La guerra dei droni e dei bottoni

Non so fino a che punto sia realistica l’allerta nei cieli europei per il girovagare dei droni russi: troppi per essere veri, pochi per fare paura. Non capisco infatti cosa ci possa essere dietro questa strategia russa del drone al di là della furbesca volontà di disturbare l’Occidente per tirarlo a cimento e saggiarne le capacità reattive.

Temo che i Paesi europei siano portati a “sparare alle mosche col cannone”: è un modo di dire che significa usare una forza sproporzionata, eccessiva o un metodo troppo drastico per affrontare un problema banale o di lieve entità, creando probabilmente più danni che soluzioni. È un’espressione idiomatica usata per descrivere un’azione che è un’esagerazione e che rischia di essere controproducente.

L’enorme progetto di riarmo europeo è proprio il cannone con cui si pensa di difendersi dai droni russi: una trappola tesa da Putin in cui la Ue sta cadendo più o meno ingenuamente, evidenziando tutte le proprie contraddizioni, disunioni e debolezze. Questo probabilmente è l’intento putiniano!

Per l’Europa il miglior attacco è la difesa in cui seppellire montagne di risorse, sottraendole al sostegno del progresso sociale e impiegandole in una rinforzata economia di guerra: il clima giusto per la Russia e le sue smanie imperialistiche.

Tutto sommato Putin con i suoi droni sta facendo anche un piacere a Trump, mettendo l’Europa allo scoperto rispetto alle rivalse militari statunitensi.

Da bambini si gioca alla guerra e questa idea di gioco rimane per tutta la vita. Da adulti, come diceva mio padre con molta gustosa acutezza, se du i s’ dan dil plati par rìddor, a n’è basta che vón ch’a guarda al digga “che patonón” par färia tacagnär dabón.

Ho troppa stima per l’intelligenza politica di Vladimir Putin per credere che voglia attaccare l’Occidente sul fronte europeo: non ne avrebbe la forza e la convenienza.

“La guerra dei bottoni” racconta di una storica faida tra ragazzi di due villaggi francesi, Longeverne e Velrans, che si combattono in battaglie campali per rubarsi i bottoni e privare gli avversari di ogni ornamento, condannandoli a tornare a casa nudi e derisi. Non vorrei che Putin ci trascinasse in una logica di questo tipo, creando allarmismi ingiustificati finalizzati a coprire il vero gran busillis dell’Ucraina.

Mi preoccuperei molto di più per le guerre in atto contro i civili ucraini e palestinesi: li stiamo lasciando massacrare senza muovere neppure un dito e poi suoniamo l’allarme per crearci un paradossale alibi. I droni russi e gli spacca vetrine nostrani vanno benissimo per eludere i veri problemi e giustificare una vergognosa e schizofrenica politica estera.

 

 

 

L’Italia nella palloncina gonfiata

Flotilla, Schlein: “Meloni più dura con loro che con Netanyahu”. «Meloni è andata alle Nazioni Unite per dividere la nostra, di nazione, attaccando, oltre alla Flotilla, giudici e opposizioni. Nessun premier aveva osato tanto. Ha affermato che quanto sta accadendo in Italia, dove si è alzata un’ondata di sdegno per i massacri del governo israeliano, non è per dare sollievo a Gaza, ma per creare problemi a lei. Ma davvero pensa che tra le centinaia di migliaia di persone scese in piazza per la Palestina non ci sia uno che l’ha votata? L’ho già ribadito alla Camera: esca dalla sua megalomania» (dall’intervista di Elly Schlein a “la Repubblica” a cura di Giovanna Vitale)

Uno dei miei, pochi ma buoni, interlocutori mi ha scritto: «Che commedia la meloncina all’Onu…recitava… Si vedeva che aveva imparato a memoria un testo che le avevano scritto. Ottima memoria!? Con la citazione di San Francesco ha raggiunto il massimo della recitazione. Era tesa nel parlare, era evidente, che attrice!!! Si autoconvince di essere una grande statista…. Ma quale martire della libertà? Razzista, antiabortista, pro pena di morte…. La stronzetta vuol precedere tutti nel far suo il messaggio di San Francesco in vista della proclamazione del 04 ottobre festa nazionale. Vuole il voto dei cattolici-coglioni, come quelli di comunione e disperazione… Oh! vuole stare con Trump e San Francesco!!! Non si può tacere. Se i cattolici di sinistra non si svegliano, la Meloni assieme a “comunione e disperazione” ci scippa tutto…che schifo!».

Il filosofo Massimo Cacciari, alle insistenti domande sulle posizioni politiche di Giorgia Meloni, ha risposto con una battuta ironica fenomenale: “Lasciamola sbruffonare in pace…”. Forse effettivamente non merita nemmeno l’attenzione che le viene riservata: prima o poi la palloncina gonfiata scoppierà…Talmente megalomane da cambiarsi, prima o poi il cognome: da Meloni a Cocomeri. Qualcuno ha già pensato di affibbiarle di fatto questo cambio anagrafico…

D’altra parte Silvio Berlusconi l’indomani della nomina di Giorgia Meloni a presidente del Consiglio certificava su un foglietto il suo giudizio. Ecco il testo: «Giorgia Meloni», scritto in alto. E poi: «Un comportamento 1 supponente, 2 prepotente, 3 arrogante, 4 offensivo, 5 ridicolo. Nessuna disponibilità ai cambiamenti. È una con cui non si può andare d’accordo».

La domanda delicata è però questa: quanto è veramente pericolosa questa megalomane, sbruffona, etc. etc.? Basta il seppellirla con una risata oppure bisogna seriamente preoccuparsi? Un giorno potremo liberarcene e superarla come una brutta malattia? Indro Montanelli lo diceva del berlusconismo, però si è sbagliato, se è vero come è vero, che Giorgia Meloni in fin dei conti altro non è che una “berlusconina” riveduta e scorretta (il cavaliere lo aveva capito benissimo e infatti non la sopportava).

Io, chissà perché, sono paradossalmente convinto che ci aiuterà al riguardo Donald Trump: prima o poi la metterà da parte: i megalomani faticano a sopportare i loro simili soprattutto se stanno dalla loro parte… E allora ci toccherà di essere trumpiani almeno per un giorno.

 

La solidarietà che non risica non rosica

Eravamo nei primi mesi del 1969, avevo in tasca un fresco e brillante diploma di ragioniere, avevo appena incominciato a lavorare al centro elaborazione dati della Barilla, ero stato assunto in prova, c’era lo sciopero generale di solidarietà per i dipendenti della Salamini, azienda che stava per fallire. Ricordo con emozione il caso di coscienza che mi si poneva: aderire allo sciopero comportava qualche rischio non essendo ancora dipendente a titolo definitivo, gli stessi sindacalisti interni mi avevano concesso di comportarmi liberamente, i colleghi anziani facevano strani discorsi sull’opportunità di uno sciopero a loro avviso inutile, gli impiegati più scettici temevano di danneggiare ingiustamente la Barilla per colpa della Salamini. Credevo nel sindacato, nella solidarietà tra lavoratori, nello sciopero come diritto e come strumento di lotta, mi importava dei lavoratori della Salamini i quali stavano rischiando il loro posto e non mi preoccupava il fatto di creare problemi al mio datore di lavoro. Alla fine andai a lavorare col “magone” dribblando il cordone sindacale posto all’ingresso della fabbrica. In un certo senso aveva vinto l’egoismo anche se gli stessi sindacalisti non avevano preteso da me un atto di coraggio. Mi è tornato alla mente questo piccolo episodio della mia vita in concomitanza con la vicenda della Flotilla, missione di solidarietà per Gaza.

Dice Giorgia Meloni sul nuovo attacco alla Flotilla, la missione diretta a Gaza per portare aiuti alla popolazione palestinese, da New York dove partecipa all’assemblea generale dell’Onu. “Tutto questo è gratuito, pericoloso, irresponsabile. Non c’è bisogno di rischiare la propria incolumità di infilarsi in un teatro di guerra per consegnare aiuti a Gaza che il governo italiano avrebbe potuto consegnare in poche ore”, commenta la premier ribadendo quanto già detto nei giorni scorsi. E aggiunge durante il punto stampa: “Io non sono stupida: quello che accade in Italia non ha come obiettivo alleviare la sofferenza della popolazione di Gaza, ma attaccare il governo italiano. Trovo oggettivamente irresponsabile usare la sofferenza a Gaza per attaccare l’esecutivo”. (da “La Repubblica”)

Ricordo bene due episodi riguardanti la vita di mio zio Ennio sacerdote, raccontati spesso da mia madre, sua devota sorella.

Uno riguardava l’accoglienza data da zio Ennio ad un ebreo in pieno clima antisemita, in chiaro dissenso con le leggi razziali, correndo ovvi ed enormi rischi, senza badare agli appelli alla prudenza giunti anche dall’interno della sua famiglia. Non ebbe esitazioni, vinse anche le quasi ovvie resistenze di sua madre (nonna Ermina): non ammise repliche e nascose quella persona in casa, ci voleva del fegato.

L’altro episodio ineriva l’attività resistenziale svolta a favore dei partigiani: si prestava a fare da intermediario per lo scambio tra prigionieri: partigiani da una parte, fascisti e tedeschi dall’altra. Corse non pochi rischi, gli arrivarono inviti autorevoli alla prudenza da parte degli ambienti curiali, mise a repentaglio la vita più di una volta tanto da essere consigliato dal vescovo ad usare la massima cautela, consiglio ascoltato ma non accolto.

Non si fermò ed una volta, per non compromettere nessuno, fu costretto ad ingoiare alcuni bigliettini contenenti pericolose informazioni. Forse qualcuno aveva soffiato, non si seppe mai. I partigiani, nei giorni dopo la liberazione, lo portarono in trionfo.

Ci sono momenti della vita personale e sociale in cui ci si deve schierare fino in fondo anche a rischio della propria vita. Mia sorella, di fronte agli inviti alla prudenza pur provenienti da ragionamenti dettati dal buon senso, era solita esclamare: «Se i patrioti del Risorgimento avessero usato prudenza, avremmo ancora gli Austriaci in casa…».

Ecco perché, pur apprezzando lo spirito libero con cui opera il nostro Presidente della Repubblica, pur ammirando il suo coraggio personale ed istituzionale di pensare con la propria testa andando contro la ragion di governo, ho qualche sofferto dubbio sull’opportunità del suo intervento mediatorio: un autentico capolavoro di diplomazia, che però rischia di spiazzare gli stessi protagonisti dell’emblematica e forte iniziativa umanitaria e politica.

Poco dopo mezzogiorno, Sergio Mattarella entra con tutta la sua forza nella vicenda della Sumud Flotilla in viaggio verso Gaza. Con poche parole prende nettamente le distanze dalla premier, che aveva definito la spedizione «irresponsabile» e finalizzata a «creare problemi al governo» e sottolinea «il valore dell’iniziativa che si è espresso con ampia risonanza e significato» e lancia un appello «alle donne e agli uomini» in mare da oltre 20 giorni. «Il valore della vita umana, gravemente calpestato a Gaza con disumane sofferenze per la popolazione, richiede di evitare di porre a rischio l’incolumità di ogni persona. Mi permetto di rivolgere con particolare intensità un appello perché raccolgano la disponibilità offerta dal Patriarcato Latino di Gerusalemme – anch’esso impegnato con fermezza e coraggio nella vicinanza alla popolazione di Gaza – di svolgere il compito di consegnare in sicurezza quel che la solidarietà ha destinato a bambini, donne, uomini di Gaza». (da “Il Manifesto)

Spesso mi sento ripetere da amici e conoscenti una battuta che mette in discussione le piccole-grandi manifestazioni di protesta e le piccole-grandi rischiose iniziative di solidarietà: “A cosa servono? Non cambia niente!”. E chi ha detto che non cambia niente?

La frase più nota di Madre Teresa di Calcutta riguardo all’azione e al suo impatto, spesso citata come “le gocce del mare” o “gocce nell’oceano”, è: “Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma l’oceano senza quella goccia sarebbe più piccolo”. Questa frase esprime l’idea che anche le azioni più piccole e apparentemente insignificanti possono avere un impatto e sono essenziali per il tutto. A maggior ragione se queste azioni mettono a rischio la propria vita.

Occidente spensierato, cattolicesimo svogliato

Se è vero, come è vero, che “L’Occidente è senza pensiero” (lo dimostra Aldo Schiavone nel suo recente libro), chi mai glielo potrà ridare? Forse la smarrita ed impotente intellighenzia di sinistra? Forse (Dio ce ne scampi e liberi) il tecno-capitalismo scientifico coniugato col nazional-populismo politico?

Giorgio Ruffolo scriveva tempo fa che il capitalismo ha i secoli contati: finora la destra lo ha cavalcato, la sinistra lo ha temperato. Oggi sta sfuggendo completamente di mano alla politica. L’Occidente che ne era, bene o male, l’interprete a livello democratico è in piena crisi culturale e sta lasciando un’autentica globale prateria alle destre, sconclusionate ma sempre più pericolose e vincenti.

Un mio carissimo amico conclude affidandosi all’auspicabile progettualità della sinistra cattolica: discorso molto serio ed impegnativo.

Mia madre, di fronte alle enormi contraddizioni che presentava la realtà, si poneva una domanda retorica: “Podral andär bén al mónd?”.

Tutti i giorni si presenta qualcosa di paradossalmente contrario ad un minimo di etica e allora mi sovviene di mia madre con il suo provocatorio quesito.

Lei però non si limitava alla lamentela, ma reagiva tuffandosi in una sorta di dono totale agli altri.

Infatti il cattolicesimo non è solo un pensiero, è uno stile di vita evangelico, è un riferimento alla persona di Gesù Cristo. Quindi prima viene la testimonianza di vita e poi semmai la sua configurazione a livello di pensiero filosofico e politico. Lo avevano ben capito Giorgio La Pira e i politici cattolici di un tempo. Lo aveva ben capito papa Paolo VI che ribadiva come la politica fosse la più alta forma di carità cristiana. Lo aveva capito anche mia madre nella sua semplicità…

Forse ci vorrebbero dei profeti senza peli sulla lingua con la voglia e il coraggio di gridare contro le ingiustizie, forse occorrerebbe la fiducia che il rinnovamento spirituale, ma anche culturale e politico, possa partire solo da coloro che non contano niente agli occhi del mondo: il tema si fa paradossalmente concreto.

C’è poi in agguato anche il rischio dell’integralismo cattolico: Comunione e Disperazione…

Prendiamo la drammatica contingenza di Gaza: come può incarnarsi laicamente in essa la forza del Vangelo. Quando i vescovi tentano l’impresa fanno più tenerezza che rabbia. Il vescovo don Tonino Bello ammetteva: “La mia obbligatoria gravità episcopale frena la voglia di gridare contro le ingiustizie e dopo…mi sento anch’io complice…”. Ai tempi della guerra nel Vietnam un caro amico sacerdote di mentalità apertissima, a margine di una manifestazione pubblica contro tale guerra, davanti ad un documento di protesta da sottoscrivere, mi confidò con ammirevole umiltà, onestà e sincerità: “Non avrei difficoltà a sottoscriverlo, mi frena il timore di compromettere la mia possibilità di dialogo con tanti miei confratelli…”.

Fatto sta che i cattolici non si sentono, non si vedono. La comunità di Sant’Egidio non riesce a fare il salto dalla solidarietà alla proposta politica. Un cattolico come Marco Tarquinio, sceso in politica a livello europeo con le più buone e condivisibili intenzioni, non riesce ad emergere ed a mettere minimamente in crisi lo squallido pantano di Strasburgo.

La componente cattolica del partito democratico scalpita ma non riesce ad andare oltre un peraltro condivisibile “è tutto da rifare”: cosa aspettano a prendere le distanze dall’acritico filo-americanismo per rinverdire una sorta di neo-atlantismo riveduto e corretto, che potrebbe funzionare da anticamera di una riscossa etico-culturale-politica dell’Occidente?

Morale della favola: c’era una volta un profeta di alto bordo, che non aveva spiccate doti politiche, ma sapeva collegarsi con coloro che non contano niente quali vittime dell’indifferenza globale e dare voce a chi subisce una sistemica laringectomia totale, si chiamava papa Francesco…

 

La trumpetta della Garbatella

La premier critica l’architettura dell’Onu e chiede di rivedere le convenzioni per migrazione e asilo. Le critiche a Israele e Russia e all’«ecologismo insostenibile». Pace, dialogo, diplomazia non riescono più a vincere. Per questo l’architettura dell’Onu non è più adeguata e necessita di una riforma. Israele invece non può impedire la nascita della Palestina. Ed è necessario rivedere le convenzioni per migrazione e asilo, che sono superate. Giorgia Meloni parla all’Assemblea dell’Onu dei 56 conflitti in corso nel mondo, «il numero più alto dalla seconda guerra mondiale. Un mondo molto diverso da quella in cui è nata l’Onu con l’obiettivo di mantenere la pace. Ci siamo riusciti? La risposta è nella cronaca ed è impietosa». (estrema sintesi del discorso tenuto da Giorgia Meloni all’Onu fatta da Open, giornale online)

Preferite il signor Cocomeri o la signora Meloni? Sì perché la nostra premier si è limitata a sciacquare in Arno le demenziali tesi trumpiane, candidandosi al ruolo di interprete autentica del presidente Usa, rendendo presentabile la faccia impresentabile di Donald Trump.

Non so se sia più o meno brutta la copia dell’originale, so che meritano entrambi di essere cestinati, anzi di essere gettati nel cesso.

Questi signori si sono fermati al bar dell’Onu per sciorinare in libertà le loro opinioni. Del metodo sarà contento Salvini: lo stanno copiando; del merito gioirà Tajani: la Meloni lo ha ventriloquisticamente seguito.

Non mi aspettavo niente di meglio: la botte dà il vino che ha. Con Giorgia Meloni e Donal Trump si riesce ad avere la botte piena e la moglie/marito ubriaca. E pensare che c’è ancora chi giudica la nostra premier una persona intelligente.

Spesso ricorro agli aneddoti paterni per spiegarmi meglio. A mio padre piaceva molto questo: durante una partita di calcio un giocatore si avvicinò all’arbitro che stava facendone obiettivamente di tutti i colori. Gli chiese sommessamente e paradossalmente: «El gnu chi lu cme lu o agh la mandè la federassion?» (Lei è stato inviato ad arbitrare questa partita dalla Federazione o è venuto qui spontaneamente, di sua iniziativa?). Si beccò due anni di squalifica.

Il segretario generale dell’Onu avrebbe potuto tranquillamente chiedere a Giorgia Meloni: «È venuta qui per trascorre qualche giorno a New York insieme a sua figlia o l’ha invitata qui Donald Trump per fare un po’ di commedia?». Gli italiani hanno visto confermata una condanna che durerà almeno altri due anni se non addirittura sette anni da scontare agli arresti nazionali.

 

 

Attacchiamoci al Trump

Donald Trump ha parlato per un’ora. 57 minuti in cui ne ha avute per tutti: ha attaccato l’Onu, la Nato, l’Europa, gli ambientalisti, Joe Biden, la sinistra «folle», il Brasile. Toni e contenuti simili a quelli dei suoi comizi elettorali, come se ormai avesse un unico discorso buono per tutte le occasioni, basta adattarlo un po’.

Trump ha iniziato attaccando l’Onu per non averlo aiutato nel processo di «porre fine a sette guerre», impresa che, a suo dire, ha portato a termine da quando è tornato in carica, e che sarebbe spettata alle Nazioni unite.

Il dato non è accurato ma non importa, e non ha impedito a Trump di rimproverare l’Onu: «Sembra che tutto ciò che fanno sia scrivere lettere di protesta e poi non dare mai seguito alle loro parole. Sono parole vuote, e le parole vuote non risolvono la guerra – ha detto – L’unica cosa utile è l’azione».

Non ha speso molte parole sulla guerra in Ucraina che prometteva di risolvere in 24 ore, addossando la colpa a tutti quei Paesi che acquistano petrolio russo: India, Cina e diversi alleati della Nato. «Stanno finanziando la guerra contro se stessi», ha detto Trump, per continuare affermando che «nel caso in cui la Russia non sia pronta a raggiungere un accordo per porre fine alla guerra, gli Usa sono pienamente pronti a imporre una serie molto forte di dazi doganali», e l’Europa dovrebbe seguire l’esempio «adottando esattamente le stesse misure». Più tardi, durante il bilaterale con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha affermato di ritenere che Kiev sia in grado di «recuperare tutti i territori ucraini» nella guerra con Mosca.

Con gli alleati  europei ha speso parole dure anche per l’uso di energia verde che rovina l’estetica di posti meravigliosi come la Scozia, deturpata dai pannelli solari per un capriccio liberal, visto che nel mondo di Trump non esiste nessuna emergenza climatica: ha definito le iniziative ambientali tra le frodi più diffuse al mondo, e sollecitato una revisione delle politiche che presumibilmente non riducono l’inquinamento né apportano reali benefici economici, ma sono frutto di una follia collettiva tanto che a San Francisco «non si può più buttare neanche un mozzicone per terra».

Uscendo di nuovo dal testo che aveva preparato, il tycoon ha dedicato 10 minuti alla «bufala del riscaldamento globale». Ha celebrato il ritiro Usa dall’accordo sul clima di Parigi, ha parlato delle esportazioni energetiche americane e ha aggiunto: «Gli Stati uniti sono stati sfruttati da gran parte del mondo, ma ora non più». In compenso ha elogiato il «Co2 pulito e bello». «Siamo pronti a fornire a qualsiasi paese abbondanti e convenienti risorse energetiche se ne avete bisogno, e la maggior parte di voi ne ha bisogno», ha affermato.

Il Presidente statunitense ha collegato le migrazioni e le energie rinnovabili come le forze che «stanno distruggendo gran parte del mondo libero», l’Europa in particolare che non segue il suo modello di pugno di ferro su entrambi i fronti.

Dopo aver più volte puntato il dito contro Joe Biden che, tra le altre cose, avrebbe aperto i confini accogliendo «ex galeotti e persone appena uscite da cliniche psichiatriche», ha ringraziato El Salvador per averlo sostenuto nel suo giro di vite contro l’immigrazione e i richiedenti asilo che «ripagano la generosità con la criminalità».

Sulla Palestina, invece, ha speso poche parole, abbastanza per affermare che non ci sono accordi senza il rilascio totale degli ostaggi da parte di Hamas, inclusi i corpi di quelli morti. (Il Manifesto – Marina Catucci – New York)

C’è di che rimanere allibiti! La realtà trumpiana sta superando ogni e qualsiasi immaginazione. Confesso di esserne profondamente turbato. Se questa è la macchina del mondo non mi resta che esprimere il desiderio di scendere. Anzi, scendo immediatamente per andare dove non so…

Rimanere in Italia? Peggio che andar di notte: almeno Trump ha il coraggio di dire quel che pensa e di fare non solo quel che dice, ma anche quel che pensa e non si può dire.

Rifugiarmi in Europa? Ma fatemi il piacere…Nessuno ha la forza di opporsi a questa folle visione imposta da Trump. Anche chi finge di distinguersi non va al di là del buonsenso, che sarebbe già qualcosa se non ci fosse di mezzo la vita di milioni di persone.

Certi cattolici durante il periodo fascista si nascosero in Vaticano. Nemmeno lì oggi mi sentirei al sicuro con un papa americano…

Ho capito! Chiedo scusa del tono ironico che mal si sposa alla drammaticità degli eventi, ma alla fine posso solo attaccarmi al tram: è un’espressione idiomatica italiana che significa che qualcuno deve cavarsela da solo, arrangiarsi e risolvere un problema autonomamente, spesso perché ha perso un’opportunità o perché è troppo tardi per avere aiuto o per ottenere qualcosa. L’espressione può essere usata in modo polemico, ironico o per esprimere indifferenza, e deriva da un’usanza passata in cui i tram avevano appigli esterni e i ritardatari si potevano aggrappare per salire a bordo.

Non disturbare, genocidio in corso

Usa, 22 settembre 2025 “Quello che sta accadendo con le proteste e le manifestazioni per la Striscia di Gaza è incredibile, e non ha nulla a che vedere con l’aiuto alla popolazione palestinese o con il diritto di sciopero sancito dalla nostra Costituzione. Aggredire la polizia, bloccando stazioni, porti e strade e mettendo in fuga i turisti, sono atti criminali e inaccettabili: è deprecabile e non aiuta sicuramente l’impegno a favore della pace, che non si difende con atti di violenza o bloccando servizi pubblici utili ai nostri cittadini”. Lo ha detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, parlando ai giornalisti a New York. (Agenzia VISTA / Alexander Jakhnagiev)

Incredibile e deprecabile è quanto sta accadendo a Gaza! Incredibile è che il governo italiano non abbia il coraggio di esprimere una fattiva linea politica di condanna di Israele e di solidarietà col popolo palestinese!

Di fronte allo scempio di una guerra sistematica contro un popolo inerme (come sostiene Massimo Cacciari, è la prima volta che succede nella storia dell’umanità) non si può stare a guardare: non mi scandalizzo pertanto che le coscienze, soprattutto quelle giovanili, si ribellino e reagiscano in modo anche scomposto, lasciandosi andare anche ad atti di violenza. Non mi sento di censurare e addirittura criminalizzare la gente che scende in piazza, criminalizzo Netanyahu e quanti direttamente o indirettamente lo assecondano e fra questi vomitevoli personaggi ci sono purtroppo gli attuali governanti italiani.

Le sanzioni contro Israele non si devono porre in atto, il riconoscimento dello Stato palestinese non è fattibile, iniziative in sede europea non si riescono a varare, all’Onu ci pensa Trump a bloccare ogni e qualsiasi sostanziale condanna di Israele. La politica accetta supinamente la fine del diritto internazionale.

In questo desolante quadro cosa dovrebbe fare un cittadino italiano con un minimo di sensibilità e di coscienza? Aspettare che Tajani suoni la riscossa? Lasciare che Giorgia Meloni sbruffoneggi in pace (lo ha detto ironicamente Massimo Cacciari)? Rimettersi alla volontà di Trump? Sperare nei Paesi arabi? Confidare nella solita Disunione europea? Pensare che il genocidio di Gaza in fin dei conti non ci riguardi?

Ci stiamo accorgendo che nel mondo si sta capovolgendo tutto quel poco di buono che rimaneva? E i governanti italiani si limitano a farneticare sulle violenze di piazza, strumentalizzandole per trasformarle in odio brigatista contro Giorgia Meloni.

Facciamo un discorso serio: di fronte a questo panorama cosa rimane da fare, visto che la politica acconsente o tace? Nel vuoto politico può nascere di tutto. Il terrorismo trova terreno fertile in Palestina, ma anche in tutto il mondo. Persino la barriera vaticana, che ha sempre funzionato come deterrente contro il terrorismo di matrice islamica, si sta sgretolando: vedi la sciagurata accoglienza riservata da papa Leone al presidente israeliano Herzog. C’è solo da sperare che il terrorismo sia in altre faccende affaccendato, forse sta sfogando la sua vitalità nel continente africano.

Un tempo si diceva che la questione palestinese fosse centrale negli equilibri mediorientali: il nodo si sta sciogliendo nel peggiore dei modi. Non è ancora chiaro dove si andrà a parare. I milioni di persone che si troveranno senza patria dove potranno emigrare? Diventeranno un enorme popolo errante come quello ebraico di un tempo? Avranno un Dio che li assisterà?

Laurea ad honorem in facciatostismo

Tank e truppe israeliane in azione nell’assalto a Gaza City. «Abbiamo iniziato l’operazione intensiva: è una fase cruciale», annuncia Netanyahu. «Avanti fino alla sconfitta di Hamas e al rilascio degli ostaggi», dice Katz. Protestano i familiari degli ostaggi. Ieri oltre 100 i morti nella Striscia, secondo fonti locali. L’Ue condanna e annuncia sanzioni contro Israele. Silenzio da Trump. La commissione indipendente d’inchiesta Onu afferma che a Gaza si sta «consumando un genocidio». «L’ipocrisia di coloro che condannano Israele è così evidente». Lo ha affermato in conferenza stampa il premier israeliano Benjamin Netanyahu in merito alle critiche per l’attacco contro i leader di Hamas a Doha la scorsa settimana. Lo riporta Times of Israel. (da “lastampa.it)

Ipocrisia è simulazione di virtù, di devozione religiosa, e in genere di buoni sentimenti, di buone qualità e disposizioni, per guadagnarsi la simpatia o i favori di una o più persone, ingannandole.

Non ho bisogno di simulare nulla perché la realtà è sotto gli occhi di tutti; non mi sento un ipocrita, almeno per i motivi accampati da Netanyahu; forse mi sento addirittura in colpa (quasi un omertoso…) per non avere il coraggio di dire e fare qualcosa di più contro l’attuale governo di Israele.

Benjamin Netanyahu sa benissimo che chi lo appoggia o preferisce starsene zitto lo fa per mero opportunismo, nascondendosi dietro il pretestuoso dito di Hamas: quella è ipocrisia.

Gli Stati Uniti hanno posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che chiedeva un cessate il fuoco immediato e permanente nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi. La risoluzione, approvata dagli altri 14 membri del più potente organo delle Nazioni Unite, denunciava la situazione umanitaria a Gaza come “catastrofica” ed esortava Israele a rimuovere tutte le restrizioni sulla consegna degli aiuti ai 2,1 milioni di palestinesi che vivono nel territorio. Gli Stati Uniti hanno motivato il veto sostenendo che il testo non condannava sufficientemente Hamas. (ilfattoquotidiano.it)

Gli ebrei dovrebbero essere storicamente esperti al riguardo: quanti hanno fatto finta di non sapere dei campi di concentramento, quanti (tra di essi il governo italiano di allora) hanno avallato e copiato le leggi razziali, quanti hanno poi pianto sui cadaveri conseguenti al genocidio perpetrato dai nazisti.

Visto che siamo agli insulti, se Lei signor premier israeliano mi ritiene un ipocrita, le dirò che io di rimando la considero un «bècch äd fér», (letteralmente: becco di ferro), vale a dire una «faccia tosta». “Faccia tosta” è un’espressione che descrive una persona sfacciata, senza vergogna, audace e presuntuosa, che non si lascia imbarazzare da nulla e non esita a fare richieste o a comportarsi in modo impertinente. Può indicare un atteggiamento arrogante o la capacità di agire senza timore di fare figuracce.  Mi fermo qui e dovrebbe essermene grato: la Corte penale internazionale è andata ben oltre…

Lei ha tre fortune: quella di poter strumentalizzare culturalmente e vergognosamente la shoah, quella di avere a che fare con i palestinesi che non capiscono niente e si affidano al peggior offerente e quella di contare su un potere economico così diffuso e profondo da zittire o addomesticare le critiche. Più faccia tosta di così! Infatti la quarta fortuna è quella di avere a che fare con governanti stranieri simili a lei: un vero e proprio club di facce toste.

 

Il dogmatico palliativo alla carità evangelica

Dopo la Toscana, anche la Sardegna ha approvato una sua legge regionale sul fine vita. In assenza di una normativa nazionale sollecitata da tempo dalla Consulta a rendere non punibile – ricorrendo alcuni presupposti estremi – l’aiuto al suicidio, si registra dunque una nuova fuga in avanti a livello locale, sulla scia della libera interpretazione che l’associazione Luca Coscioni dà del pronunciamento della Corte. Il testo della Sardegna ricalca per grandi linee la proposta “Liberi subito” e come per la Toscana c’è da aspettarsi che anche questa norma venga impugnata dal Governo, mentre in Parlamento discute di una disciplina organica sul tema e – nonostante il dibattito ancora aperto nella maggioranza – sembra prevalere l’idea che una legge sia inevitabile, sia pur entro parametri molto restrittivi, fra cui fa molto discutere il mancato coinvolgimento del servizio sanitario nazionale.

(…)

In un comunicato i vescovi sardi esprimono «preoccupazione» e un «dissenso» che «nasce dalla certezza che la vita va sempre difesa, per cui non è accettabile aiutare un malato a morire. Il tema della difesa della vita non può essere un’occasione per contrapposizioni politiche strumentali per finalità di consenso elettorale», sostengono i presuli facendo proprio il comunicato della Presidenza della Cei del 19 febbraio 2025, e in una situazione come quella sarda «appare ancora più urgente che si dia attuazione al “Piano di potenziamento della Rete regionale di cure palliative 2024”, del 5 settembre scorso. Non si tratta di accanimento terapeutico – concludono -, al quale siamo sempre contrari, ma di non smarrire l’umanità».

Anche l‘arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, ricorda come la Presidenza dei vescovi italiani abbia già sostenuto che «sulla vita non ci possono essere polarizzazioni o giochi al ribasso», ed esprime quindi «rammarico», auspicando che «si giunga, a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l’accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza». (dal quotidiano “Avvenire” – Angelo Picariello)

Mentre la politica fa strumentale melina sulla pelle dei disperati, i vescovi pongono “fardelli pesanti e difficili da portare” sulle spalle di chi soffre già più che a sufficienza.

Sul fine vita c’è in atto una diatriba fra Parlamento (che non si decide a legiferare) e Regioni (che mordono il freno per dare almeno uno straccio di risposta alle aspettative etiche sempre più impellenti). Se il Parlamento non è in grado di intervenire compiutamente, nonostante gli inviti della Corte Costituzionale e nonostante gli appelli di chi soffre tremendamente, ben vengano le fughe in avanti delle Regioni: si rischia la confusione normativa, ma sempre meglio un po’ di confusione che l’irresponsabile e comodo silenzio sulle disgrazie altrui.

Quanto alle posizioni della gerarchia cattolica non le capisco e, se le capisco, non sono assolutamente d’accordo.

Ma questi signori vescovi e cardinali che razza di idea hanno del Padre Eterno? Lo credono così pignolo da sottilizzare sulla liceità del suicidio assistito di persone giunte al capolinea della loro possibilità di vita umanamente dignitosa? Ma fatemi il piacere…

Perché sulle orme di Gesù, partendo dalla giustizia quale conseguenza della fede, non si aprono alle persone, non facendosi mai imprigionare dagli e negli schemi, non si pongono, a cuore aperto, davanti alle problematiche sessuali, alla bioetica, all’eutanasia, all’aborto, all’accanimento terapeutico, all’uso del preservativo, al sacerdozio femminile, al celibato sacerdotale?

Più che delle pur sacrosante cure palliative, i vescovi sembrano preoccupati di trovare un palliativo dogmatico al Vangelo. Non si tratta di principi irrinunciabili, ma di testardaggini belle e buone. La difesa della vita non è un principio astratto, ma uno stile di comportamento dettato dalla carità nel rispetto delle singole persone e delle loro coscienze.

Malati terminali: «Sulla base di una scelta chiara e consapevole della persona interessata, bisogna rispettare il suo diritto alla non sofferenza, a un minimo di dignità in ciò che rimane della vita. Ogni caso ha una sua trama e una valutazione diversa» (don Andrea Gallo).

Se qualcuno riterrà che io con questi atteggiamenti mi ponga fuori dalla Chiesa, non me ne frega un cazzo (quanno ce vò ce vò!): l’importante è che io rimanga dentro la mia coscienza illuminata dal Vangelo. È ciò che cerco di fare, spesso non ci riesco e vado in crisi, ma non sul tema del fine vita di chi intende coraggiosamente chiuderla, bensì in quello dell’aiuto alla vita di chi vorrebbe vivere e viene ammazzato con la guerra, con la fame, con i genocidi, con le torture, con le ingiustizie, con le discriminazioni, con le povertà, etc. etc.

L’inferno trumpiano, il purgatorio starmeriano e il limbo meloniano

Entro la fine della settimana il governo britannico dovrebbe annunciare il riconoscimento dello Stato di Palestina. Il primo ministro Keir Starmer aveva avvertito a luglio che il Regno Unito avrebbe preso questa iniziativa se Israele non avesse adottato misure concrete per alleviare le sofferenze a Gaza, concluso un accordo di cessate il fuoco con Hamas e accolto la soluzione dei due Stati. Nessuna delle condizioni si è verificata. Secondo il quotidiano inglese The Times la conferenza stampa in cui verrà ufficializzata la decisione verrà convocata appena dopo la ripartenza del presidente statunitense Donald Trump, fermamente contrario alla mossa, in visita di Stato a Londra.

Le divisioni tra Regno Unito e Stati Uniti sulla questione sono profonde. La ministra degli Esteri, Yvette Cooper, ha sottolineato che l’assalto militare israeliano a Gaza City è stato «del tutto sconsiderato e terribile». «Porterà soltanto altro spargimento di sangue – ha aggiunto -, ucciderà altri civili innocenti e metterà in pericolo gli ostaggi rimasti». Al contrario, Marco Rubio, il segretario di Stato americano che ha accompagnato Trump in visita a Londra, ha insistito che il riconoscimento formale della Palestina come Stato renderebbe la pace meno probabile. «In realtà rende i negoziati più difficili perché incoraggia Hamas». A suo dire, è questo il motivo per cui la mossa potrebbe provocare un’ulteriore «controreazione” da parte di Tel Aviv. Parole che fanno riferimento a un possibile tentativo di Israele di annettere le aree occupate della Cisgiordania. Dal canto suo, però, il laburista Starmer non ha molte opzioni. Forte è la pressione all’interno del suo partito a favore di questa svolta. (dal quotidiano “Avvenire”)

Finalmente una novità diplomatica positiva: sulla questione di Gaza il Regno Unito e gli Stati Uniti non battono pari. Le loro strategie, soprattutto quelle belliche, sono sempre andate d’amore e d’accordo: quando gli Usa avevano il raffreddore la Gran Bretagna soffriva di mal di testa e viceversa. E ciò avveniva a prescindere dall’orientamento politico dei rispettivi governi, conservatori o laburisti a Londra, repubblicani o democratici a Washington.

Gli inglesi hanno recuperato un minimo di autonomia di giudizio anche perché la situazione a Gaza è talmente clamorosa da non consentire posizioni interlocutorie o attendiste: un timidissimo segnale di vitalità a livello europeo e chissà forse anche a livello dei laburisti inglesi. Non è mai troppo tardi!

La pretestuosa motivazione dell’ingombrante presenza di Hamas non regge più, è chiaramente una inaccettabile scusa per chi non vuol vedere e agire. Tra l’altro, così facendo, si buttano sempre più i palestinesi in braccio ad Hamas, assegnando ai terroristi un assurdo ruolo di interposizione nelle trattative e di protagonismo negli assetti mediorientali. Trump si attacca ad Hamas per giustificare l’ingiustificabile omertosa sopportazione verso Israele.

In questa contingente ripresa di iniziativa a livello europeo, consistente nel pur debole ed insufficiente riconoscimento della Palestina come Stato, che potrebbe inoltre consentire un recupero di ruolo all’Onu, l’Italia brilla per la sua acritica, ondivaga e stolta posizione filoamericana. Il ministro Tajani sembra un ventriloquo di Rubio. Che pena!

Cosa vuol dire riconoscere la Palestina soltanto se viene totalmente neutralizzata la presenza di Hamas, se non confondere l’obiettivo con il mezzo per raggiungerlo, il risultato con i dati del problema. Appare come l’ultima spiaggia dialettica per giustificare a tutti i costi il genocidio da parte di Israele. In braccio ad Hamas o nelle grinfie di Trump e Netanyahu? Posso persino capire l’imbarazzo palestinese.

Il terrorismo non lo si combatte nel e col terrore: a forza di criminalizzare Hamas, facendo risalire ad essa tutte le disgrazie, me la stanno facendo diventare simpatica. È tutto dire. Ma trovare un nemico facile su cui scaricare le colpe è comodo e fuorviante.

Le attuali sconfitte diplomatiche di Trump sul fronte mediorientale vengono scaricate appunto su Hamas, quelle sul fronte russo-ucraino sulla inopinata testardaggine di Putin. E la pace che doveva arrivare dal cielo trumpiano? Stiamo sempre più sprofondando nell’inferno trumpiano. Io seguo lo stesso schema pressapochista di valutazione: non sono Hamas e Putin i demoni invincibili, ma è Trump il vero angelo caduto in disgrazia che, volenti o nolenti, sta trascinando con sé gran parte del mondo.