La briciolona di Bezos stuzzica l’appetito di giustizia

Il filosofo Massimo Cacciari è stato sindaco di Venezia per 12 anni. E oggi in un’intervista a Repubblica dice la sua sul matrimonio di Jeff Bezos nella città lagunare. Partendo da una presa di posizione ben precisa: «Non me ne frega niente. Se fossi ancora sindaco ignorerei mister Amazon e non l’avrei invitato». Riguardo al presunto merito di accendere i riflettori del mondo sull’agonia della città, secondo Cacciari è «falso, sono sicuro che nessuna luce brilli e che del nostro destino non interessi nulla a nessuno». Ma il problema è «la montagna di sciocchezze che si dicono per confondere le acque».

Secondo l’ex primo cittadino «se si infilano in un frullatore Bezos, Venezia, le guerre, Trump, le ingiustizie, la distruzione del pianeta, il capitalismo, l’evasione fiscale, l’overtourism, il lusso e via elencando, esce un liquido in cui nulla è più distinguibile. La confusione mira a impedire la comprensione dei problemi». In questa gara il peggiore è «il presidente del Veneto Luca Zaia. Ha attaccato l’Anpi, critica verso Bezos, ponendo sullo stesso piano mister Amazon, i suoi ospiti e lo sbarco degli americani che hanno liberato Europa e Italia dal nazifascismo. Sarebbe una barzelletta, o la conferma che all’idiozia non ci sono più limiti. Zaia però conosce la storia e dunque le sue parole da una parte segnalano che la classe dirigente dell’Occidente si è bruciata il cervello: dall’altra sono la prova dell’esistenza di un disegno deciso a smantellare i valori e i diritti democratici fondati sulla resistenza alle dittature».

Bezos invece «è qui per confermare che Venezia la si aiuta solo a patto che accetti di essere il palcoscenico a disposizione di chi ha bisogno di visibilità, o di ostentare il proprio potere. Chi falsifica questa realtà ricorda i folli proclami sull’Europa». Mentre da decenni la sinistra «lascia via libera ai neo-liberisti. Scopre a Venezia il loro disastro? Mille persone possiedono il doppio del Pil italiano: ai No Bezos voglio bene, ma le loro manifestazioni sono impotenti. Alla fine li contesta proprio chi è vittima del sistema che loro denunciano: quello che oggi permette la sopravvivenza a chi si era invece sempre sentito protetto dalla solidarietà».

I 3 milioni di donazione promessi da Bezos infine sono «briciole sparse perché detraibili dalle tasse grazie alle Fondazioni. Venezia nemmeno se ne accorge». Ma il denaro «è l’ultimo dio dell’umanità e se parliamo di oro Venezia non è un’isola. Ma se l’oro è dio, il muro della democrazia crolla. Il matrimonio veneziano di Bezos non può essere aperto e democratico: per questo dimostra che mattone dopo mattone il muro sociale dell’Occidente viene giù». (open.online)

Mio padre su questa vicenda di ricchi epuloni, che lasciano cadere qualche briciolona dalle loro tavole per i poveri mortali, sa la caverebbe con un semplice “Chi el lilù?”, riferito a Bezos, proprietario di Amazon. Reazione analoga a quella di Massimo Cacciari! Come (quasi) sempre, il filosofo coglie nel segno.

Eravamo nei primi mesi del 1969, avevo in tasca un fresco e brillante diploma di ragioniere, avevo appena cominciato a lavorare al centro elaborazione dati della Barilla, ero stato assunto in prova, c’era lo sciopero generale di solidarietà per i dipendenti della Salamini, azienda che stava per fallire. Ricordo con emozione il caso di coscienza che mi si poneva: aderire allo sciopero comportava qualche rischio non essendo ancora dipendente a titolo definitivo, gli stessi sindacalisti interni mi avevano concesso di comportarmi liberamente, i colleghi anziani facevano strani discorsi sull’opportunità di uno sciopero a loro avviso inutile, gli impiegati più scettici temevano di danneggiare ingiustamente la Barilla per colpa della Salamini. Il signor Barilla per loro era un benefattore dell’umanità e non lo si doveva disturbare.

Credevo nel sindacato, nella solidarietà tra lavoratori, nello sciopero come diritto e come strumento di lotta, mi importava dei lavoratori della Salamini, i quali stavano rischiando il loro posto, e non mi preoccupava il fatto di creare problemi al mio datore di lavoro disturbandone la verve benefica.

Alla fine andai a lavorare col “magone” dribblando il cordone sindacale posto all’ingresso della fabbrica. In un certo senso aveva vinto l’egoismo anche se gli stessi sindacalisti non avevano preteso da me un atto di coraggio.

Mi è tornato alla mente questo piccolo episodio della mia vita in concomitanza con la smodata ostentazione del benefico lusso spacciato per manifestazione del moderno sociologismo solidaristico.

Credo che Venezia e il mondo non abbiano bisogno di pur grosse pelose elemosine: questa è la giustizia dei ricchi! Non solo la loro mano sinistra, ma le mani sinistre del mondo intero, sanno quel che fa di buono (?) la loro mano destra.

Abbiamo bisogno di altro…

«Dobbiamo rilanciare l’etica della condivisione. E per etica della condivisione non intendo la condivisione del superfluo, ma una vera equità che parta dalla ridistribuzione di beni e risorse che non dovranno più essere nelle mani di pochi. Solo ad armi pari si potrà avere anche un’autentica meritocrazia. La redistribuzione dei dividendi non può che avvenire sull’esempio di Gesù che accoglie i poveri a tavola, con la loro dignità umana riconosciuta e valorizzata. Per me non c’è altra via: chi possiede molto deve dare a chi non possiede nulla. Gesù ci sprona a una solidarietà rivoluzionaria e a costruire un modello di società in cui la persona è al centro: l’uomo, la donna, il cittadino sono i sovrani, e non il mercato. Oggi pare siamo diventati sudditi del mercato» (don Andrea Gallo).

È molto pericolosa la bigotta legittimazione dell’ingiustizia così come la provocante ostentazione del lusso. Sono effettivamente la ciliegina sulla torta della confusione che, come sostiene Cacciari, impedisce la comprensione dei problemi.

Ricordo quando mi recavo all’Arena di Verona in estate per godere spettacoli d’opera indimenticabili. All’ingresso della platea si venivano a creare due vere e proprie ali di folla: erano i curiosi che “sgolosavano” al passaggio dei “vip” eleganti e famosi. I poveri senza dignità: piuttosto andatevene a casa e canticchiate l’opera lirica per tutta la sera, ma fregatevene dei ricchi e non invidiateli.

“Panem et circenses” è una locuzione latina che significa “pane e giochi (circensi)”. È una frase attribuita al poeta romano Giovenale, che la usò nelle sue Satire per criticare il modo in cui i governanti romani mantenevano il controllo sulla popolazione, offrendo cibo e intrattenimento (come i giochi nel circo) invece di affrontare i problemi reali. La storia si ripete con le moderne armi della distrazione di massa utilizzate a più non posso. Da una parte la “distruzione” di massa operata con le guerre, dall’altra la “distrazione” di massa operata anche dai Bezos di turno.

E chi protesta viene immediatamente emarginato e compatito se non addirittura criminalizzato. Il mondo va così…Guai a chi vuole scendere dal treno! Forse è vero, come afferma Cacciari, che la protesta si rivela impotente. E allora? Ci hanno tolto persino il gusto di gridare contro l’ingiustizia, scatenando la guerra fra i poveri che chiedono giustizia e quelli che si illudono di ottenerla da Bezos.

Attenti a Bibì e Bibohibò

Il processo a Bibi Netanyahu dovrebbe essere annullato immediatamente, o dovrebbe essere concessa la grazia a un grande eroe, che ha fatto così tanto per il suo Stato”. Lo scrive Donald Trump su Truth a proposito del processo per corruzione a carico del premier israeliano.  “Forse non conosco nessuno che avrebbe potuto lavorare in migliore armonia con il presidente degli Stati Uniti di Bibi Netanyahu. Sono stati gli Usa a salvare Israele, e ora saranno gli Usa a salvare Bibi Netanyahu. Non possiamo permettere questo paradosso della giustizia”, ha incalzato il tycoon.

“Sono rimasto scioccato nell’apprendere che lo Stato di Israele, che ha appena vissuto uno dei suoi momenti più grandi della storia ed è guidato con forza da Bibi Netanyahu, sta continuando la sua assurda caccia alle streghe contro il suo primo ministro! Bibi ed io abbiamo appena attraversato l’inferno insieme, combattendo un nemico di Israele tenace e di lunga data: l’Iran. Bibi non avrebbe potuto essere migliore, più acuto o più forte nel suo amore per l’incredibile Terra santa. Bibi Netanyahu è stato un guerriero come forse nessun altro guerriero nella storia di Israele, e il risultato è stato qualcosa che nessuno avrebbe mai pensato possibile: la completa eliminazione di una delle armi nucleari potenzialmente più grandi e potenti al mondo”, prosegue Trump. “Stavamo lottando, letteralmente, per la sopravvivenza di Israele, e non c’è nessuno nella storia di Israele che abbia combattuto più duramente o con più competenza di Bibi Netanyahu. Nonostante tutto questo, ho appena saputo che è stato convocato in tribunale lunedì per la continuazione di questo lungo processo – uno spettacolo dell’orrore da maggio 2020”, ha attaccato il presidente Usa. “Una tale caccia alle streghe, per un uomo che ha dato così tanto, è impensabile per me”, ha sottolineato Trump usando un’espressione con la quale era solito riferirsi ai processi a suo carico. 

 Il presidente israeliano Isaac Herzog ritiene opportuno che il processo contro Benyamin Netanyahu si concluda con un accordo di patteggiamento, ritenendo che Israele sia uno Stato di diritto sovrano e democratico, con un sistema giudiziario indipendente. Sullo sfondo delle dichiarazioni del presidente Usa Donald Trump, che ha invocato la cancellazione del processo, Herzog sostiene che le parti dovrebbero avviare al più presto un dialogo intenso, come suggerito anche dal tribunale. 

 Il primo ministro Benyamin Netanyahu ha commentato l’appello del presidente Usa Donald Trump ad annullare i processi nei suoi confronti, dichiarando: “Grazie presidente Donald Trump per il tuo commovente sostegno a me, a Israele e al popolo ebraico. Continueremo a lavorare insieme per sconfiggere i nostri nemici comuni, liberare i nostri ostaggi ed espandere rapidamente il cerchio della pace”. (ANSA.it)

Leggendo la notizia ho pensato dapprima al processo della Corte Penale Internazionale che ha dichiarato Netanyahu come criminale di guerra, invece Trump fa riferimento al procedimento per corruzione in corso nello Stato di Israele.

Infatti chissenefrega delle Istituzioni internazionali, quelle sono un semplice diversivo a cui prestare l’attenzione che si riserva al nonno sclerotico che gira per casa in mutande. Invece ripristinare l’immagine a livello israeliano ha la sua importanza, anche perché Trump ha vicende giudiziarie analoghe negli Usa, finite nella bolla di sapone presidenziale: per Netanyahu si tratterebbe della bolla di sapone (sic!) dell’eroismo bellico.

Questi se la cantano e se la suonano come vogliono, si fanno i complimenti con parole disgustose, si stringono mani lorde di sangue, e “il pubblico applaude ridendo allegramente” (Pagliacci di Ruggero Leoncavallo).

D’altra parte cosa successe fra Pilato ed Erode alle spalle di Gesù?

Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme. Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla. C’erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza. Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c’era stata inimicizia tra loro”.

Personalmente sottoporrei a procedimento giudiziario davanti alla Corte Penale Internazionale anche Donald Trump, senonché questo tribunale non è stato a suo tempo riconosciuto dagli Usa, che evidentemente hanno messo le mani avanti. Ipotizziamo tuttavia, per un macabro gioco di fantasia, che il processo si svolga: probabilmente Trump verrebbe assolto per infermità mentale, vale a dire per schizofrenia politica, che è di gran lunga peggio di quella normale: mentre infatti la vera e propria schizofrenia può creare seri problemi alla limitata cerchia di interlocutori del malato, quella politica crea disastri a livello mondiale.

Della serie “chi schiva ‘n mat fa ‘na bón’na giornäda”, mentre “chi schiva Trump fa un piazér a tùtt al mónd”.

 

 

Fra trumpismo e melonismo preferisco il dossettismo

Il 1949 fu un anno davvero complicato. A marzo Giuseppe Dossetti si mise di traverso alla decisione di far aderire l’Italia al Patto atlantico. Alla fine votò a favore, ma «controvoglia» e rilasciò al giornale del suo partito, «Il Popolo», una dichiarazione maliziosamente superflua, in cui diceva di aver votato in quel modo nella convinzione che la Nato dovesse essere «una costruzione assolutamente difensiva, pacifica e democratica». 

Dopo settantacinque anni si può dire che la Nato sia stata e sia come l’aveva idealmente e rigorosamente pensata e faticosamente votata il grande Dossetti? Quale Nato esce dal recente vertice dell’Aia?

Difensiva? Non la è stata: in tutte le operazioni militari, anche le più sporche, c’è sempre stata la manina Nato. Vai a capire fin dove c’era un intento meramente difensivo o una volontà offensiva…

Pacifica? Forse era un’illusione che i fatti hanno inevitabilmente smentito. Armarsi fino ai denti come si sta pensando di fare anche oggi non è certo il presupposto per un’azione pacifica, tanto più che l’Unione sovietica non esiste più e la Russia, checché se ne dica, non rappresenta un pericolo serio per l’integrità occidentale, mentre la Cina è più interlocutore commerciale che antagonista bellico. E poi come può essere pacifica una Nato che mette in soffitta il multilateralismo per acconciarsi ad un equilibrio basato sugli imperialismi tra i quali l’Europa rischia oltre tutto di fare la parte del vaso di coccio tra quelli di ferro. All’Europa si chiede uno sforzo immane sul piano delle spese militari, che paradossalmente non servirà comunque a rafforzarne il ruolo ma solo a compiacere l’imperialismo statunitense di riferimento, subendo pedissequamente il trumpismo con tutto quel che ne segue.

Democratica?  All’interno dell’Alleanza il ruolo americano è sempre stato preponderante se non addirittura ricattatorio, all’esterno l’Alleanza ha appoggiato in nome dell’anticomunismo di facciata tutte le peggiori operazioni reazionarie, sostenendo dittature pur di salvaguardare innominabili equilibri (?). La morte di Aldo Moro non rientra forse in questa spaventosa logica di puro potere atlantico?

Potremmo dire che le ragioni dossettiane sono state dimostrate proprio dal martirio di Aldo Moro, sacrificato, direttamente e/o indirettamente sull’altare di un atlantismo invadente e sostanzialmente iniquo.

Ci sono tuttavia sempre stati modi diversi di essere membri della Nato: un modo acritico di legare l’asino dove vuole il padrone (oggi si chiama Trump) e un modo dialogante e propositivo in difesa di uno spirito, come diceva Dossetti, difensivo, pacifico e democratico. Sarà velleitario, ma io non vedo alternative a questo secondo stile.

Perché non si ha il coraggio di squadernare la verità, vale a dire il fatto che per i Paesi europei il riarmo non è compatibile con le loro esigenze di bilancio e con le loro situazioni socio-economiche? Si preferisce affrontare il problema alla tedesca (intascandone sconsideratamente i vantaggi economicamente contingenti, poi si vedrà…) o all’italiana (con i trucchi di bilancio, giocando al rinvio, puntando a ridicole contropartite…).

Perché non si ha la forza di rimboccarsi le maniche in una decisa ripresa europeistica, chiedendo agli Usa di agevolarla seriamente anziché giubilarla indegnamente?

Perché non si chiede di partecipare alla definizione di un nuovo ordine mondiale basato sul diritto internazionale, abbandonando le scorciatoie unilaterali e le sempre più consacrate leggi del più forte?

Perché non si ha il buongusto di dire a Donald Trump che la sua visione del mondo non corrisponde alla nostra e che quindi deve darsi una regolata se non vuole rimanere in pista a ballare il tango con la Russia e con la Cina con tutte le incognite di una simile avventura danzante.

Invece tutti, Italia in primis, a leccargli i piedi (per non dire di peggio, come lui stesso ha detto fuori dai denti…) in una penosa corsa ad ottenerne qualche favore: se questa è politica…

I profeti, come Giuseppe Dossetti, non hanno il potere di predire il futuro, ma di interpretare il presente alla luce delle prospettive future. L’adesione alla Nato nel 1949 non aveva alternative: scontavamo il disastro post-fascista e post-bellico. Nonostante tutto i governi italiani del dopo-guerra hanno cercato l’impossibile, vale a dire di coniugare gli aiuti americani con un minimo di autonomia politica: una vera e propria sfida, durante la quale avremmo potuto e dovuto ricordarci più spesso di quanto sosteneva Dossetti.

A maggior ragione oggi, come Italia, facendoci forza su una convinta partecipazione alla Ue e su una situazione non più disastrosa sul piano economico, potremmo e dovremmo riprendere il cammino atlantico in modo critico e con dignità: a proposito di dignità Alcide De Gasperi riuscì a mantenerla nonostante tutto, Giorgia Meloni la sta svendendo al peggior offerente.

 

Il matto che dà ordini ai matti

Trump furioso contro Israele e Iran. Prima l’annuncio della tregua poi, dopo il collasso in poche ore del cessate il fuoco, l’intervento da paciere: «Israele, non sganciate quelle bombe. Se lo fate, è una violazione grave». Così Donald Trump, scrivendo sul suo social Truth, aveva tentato di scongiurare una nuova escalation, dopo le minacce di Tel Aviv di «colpire con forza il cuore di Teheran». E poi si era rivolto direttamente alle forze militari israeliane: «Riportate a casa i vostri piloti, subito!». Parlando con i giornalisti, prima di partire per il vertice Nato, il presidente americano aveva inoltre condannato sia Israele che Iran per la violazione del cessate il fuoco: «Sono due Paesi che stanno combattendo da così tanto tempo e così duramente, che non sanno cosa c***o stanno facendo». In modo particolare si sarebbe detto deluso da Tel Aviv: «Ora Israele sta per colpire l’Iran a causa di un razzo che non è atterrato da nessuna parte. Devo far calmare Israele adesso, vedrò se riesco a fermarlo». (open.online)

“Tutt i mat i gan la sò virtù”: mi è venuto spontaneo reagire così alla sparata di Trump, irritato per l’accoglienza non proprio entusiastica degli israeliani e degli iraniani al cessate il fuoco patrocinato appunto dal presidente statunitense. Mi sono bastati però trenta secondi per riflettere e tornare in me stesso: con quale credibilità, al di là dell’arroganza del potere, questo signore fa la ramanzina ai belligeranti, proprio lui che alcuni giorni fa aveva sganciato bombe sull’Iran, lui che è culo e camicia con Netanyahu a cui ha dato  piena licenza d’uccidere, lui che non nasconde  simpatie putiniane (ogni simile ama il suo simile), lui paladino della fine del multilateralismo, lui accanito sostenitore della legge del più forte, lui che umilia gli interlocutori per poi offrire loro qualche biscottino più o meno avvelenato, lui che è il protagonista principale del disordine internazionale, lui che sta nascondendo la democrazia sotto il tappeto dell’imperialismo e dell’autarchia?

La deriva bellica che ci coinvolge e ci sconvolge parte dall’egoismo individuale, che diventa sociale, nazionale e internazionale: Donald Trump è l’uomo decisivo per questa escalation. Il discorso va ben oltre le analisi sociologiche sulla società americana e sulla debolezza del suo sistema politico, tutto risale alla istituzionale cavalcata trumpiana dell’istinto tribale alla violenza.

Due voci ho ascoltato in questi giorni. Massimo Cacciari, da filosofo ateo, ha ammesso che l’unica istituzione che fa un’azione seria e intelligente di pace è il Vaticano; Massimo D’Alema, da impareggiabile ex-politico, ha osservato come tutto lo sfacelo dipenda dalla crisi di valori a tutti i livelli (i valooori, come dice lui con la giusta enfasi).

Due voci di una sinistra del passato, che, pur con tutti i difetti, dava un senso alla politica. Non bisogna però vivere di nostalgia e l’unico modo per attualizzare le cose giuste è combattere senza credere alle fandonie delle narrazioni che ci vengono propinate e senza ubbidire agli ordini della (non) politica.

 

 

Il ben dell’intelletto

«Non siamo i nostri regimi». Comincia così la lettera aperta scritta in persiano, ebraico, inglese e francese da ventuno intellettuali e attivisti iraniani e israeliani «nell’arco di una giornata», come racconta Lior Sternfeld, uno degli autori. In dieci giorni di offensiva i sottoscrittori sono diventati oltre 2.100.

Nella lista figurano la Nobel per la Pace, Narges Mohammadi, il difensore dei diritti umani Mehrangiz Kar, l’ex parlamentare della Knesset, Mossi Raz, e il presidente dell’Accademia delle scienze e delle lettere di Gerusalemme, David Harel.

Con l’attacco Usa a Teheran di domenica, il loro grido di pace si fa ancora più forte. «No, non siamo i nostri regimi. Confondere popoli, Paesi e governi è un grosso errore. Nel caso dell’Iran, poi, data la confusione nelle cancellerie internazionali al riguardo, è macroscopico», sottolinea Sternfeld, docente di storia e studi ebraici alla Penn State University, tra i maggiori esperti di questioni iraniane. L’anno scorso, il docente ha partecipato, a margine dell’Assemblea generale Onu, a una riunione con il presidente Masud Pezeshkian, divenendo il primo cittadino israeliano a incontrare pubblicamente un leader della Repubblica islamica. «Il fraintendimento più grossolano nei confronti di Teheran riguarda l’opposizione interna».

L’opposizione agli ayatollah non solo esiste ma include gruppi consistenti della società. La sua ostilità nei confronti del regime non si traduce, però, nel sostegno agli interventi bellici di Israele e Usa. Gli iraniani non vogliono essere salvati da Benjamin Netanyahu o da Donald Trump. Al contrario: sono consapevoli che la guerra condotta da potenze straniere produrrà danni incalcolabili al proprio Paese. E qui viene il punto cruciale. Buona parte del popolo dell’Iran non ama gli ayatollah ma sì ama – e profondamente – la propria nazione. E non vuole vederla precipitare in una spirale di violenza senza fine, come è avvenuto in Iraq, Afghanistan o Libia. O cadere ancora una volta ostaggio di una dittatura sanguinosa. Hanno sperimentato sulla propria pelle i danni collaterali degli interventi occidentali. (dal quotidiano “Avvenire” – Lucia Capuzzi)

Come si fa a non essere d’accordo con i firmatari di questa lettera aperta? I raid non portano democrazia: così è titolata l’intervista di cui sopra. Esattamente il concetto opposto a quello blaterato da Trump e Netanyahu e subdolamente condiviso dall’Occidente di lor signori.

Visto che abbiamo perso il ben dell’intelletto, meno male che qualcuno ci aiuta a ritrovarlo, non certo nelle opache sedi politiche (al riguardo, la seduta del Parlamento italiano, che non merita più di una trista parentesi, è stata una sfilata di burocrati senza cuore e con poco cervello: di quanto ho sentito salvo l’intervento di Gianni Cuperlo), ma nel pensiero di chi ragiona e di chi soffre.

 

 

Burattina di Trump, burattinaia degli italiani

Via gli studenti stranieri da Harvard. L’ultima trovata di Donald Trump è un nuovo attacco all’Università più prestigiosa al mondo, che proprio accogliendo nelle sue aule ragazze e ragazzi da ogni angolo della terra ha costruito la sua reputazione. Una decisione giustificata con la motivazione di combattere l’antisemitismo. In realtà, un passo in avanti nella crociata contro quell’America liberal e progressista che il presidente detesta, cortesemente ricambiato. (La Stampa – Francesca Schianchi)

Forse non ci rendiamo conto del pericolo che sta correndo la democrazia: sì, perché purtroppo il “la” per l’esecuzione della sinfonia (anti) democratica, volenti o nolenti, lo danno gli Usa.

Davanti ai drammatici scenari di guerra che giorno dopo giorno si fanno più allarmanti, c’è chi si diverte a depistare il dibattito, ponendo il (falso) problema sul chi sia, fra Trump e Netanyahu, il burattino e il burattinaio: si accettano macabre pirandelliane scommesse. Propendo per la teoria dei reciproci burattini/burattinai. Il vero problema però è che il mondo è diventato un teatro di burattini.

In questo momento storico occorrerebbe tenere la spina dorsale ben dritta per non ascoltare le sirene d’oltreoceano. Invece, mentre l’Europa balbetta diverse lingue, tutte peraltro poco democratiche, l’Italia sta recitando la parte della spugna che assorbe opportunisticamente la dottrina Trumpiana, fatta di razzismo, discriminazione, egoismo, nazionalismo, etc. etc.

Adesso c’è di mezzo anche la scusa dell’antisemitismo, che serve a mettere la sordina all’indignazione sempre più larga e profonda verso la vergognosa politica israeliana. Trump ha concesso a Netanyahu una vera e propria licenza d’uccidere e quindi come può fare la più trumpiana fica del bigoncio europeo a rispettare una storica linea di politica internazionale che riusciva a combinare l’amicizia col popolo israeliano con l’attenzione e la solidarietà verso il popolo palestinese e il mondo arabo-musulmano?

E pensare che, al di là delle sacrosante motivazioni etiche, la politica estera italiana in passato ci ha preservato dall’impatto del terrorismo islamico, a dimostrazione che al terrorismo non si deve fare una guerra armata ma disarmata, al fine di rimuoverne le cause consistenti principalmente nel consenso dei disperati.

Invece stiamo sprofondando in un’acritica linea di collaborazionismo con Trump e Netanyahu: non si tratta di una passeggera ventata antistorica legata soltanto a squallidi personaggi, ma rischia di diventare un nuovo progressivo assetto geopolitico a prescindere dai valori e dai principi della tradizione democratica occidentale.

Trump non rappresenta soltanto la propria sete di potere a livello nazionale, personale e castale, ma una nuova cultura, vale a dire un diverso modo di intendere la vita politica e sociale: ecco spiegato l’accanimento verso le università, vale a dire le sedi dove l’eredità del sapere si combina con l’ansia della ricerca culturale e con l’ardore giovanile dell’impegno civile.

Netanyahu non è un incidente di percorso nella storia di Israele, ma incarna una mentalità profonda, diffusa e condivisa. Nemmeno la folle gestione della questione degli ostaggi è riuscita a innescare una consistente protesta nella popolazione israeliana.

Non ho idea cosa possa occorrere alle società americana e israeliana per smascherare gli inganni di cui sono prigioniere più o meno consapevoli.

Quando in Italia scattò la trappola del berlusconismo qualcuno sosteneva che occorresse una trentina d’anni per farne scoppiare le contraddizioni e preparare una classe dirigente alternativa. Di anni ne sono passati una cinquantina e siamo ancora impantanati nel berlusconismo riveduto e scorretto.

Persino la religione è coinvolta in questi autentici disastri anti-democratici, preferendo la compromissione col potere alla contestazione del potere: di qui la mia apprensione per il papato di Leone XIV, partito più sul piano dell’impossibile dialogo che su quello dell’aperto e fattivo dissenso. Riuscirà un papa americano a resistere all’attuale coinvolgente e ingannevole americanismo? Riuscirà a mettere i paletti all’ecumenismo (Chiesa ortodossa putiniana) e al confronto interreligioso (ebraismo guerrafondaio), non tanto dal punto di vista dogmatico, ma sul piano della prassi pacificatrice nei confronti delle coscienze, delle comunità e del mondo.

Non è un caso che la gerarchia cattolica statunitense abbia rilasciato qualche sciagurata cambiale al trumpismo, giustificata con l’anti-abortismo e il ritorno ai tradizionali e discriminatori schemi etici, mentre la gerarchia ebraica è da sempre addirittura parte integrante del sistema di potere israeliano, che ha in Netanyahu non una scheggia impazzita ma un interprete credibile e pertinente.

In questo pericoloso crocevia della storia attuale, quale ruolo può giocare l’Europa, che sembra più impegnata a guadagnare tempo che a decidere sulla fedeltà ai propri fondanti valori e principi. L’unico personaggio che si sforza di toccare questa fondamentale problematica è il nostro presidente della Repubblica.

“Un attore globale deve saper governare sfide strutturali di portata globale, stabilendo rapporti strutturati e proficui con tutti i Paesi del mondo”, ha insistito Mattarella. L’Europa, ha ricordato in ogni tappa della sua missione di due giorni a Bruxelles, vive un periodo di transizioni internazionale che porterà a nuovi equilibri. Un periodo segnato da guerre che portano “instabilità” e “sofferenza umana”.

E “se l’Ue sarà assente o inefficace negli scacchieri” internazionali, “altri attori prenderanno il sopravvento in queste aree del mondo, come stanno palesemente cercando di fare, sostituendosi all’Europa”, ha scandito il presidente della Repubblica. Senza tralasciare – con riferimento implicito agli Usa – il compito dell’Ue di tessere reti, in un periodo “di dichiarata sfiducia da diverse parti sul valore dell’apertura dei mercati. Quanto più le istituzioni comunitarie si dimostrano trasparenti e efficienti, tanto più se ne rafforza l’indispensabile consenso sociale”, ha rimarcato Mattarella. (ANSA.it)

Purtroppo alla tanta convinzione di Mattarella fa riscontro la vergognosa titubanza di Giorgia Meloni, che non è assolutamente in grado di rappresentare e interpretare le aspirazioni del popolo italiano, ma si accontenta di fare la burattina di fila in un’orchestra intenta a suonare la marcia funebre della democrazia e della pace.

Per proseguire nella metafora: qual è la differenza fra burattino e marionetta? Il burattino è manovrato dal basso dalle mani del burattinaio che infila la mano all’interno del burattino, usando il pollice e il medio (o il mignolo) per muovere le braccia, mentre l’indice sostiene la testa. In questo modo, il burattinaio può controllare i movimenti del burattino, facendolo parlare, camminare, e compiere altre azioni.

Una marionetta invece è animata tramite una serie di fili fissati al suo corpo e collegati a una struttura di controllo chiamata “croce” o “bilancino”. Il marionettista, muovendo questa croce con una mano, può tirare i fili e far compiere alla marionetta movimenti complessi, come camminare, parlare, gesticolare e persino esprimere emozioni.

Giorgia Meloni assomiglia più a un burattino o a una marionetta? E chi è il burattinaio e il marionettista che le dà vita? Trump e/o Netanyahu? Chissà chi lo sa!

Alla nostra premier basta lisciare il pelo alla sua qualunquistica minoranza popolare e parlamentare, dandole l’illusione di stare vicino ai manovratori del treno che viaggia sul binario del disastro. Il discorso si allarga: gli italiani sono burattini o marionette peraltro di secondo livello, vale a dire burattini o marionette non nelle mani di un burattinaio o di un marionettista, ma di un burattino/marionetta che li bastona fra le amare risate di un’assurda platea?

 

 

 

 

La giungla delle Nazioni

Non mi ha sorpreso l’entrata in guerra degli Usa contro l’Iran: era nell’aria e d’altra parte, quando ci si mette in una certa perversa logica, non ci si può fermare, bisogna andarci fino in fondo, salvo almeno il diritto/dovere di chiamarsi fuori da parte di chi non è d’accordo.

Mi hanno invece sconvolto le deliranti, oserei dire diaboliche, dichiarazioni di Donald Trump e di Benjamin Netanyahu.

Il commander in chief ha parlato per soli tre minuti, con tono serio e solenne. Prima ha fatto il bilancio dell’operazione, assicurando che “i siti nucleari chiave iraniani sono stati completamente e totalmente distrutti” con “massicci attacchi di precisione” in quello che ha definito “uno spettacolare successo militare”. Quindi ha lanciato un nuovo ultimatum a Teheran, affermando che il futuro dell’Iran è “pace o tragedia” e che ci sono molti altri obiettivi che possono essere colpiti dall’esercito americano. “Se la pace non arriva rapidamente, attaccheremo quegli altri obiettivi con precisione, velocità e abilità”, ha minacciato. Poi su Truth ha avvisato la Repubblica islamica che “qualsiasi ritorsione dell’Iran contro gli Stati Uniti sarà contrastata con una forza molto superiore a quella di questa sera”. Il presidente ha detto anche di aver fatto un “lavoro di squadra” con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. (ANSA.it)

In un video pubblicato in inglese, il premier israeliano Netanyahu ha ringraziato il presidente degli Stati Uniti, Trump, per l’attacco agli impianti nucleari iraniani. “La decisione di Trump e coraggiosa e cambierà la storia”, ha affermato il primo ministro. “Io e il presidente Trump diciamo spesso, ‘la pace attraverso la forza’. Prima viene la forza, poi viene la pace. E stasera il presidente Trump e gli Stati Uniti hanno agito con molta forza”. (Televideo)

Viene consacrato uno sconvolgimento totale nei rapporti fra le nazioni: che vale è la forza, il diritto internazionale non esiste e non valgono nulla le istituzioni ad esso preposte; la pace non si ottiene col dialogo e con la diplomazia, ma con la forza. Non contano più nulla i valori della democrazia e della coesistenza pacifica, nemmeno la ricerca di una qualche compatibilità degli interessi nazionali, che conta è la forza bruta.

A dirlo e metterlo in pratica non sono due personaggi qualsiasi, ma il presidente della più grande potenza mondiale che domina l’Alleanza Atlantica e di un Paese che in passato qualcuno sognava di far entrare addirittura nell’Unione europea, coi quali siamo alleati. Bisognerà pure, a livello europeo ed italiano, prenderne atto e agire di conseguenza.

Il popolo europeo e quello italiano sono d’accordo con questo cambiamento storico, tale, a mio giudizio, da mettere in discussione alleanze, assetti e collaborazioni internazionali? Non sono più ammessi tatticismi, opportunismi, ambiguità ed omertà. È in gioco il destino dell’umanità e non la sopravvivenza del governo Meloni!

 

 

 

 

 

 

 

Il diritto alla non sofferenza

Il risultato dello scrutinio è stato accolto dalla lobby eutanasica britannica, con Humanitas Uk e Dignity in dying in prima linea, come una «vittoria storica per la compassione, la dignità e la libertà di scelta». Slogan gridati dagli attivisti che hanno atteso l’esito del voto a Parliament Square. Dall’altro lato della piazza, il mondo pro-life in allarme per i rischi legati all’applicazione di una legge «profondamente difettosa e pericolosa». Che costringe la rete degli hospice a una profonda riorganizzazione tutta da disegnare. «Siamo preoccupati per il futuro delle cure palliative – ha dichiarato l’arcivescovo John Sherrington, responsabile per le questioni di bioetica della Chiesa cattolica di Galles e Inghilterra – soprattutto perché l’esperienza suggerisce che, in assenza di protezioni esplicite, gli hospice potrebbero essere obbligati a collaborare con il suicidio assistito. Se ciò accadesse, il futuro di molte istituzioni cattoliche potrebbe essere a rischio». «Non perdiamo la speranza – ha però incoraggiato – e continuiamo a combattere”. (dal quotidiano “Avvenire” – Angela Napoletano)

Innanzitutto non condivido i toni allarmistici usati dal quotidiano cattolico per affrontare questa delicata materia. In Inghilterra hanno finalmente varato una legge per regolare un problema intorno al quale in Italia si gira a vuoto tra opportunismi clericali, scontri istituzionali, dibattiti etici che lasciano il tempo che trovano.

In secondo luogo non ritengo che l’eutanasia sia materia di scontro ideologico tra lobby: non è una vittoria e una sconfitta per nessuno, men che meno per le istituzioni cattoliche impegnate nelle cure palliative.

Al centro del discorso c’è la persona umana, della quale, come diceva don Andrea Gallo, «sulla base di una scelta chiara e consapevole, bisogna rispettare il diritto alla non sofferenza, a un minimo di dignità in ciò che rimane della vita».

La Chiesa e i credenti facciano il loro “mestiere” della carità e della solidarietà a chi soffre, senza imporre soluzioni dogmatiche e senza scadere nel dolorismo a tutti i costi; lo Stato faccia buone leggi a servizio di chi è in gravi difficoltà, offrendo soluzioni diverse a seconda delle scelte operate a livello di coscienza individuale. Il resto è fuffa giocata sulla pelle di chi soffre.

Volendo rimanere sul piano etico-religioso, mi sono sempre chiesto come il Padre eterno accoglierà un suo figlio che abbia deciso di interrompere la vita perché “non ce la faceva più a vivere”. Si scandalizzerà? Lo manderà all’inferno? Gli rimprovererà questa dolorosa scelta? Ma fatemi il piacere…lo abbraccerà, lo bacerà e gli dirà: “Finalmente sei arrivato dopo tanto soffrire!”.

Probabilmente il Padre Eterno avrà invece qualcosa da ridire su quanti vogliono mettere sulle spalle di chi soffre una soma insopportabile e su coloro che non fanno niente per aiutare fino in fondo chi soffre salvo, nel peggiore dei casi, nascondersi dietro il teorico rispetto della vita e, nel migliore dei casi, offrire la somministrazione delle cure palliative.

 

 

 

L’essenziale protagonismo resistenziale

Mentre a Bruxelles si vedevano alcuni dei referenti politico-militari delle minoranze, dall’altra parte dell’Atlantico si è recato Abdullah Mohtadi, leader dell’altro movimento curdo, il più noto e organizzato “Partito Komala del Kurdistan iraniano”. È volato negli Stati Uniti «per ribadire la posizione di pieno sostegno a un Iran non nucleare», ha detto. Le coincidenze, per chi conosce quel labirinto minato che è il Medio Oriente, non esistono. Due giorni fa Mothadi inviava ai suoi sostenitori un messaggio in parte da decifrare. Gli incontri americani «si sono svolti a Capitol Hill (il Parlamento Usa, ndr) e con osservatori dell’Iran al di fuori del governo statunitense». A chi si riferisse, se ai sauditi o ad altre entità, non ha voluto precisarlo. Una cosa però il leader curdo, che ha rimproverato l’Europa per essersi fatta da parte, ha voluto ripetere per rassicurare chi teme che possa scoppiare una guerra interna tra diverse fazioni fino a tracimare specialmente fino al confine turco: «Siamo a favore di un Iran democratico, dei diritti dei curdi e della pace con i nostri vicini».
Argomenti ribaditi ieri da Maryam Rajavi, presidente eletta del “Consiglio nazionale della resistenza iraniana”. «La soluzione a questa guerra e a questa crisi risiede nel rovesciamento e nel cambiamento di questo regime da parte del popolo iraniano e della sua resistenza», ha detto davanti al Parlamento Ue, invocando il riconoscimento «della lotta del popolo iraniano per rovesciare il regime». I tempi stringono, a giudicare anche dalle parole di Abdullah Mohtadi, che ha lasciato gli Usa con un saluto sibillino: «La prossima settimana sarà importante». (dal quotidiano “Avvenire” – Nello Scavo)

Ho molti seri dubbi che la guerra israeliana contro l’Iran possa favorire un repentino e positivo cambio di regime: la storia, almeno quella dopo il secondo conflitto mondiale, insegna esattamente il contrario. Ai regimi dispotici, combattuti e abbattuti dall’Occidente per mero opportunismo, hanno fatto seguito situazioni confuse e tutto sommato ancora peggiori: gli esempi si sprecano dalla Libia all’Afganistan.

Anche le forze contrarie ai pasdaran costituiscono purtroppo un’accozzaglia assai difficile da interpretare e da aiutare dall’esterno. Una cosa è certa: soltanto da una loro forte presa di coscienza e da una loro profonda volontà di cambiamento può dipendere una nuova pagina di storia in senso autenticamente democratico. Sono loro a dover dettare tempi e modi a cui fare riferimento per eventuali interventi esterni mirati e non sconclusionati, motivati e non strumentali, rispettosi e non utilitaristici.

Israele e gli Usa non mi sembrano affidabili per operazioni così delicate e complesse, non hanno il rispetto dei valori democratici e si muovono in base ad interessi contingenti o comunque al di fuori del diritto internazionale. Come può infatti ristabilire in uno Stato l’ordine fondato sul rispetto dei diritti fondamentali chi li viola sistematicamente a casa propria e a livello internazionale? Non vorrei che gli oppositori iraniani si appoggiassero a chi li vuole soltanto strumentalizzare per poi magari mettere in piedi un regime che risponde più ai “liberatori” che ai “liberati”.

Faccio fatica ad intravedere il protagonismo unitario indispensabile per una resistenza da parte delle forze di opposizione iraniane, una sorta di Comitato di liberazione che dialoghi e collabori con gli Stati veramente amici e non con quelli che fanno finta di esserlo.

Faccio ancor più fatica a vedere nell’Occidente, guidato da Netanyahu e Trump, l’interlocutore affidabile e pronto a ritarare la propria azione sulle esigenze della popolazione iraniana. E il resto del mondo arabo quale ruolo potrà avere al di là dei meri opportunismi economico-commerciali? Per non parlare di eventuali interferenze russe…

La Resistenza italiana durante la seconda guerra mondiale era dotata di valori democratici unitari e gli alleati condividevano nella sostanza l’antifascismo e l’antinazismo: se tento un parallelo non trovo attualmente i valori e principi su cui basare un’azione simile. Intendiamoci bene, non è che gli Usa fossero dei benefattori, avevano tutto il loro interesse ad appoggiare la Resistenza, però c’era una comunanza ideale che faceva da substrato alla guerra di liberazione. Contro l’Iran non è proprio così.

Non escluderei drasticamente che dal male della guerra scatenata da Israele possa sortire un’occasione per voltare pagina, purché cessi il massacro dei Palestinesi e le nuove pagine, quella palestinese e quella iraniana, le scrivano gli interessati veramente democratici ed autonomi. Al momento mi sembra il libro dei sogni!

 

 

 

Le bombe e le balle nucleari

Il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), Rafael Grossi, ha dichiarato in un’intervista all’emittente statunitense CNN che, fino ad oggi, l’Agenzia non ha trovato nessuna prova dell’esistenza di un programma organizzato da parte dell’Iran volto alla costruzione di armi nucleari.

Grossi ha spiegato che, malgrado l’attenzione internazionale rivolta alle capacità nucleari iraniane, “non abbiamo osservato prove che indichino un movimento strutturato verso la produzione di armamenti nucleari”.

Alla domanda sul tempo che sarebbe necessario all’Iran per ottenere un’arma nucleare, Grossi ha risposto: “Senza dubbio, non è una questione imminente, ma non possiamo nemmeno dire con certezza che si tratti di anni. Queste rimangono solo ipotesi, ed è per questo che affermo che, in realtà, non lo sappiamo”. Il direttore dell’AIEA ha inoltre sottolineato che, nonostante alcune limitazioni, l’Agenzia continua a monitorare la situazione e a riferire quanto è in suo possesso. “Fino a questo momento, i nostri rapporti non contengono indicazioni di un piano coordinato per dotarsi di armi nucleari”, ha ribadito.

Quando venerdì scorso Israele ha lanciato la sua serie di attacchi contro l’Iran ha dichiarato di averlo fatto perché in possesso di prove secondo le quali la Repubblica Islamica si stesse avvicinando rapidamente a un punto di non ritorno nella sua corsa all’ottenimento di armi nucleari; gli attacchi dello stato ebraico sarebbero stati quindi necessari per prevenire tale risultato.

Tuttavia le valutazioni dell’intelligence statunitense sono giunte a una conclusione diversa: non solo l’Iran non starebbe attivamente perseguendo un’arma nucleare, ma sarebbe anche a tre anni di distanza dalla capacità di produrne e utilizzarne una.

Un alto funzionario USA interpellato dalla CNN ha però ammesso che l’Iran è tecnicamente “quasi pronto” e, qualora decidesse di costruire una bomba, avrebbe le risorse per farlo. I danni inflitti finora da Israele sembrano aver ritardato il programma iraniano solo di qualche mese. L’impianto di Natanz è stato colpito duramente, ma Fordow – la struttura sotterranea più protetta – è rimasta intatta.

Secondo esperti militari, Israele non ha la capacità tecnica per colpire Fordow senza armi e supporto aereo statunitensi. “Se vuoi davvero smantellare quel programma, serve un attacco americano o un accordo diplomatico”, ha dichiarato Brett McGurk, ex diplomatico USA. Questo crea un dilemma di non semplice soluzione per l’amministrazione Trump, che sta cercando di evitare un coinvolgimento diretto ma sa che Israele, da solo, non può distruggere l’intero programma nucleare iraniano. (Fanpage.it)

E allora come la mettiamo? Forse è giunta l’ora di finirla e di ammettere apertamente quel che (quasi) tutti hanno capito: Israele vuol fare piazza pulita dei Paesi disturbatori della sua imperialistica quiete, il resto sono balle etiche (salvare il mondo dall’atomica in mano ai cattivi iraniani, balle politiche (cambiare il regime anti-democratico e teocratico dei pasdaran), balle economiche (difendere gli interessi occidentali su approvvigionamenti energetici, scambi commerciali, etc.), balle internazionali (garantire equilibri di coesistenza pacifica).

Netanyahu (a proposito di democrazia non si è ancora capito se disponga di un serio e valido consenso) si sta comportando da autocrate tanto quanto i suoi amici di merende, vale a dire Putin e Trump. I diritti calpestati in Iran sono garantiti in Russia, negli Usa e in Israele? Cosa vogliono esportare gli israeliani e gli americani capeggiati da personaggi che stanno liquidando il diritto a livello interno e internazionale?

Cosa ci sta a fare l’Europa? Lo sgabello per i piedi trumpiani e/o la quarta colonna della politica israeliana? Come ha recentemente affermato Massimo D’Alema, non riesce a difendere i propri valori, ma nemmeno i propri interessi.

E l’Italia, tra le ridicolaggini di Tajani, le sceneggiate di Meloni e le puttanate di Salvini, cosa sta combinando? Non sta forse dilapidando un patrimonio storico fatto di azioni diplomatiche verso i Palestinesi e i Paesi arabi?

E Donald Trump cosa ci riserva (si accettano scommesse sulla sua entrata in guerra): parecchi anni fa gli Usa avevano concordato un accordo con l’Iran, ora se lo è rimangiato dando naturalmente la colpa ad Obama che l’aveva costruito, a Biden che lo ha gestito male e agli iraniani che non l’hanno rispettato. Ma non è così: la diplomazia non esiste più, esiste la legge della jungla, dove tutto è giustificabile ed ammissibile.

La montagna del recente G7 ha partorito il topolino di un vergognoso compromesso che ha tenuto insieme il no ad un Iran dotato di armamenti nucleari (al momento non le ha!), il diritto di Israele a difendersi (da cosa?), la ripresa dei negoziati (detto da chi li ha fatti saltare?) e udite-udite un cessate il fuoco a Gaza (esiste ancora la striscia di Gaza?).

Avete notato come si pavoneggiava Giorgia Meloni? Non sa fare altro… Dovrebbero andare tutti (incapaci, incoerenti e delegittimati) a nascondersi e invece…