatici che ha di fronte (compreso il varo delle misure necessarie per disinnescare i referendum in materia di lavoro), permetta al Paese di presentarsi dignitosamente ed autorevolmente agli imminenti appuntamenti europei ed internazionali, lasci al Presidente della Repubblica la delicata decisione su quando eventualmente sciogliere anticipatamente le Camere.Quando la pazienza non è mero attendismo ma solerte e costruttiva azione preparatoria, occorre sforzarsi di portarla, senza paura di perdere il treno: meglio aspettare quello giusto che salire sul primo che passa rischiando di deragliare assieme ai troppi improvvisati macchinisti.Il tempo oltretutto potrebbe essergli utile per colmare le lacune del suo partito non solo con forti iniziative mediatiche e con un conflittuale rapporto con le minoranze: si preoccupi dell’ insufficiente legame col territorio, della scarsa attenzione alla dirigenza periferica, dell’ anemica vitalità politica nella base degli iscritti.Se fossi Renzi farei così. Non lo sono e chiedo scusa.