La guerra dei martiri o l’armistizio della legalizzazione?

Ho rinunciato a capire l’antefatto dell’uccisione del carabiniere in quel di Roma: ricostruire la vicenda servirà alle forze dell’ordine per non andare allo sbaraglio in un mondo rischiosissimo come quello delle tossicodipendenze; servirà alla magistratura per accertare responsabilità, processare e punire i colpevoli; servirà ai giornalisti che, per mestiere, dovrebbero appurare e presentare la verità oggettiva; servirà ai politici per avere elementi di valutazione al fine di intervenire a livello legislativo ed esecutivo sul discorso delle tossicodipendenze e del mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico.

Mi sono tuttavia chiesto: la legalizzazione delle droghe potrebbe almeno contenere la follia dei consumatori, ridimensionare il ruolo degli spacciatori, mettere in difficoltà il narcotraffico, evitare di lasciare sul campo oltre ai morti per overdose quelli che per mestiere sono costretti a mettere il dito nel covo di vipere?

In linea teorica sono contrario a legalizzare i fenomeni anomali solo per salvare il salvabile: la legalizzazione prende atto del problema insormontabile, tenta di smorzarlo, ma finisce con l’allargarlo. Tuttavia non condivido nemmeno chi si nasconde dietro la coscienza per salvare la faccia, lasciando le cose come stanno, illudendosi di combattere certi fenomeni con la repressione e la criminalizzazione, immolando sull’altare chi si trova in prima linea a combattere a mani nude.

A chi si imbatte nella criminalità, micro o macro che sia, esistente nel campo delle droghe, una coltellata nella schiena non la toglie nessuno. Dobbiamo essere seri ed ammetterlo: o le forze dell’ordine hanno la capacità di combattere, a tutto campo ed a tutti i livelli, questo fenomeno malavitoso oppure, se si limitano a pizzicare qua e là, corrono rischi tremendi. Chi tocca muore: vale per le tossicodipendenze, per la prostituzione, per le varie mafie.

Non si può certo convivere con questi fenomeni malavitosi e, in certa misura, la legalizzazione può essere considerata una forma garbata di convivenza. Si sappia però che la guerra bisogna saperla fare con i mezzi giusti, le armi opportune e le strategie complessive. L’occasionale retata, l’intervento spot, le tattiche di sopravvivenza non servono, anzi mettono a repentaglio chi ha la sfortuna di trovarsi in mezzo al traffico. Anche la benemerita opera di recupero chiude la stalla quando i buoi sono scappati. E allora? Sono pieno di dubbi. Le risposte facili le lascio ai demagoghi e ai populisti: loro sì che se ne intendono! Anche perché questi problemi fanno parte della nostra (in)civiltà e qui il discorso si fa ancor più difficile al limite dell’impossibile.

Il selfie alla deriva fascista

La foto circolata nei giorni successivi alla drammatica uccisione del carabiniere in servizio, avvenuta ad opera di ragazzini americani rimasti invischiati nel mondo della droga ed autori di una folle aggressione tanto sconsiderata quanto violenta, è la sintesi della crisi totale di valori in cui stiamo precipitando. In essa, che ritrae uno dei due ragazzi americani ammanettato e bendato, c’è il dolore per la morte di un servitore dello Stato che si fa vendetta; c’è l’umiliazione coatta di un ragazzo rovinato per tutta la vita da un episodio assurdo al limite del demoniaco; c’è l’odio che risponde all’odio in una spirale senza fine che ci porta al disastro; c’è la reazione sbagliata alla violenza con la violenza; c’è l’illusione di recuperare dignità e forza schiacciando il colpevole; c’è il pubblico potere che, farneticando, induce a farsi giustizia da sé; c’è l’aggressione dei disvalori che cancella i valori; c’è da rimanere sbigottiti e confusi.

Davanti ad essa non si scontra il “cattivismo” difensivo dello Stato con il “buonismo” arrendevole delle anime belle; si scontra la civiltà con la barbarie, la storia con la preistoria. Sullo sfondo dell’immagine si nota, appesa al muro, la fotografia di Falcone e Borsellino: allo sfregio del sacrificio di Mario Cerciello Rega si aggiunge lo sfregio al loro sacrificio. Stiamo buttando la società nella merda! Fermiamoci, se siamo ancora in tempo, perché non è possibile andare indietro fino a tal punto.

Le prime galline hanno cantato dopo aver fatto l’uovo. Il titolare del Viminale ha ribadito il suo dissennato concetto: “A chi si lamenta della bendatura di un arrestato, ricordo che l’unica vittima per cui piangere è un uomo, un figlio, un marito di 35 anni, un Carabiniere, un servitore della Patria morto in servizio per mano di gente che, se colpevole, merita solo la galera a vita. Lavorando. Punto”. La vittima per cui piangere è la nostra società, che sta brancolando nel buio anche per colpa di politici, che meritano, come minimo, di andare a casa, di cambiare mestiere. Punto. Lasciamo perdere le altre galline di contorno. Un esponente leghista di cui non ricordo il nome ha fatto una dichiarazione tutta contro l’immigrazione clandestina: forse nessuno gli ha detto che le indagini sul fatto di sangue in questione stanno prendendo tutt’altra piega. Cosa c’entra l’immigrazione? Quella c’entra sempre, perché è il modo di conquistare le menti alla politica populista e reazionaria.

Per fortuna il premier Conte ha rilasciato dichiarazioni improntate a moderazione ed equilibrio: fino a quando potrà restare al suo posto per raccattare gli escrementi dei suoi colleghi di governo? Sì, perché sta facendo quello. È poco, ma, devo ammetterlo, è meglio di niente. “L’Italia è uno Stato di diritto, la culla della civiltà giuridica dai tempi dell’antico diritto romano; abbiamo principi e valori consolidati: evitiamo di cavalcare l’onda delle reazioni emotive”: sentirlo ripetere fa bene al cervello e al cuore.

Che mi preoccupa non sono le parole e le invettive di Salvini e c., che mi preoccupa è la progressiva, ingenua, ma comunque colpevole, adesione della gente ad una politica fondata sulla paura, sull’odio, sul risentimento e sul rancore: se si consolida questa tendenza sociale siamo fritti in una padella, che non so definire altrimenti che fascista.

Bullismo ad oltranza

Non è bastato: dopo tre anni di lavori socialmente utili, hanno ripreso il loro bullismo sui social, postando offese a coloro che avevano scoperto e punito il loro comportamento indescrivibile ai danni di un coetaneo. Non è stato sufficiente un tentativo di rieducazione per portare questi ragazzi a più miti consigli.

Il fenomeno del bullismo sta diventando sempre più serio ed inquietante: è lo sfogo adolescenziale della immotivata cattiveria umana, è la premessa della più ragionata e matura delinquenza. Bene hanno fatto i giudici a condannarli duramente (?) ad un periodo di lavoro riparatorio. Clamorosa la loro immediata ed insulsa ricaduta. Verrebbe spontaneo aprire a questi soggetti le porte di una cella di rigore, ma sarebbe una resa umana e sociale nella giusta battaglia di recupero della devianza giovanile.

La missione dell’educatore, a tutti i livelli ed in tutte le situazioni, deve essere paziente: da una parte urge l’esigenza di raddrizzare la pianta intanto che è piccola, dall’altra occorre tempo per ricomporre un quadro ancora in problematica e difficile formazione. Qualcuno teorizza il pugno duro, altri privilegiano la comprensione e il dialogo. Non esistono ricette universalmente e immediatamente valide.

L’unico controveleno è l’impegno coordinato e continuativo di tutte le agenzie educative, dalla famiglia alla scuola, dalla parrocchia ai centri di aggregazione. Questi essenziali punti di riferimento sono venuti meno: la famiglia vive un duro periodo di crisi, la scuola ha perso il suo ruolo, i due orbi litigano fra di loro e si condannano alla cecità; la secolarizzazione ha spazzato via l’appeal dell’educazione religiosa mentre i centri sociali emergenti sono palestre di violenza e di devianza. Nel bailamme educativo prolificano le malattie psicologiche e sociali e gli sfogatoi del bullismo e del tifo calcistico.

Non voglio riferirmi all’equivoco e anacronistico slogan “Dio, patria e famiglia”, ma qualche valore a questi ragazzi bisognerà metterlo in testa. Per trasmettere credibilmente valori positivi è necessario possederli e soprattutto viverli. I cattivi esempi la società li ha sempre scodellati, non è questa la novità peggiore; è venuto a mancare quel tessuto relazionale virtuoso di base entro cui si cresce e si matura.

Ho ascoltato in questi giorni un’intervista al grande giornalista Ferruccio De Bortoli, il quale a proposito della sua educazione e della sua passione per il giornalismo ha fatto riferimento alle sue umili origini famigliari, costituite da genitori che col loro lavoro gli hanno consentito di studiare. Ma che mi ha particolarmente colpito è stato il ricordo di una persona a cui la famiglia aveva subaffittato una stanza per riuscire a pagare il canone piuttosto pesante: lavorava alla Mondadori e portava al giovane Ferruccio tutti i giornali della casa editrice. Nacque anche così la sua voglia di scrivere. Cose semplici di cui dovrebbe essere impastata la nostra vita a che dovrebbero costituire il mix educativo vincente.

 

Piacciono quelli che…sparlano bene

Come tutti gli italiani, sono rimasto colpito, addolorato e sconvolto dalla drammatica uccisione a Roma di un carabiniere, coraggiosamente impegnato in un intervento contro la criminalità: al momento sarà sembrato un blitz quasi di routine, poi si è rivelato come uno scontro, dai contorni ancora confusi, con il mondo della tossicodipendenza.

Il ministro degli Interni Matteo Salvini ha così commentato l’accaduto: “Caccia all’uomo a Roma, per fermare il bastardo che stanotte ha ucciso un carabiniere a coltellate. Sono sicuro che lo prenderanno, e che pagherà fino in fondo la sua violenza: lavori forzati in carcere finché campa”.

A costo di essere considerato un traditore della patria, uno sciocco buonista e/o un amico del giaguaro, mi dissocio totalmente dal tono e dal contenuto di questo messaggio: un’invettiva carica di odio, una trappola in cui si rischia di cadere, una sorta di sabbie mobili della paura e della vendetta. Rifiuto categoricamente questa visione socio-politica e, mentre mi onoro di essere difeso da carabinieri come il vice-brigadiere Mario Cerciello Rega, mi vergogno di avere un ministro incaricato della difesa della civile convivenza, che vomita parole irresponsabili e violente. Non si combatte così la delinquenza! Non è questo il modo di rendere onore a chi cade per difendere la società dalla delinquenza.

Oltre tutto è partita l’ennesima criminalizzazione degli immigrati a cui immediatamente è stata affibbiata la colpa. Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire l’esatta dinamica della vicenda, che ha ancora dei lati non chiari. Il giovane, che avrebbe confessato l’omicidio a sfondo cocaina, è statunitense, come il suo complice. Non si capisce chi e perché abbia chiesto l’intervento dei carabinieri: stando alla prima confessione dell’uccisore si tratterebbe di un regolamento di conti nell’ambiente della droga. Con tante scuse agli immigrati che sarebbero completamente estranei a questa vicenda. L’importante non è chiarire i fatti e punire i colpevoli, ma alimentare ed esasperare un clima di paura e di odio. Matteo Salvini anche in questo caso si sta comportando non da ministro degli Interni, ma da ministro della propaganda.

Qualcuno lamenta che la Rai dia troppo spazio alle squallide esercitazioni verbali degli attuali governanti. La Tv di Stato effettivamente dimostra di essere inginocchiata ai piedi del governo pentaleghista, sempre più leghista e sempre meno pentastellato. Ma non è colpa degli opportunismi mediatici, questi impresentabili signori sono al governo per avere raccattato un consenso elettorale maggioritario, che, stando ai sondaggi, tende a crescere. Parafrasando la famosa canzone di Enzo Iannacci si potrebbe dire: “Quelli che votano Lega, perché Salvini sparla bene…oh yes…”.

Non voglio mettermi sullo stesso piano, ma quanno ce vò’ ce vo’! Un detto dialettale piuttosto triviale, ma molto significativo, chiede: “Cò preténdot d’an cul una romanza?”. Agli italiani evidentemente piace chi interpreta “al meglio” le loro pulsioni intestinali: in effetti entrando in un bar subito dopo la notizia dell’uccisione del carabiniere, si sarebbero ascoltati commenti in fotocopia rispetto a quello di Matteo Salvini e dei suoi replicanti politico-parlamentari. Perfino il sottosegretario grillino agli affari regionali Stefano Buffagni ha dichiarato: “Tolleranza zero per questi vigliacchi assassini! Vanno trovati e sbattuti in carcere! Questi criminali devono marcire in carcere!”. E chi vorrebbe che non fossero trovati? E chi non auspica la giusta punizione?  Ma, come diceva mio padre: «L’ è al tón ch’a fà la muzica…». Non si può regalare tutta la scena populista alla Lega, bisogna cantare qualche analoga romanza, la cui provenienza resta comunque lo spartito di cui sopra.

Le follie hanno le gambe corte

È molto grave ed inquietante la vicenda degli affidi forzati e pilotati di minori: siamo in via di accertamento giudiziario, la verità non è chiara, le responsabilità verranno stabilite. Se ho ben capito, esisteva un vero e proprio “sistemino” socio-psicologico per togliere bambini dal loro problematico contesto familiare, esasperato ad arte, per collocarli in strutture sociali, favorite economicamente da questi inserimenti.

Non ho approfondito la materia perché ho avuto immediatamente una crisi di rigetto: se le cose sono andate come sembra, siamo alla pura follia affaristico-sociale che si scarica sui minori e le loro famiglie. Si coglieva l’occasione dell’esistenza di contesti familiari difficili per intervenire col bisturi sociologico e, anziché seguire e curare le situazioni, si tagliava chirurgicamente di netto senza alcun riguardo, ma addirittura con intenti economici speculativi.

Non si può nascondere che si apra una disgustosa falla nel sistema socio-assistenziale dell’Emilia- Romagna, da tempo considerato un fiore all’occhiello di questa regione e della politica, che l’ha virtuosamente caratterizzata a livello pubblico e nei rapporti fra pubblico e privato-sociale. Sono partite immediatamente le strumentalizzazioni: ecco gli scheletri nell’armadio del Pd, che, avendo qualche suo esponente implicato, tace, mentre vede scricchiolare, assieme al suo consenso, il castello perbenista delle sue impostazioni politiche in campo sociale.

Al momento non è dato sapere se sia una questione di mele marce o di un sistema, seppure parzialmente o marginalmente, marcio. È assolutamente necessario fare chiarezza. Se ci sono state anche distrazioni, deviazioni o addirittura complicità politiche a livello di pubblici amministratori, occorrerà fare un’accurata e spietata pulizia. Il rischio, come spesso accade in queste vicende, è di buttare il bambino assieme all’acqua sporca: nel caso specifico screditare rovinosamente tutto il sistema socio-assistenziale per il gusto sadico di approfittarne politicamente.

Non voglio però criminalizzare le critiche politiche a prescindere dalla gravità dei casi oggetto di tali critiche, non accetto il solito vittimismo di chi si sente toccato nel vivo, anche se è vero che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Cosa voglio dire? Il Pd si renda disponibile a verificare il tutto con assoluta trasparenza e senza alibi di sorta e sappia ammettere errori ed omissioni dei suoi appartenenti e i difetti del sistema, che, a quanto pare, si autoalimentava sulla pelle delle difficoltà altrui anziché spendersi nell’alleviare le sofferenze dei soggetti a rischio.

Senza voler fare del manicheismo, non si può nascondere che, politicamente parlando, si scontrino due filosofie sociali: una, fortemente portata all’intervento pubblico e/o pubblico-privato, che inevitabilmente corre il rischio di agire in base a schemi rigidi al limite dell’intromissione; una, chiaramente attendista e tradizionalista, che corre il rischio di intervenire a babbo morto, quando i disastri si sono irrimediabilmente verificati.  Brutalmente parlando, nel primo caso possiamo assistere a disastri preventivi, nel secondo a quelli consuntivi. Sarà bene uscire da queste assurde e folli contrapposizioni ideologiche per trovare le flessibili risposte terapeutiche alle malattie sociali, senza esasperarne diagnosi e cura, ma anche senza sottovalutarne l’esistenza e la portata.

A piedi nudi in Europa

Sarò brevissimo e durissimo. Ho visto la foto di Boris Johnson che stringe la mano alla regina Elisabetta quale nuovo leader dei conservatori britannici e premier inglese. Una vecchietta che non capisce un cazzo di politica e uno sbruffone prestato alla politica. Tempi duri!

Il grande Indro Montanelli si lasciava andare a giudizi temerari sulla base della faccia della persona: «Guardategli il viso…». Fate la prova facciale al nuovo primo ministro della “Piccola Bretagna” e traetene le conseguenze. L’unico titolo di merito che può vantare è quello di essere amico di Trump: Dio li fa poi li accompagna…

Se gli inglesi riescono ad esprimere tali personaggi, è decisamente un bene che se ne siano andati dalla Unione Europea: partner simili meglio perderli che averli fra i piedi. Il mondo purtroppo va in questa direzione strampalata. Verrà amaramente rimpianta Theresa May ed è tutto dire. C’era un tempo in cui Blair, Clinton e D’Alema, pur con tutti i loro difetti, discutevano dei riformismi per il terzo millennio; provate a ipotizzare un analogo odierno convegno: Johnson, Trump e Salvini a delineare il futuro politico del mondo. Aggiungiamo anche Putin e la frittata è fatta.

Passeggiamo sull’orlo del baratro. Churchill, Roosevelt e De Gasperi ci proteggano. Avrete notato che ho lasciato perdere Stalin. Non so se sia meglio di Putin, ma stiamo in occidente, nonostante tutto.

Il Conte Dracula

Ho seguito integralmente grazie a Radio Radicale (lunga vita!) l’informativa al Senato del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il dibattito che ne è seguito sulla questione Russiagate. Uso volutamente questo termine, peraltro non troppo originale, perché non saprei come richiamare e definire in due righe il problema che si è scatenato relativamente ai rapporti tra il ministro Salvini e/o suoi presunti “scagnozzi” (?) con la Russia.

Ho già fatto e scritto le mie riflessioni e non ci ritorno sopra. Voglio invece ragionare un attimo su quanto sta emergendo nei rapporti fra il premier Conte, i suoi ministri e i partiti della sua maggioranza. Il presidente del Consiglio sta navigando a vista e tentando di evitare gli ostacoli prendendo regolarmente le distanze ora dall’uno ora dall’altro partito sui diversi temi scottanti che stanno venendo al dunque. Non si tratta di mediazione: Conte infatti sui vari problemi non riesce, e forse non tenta nemmeno, a trovare un onorevole compromesso, ma si schiera con l’uno o con l’altro a seconda dei casi.

Sul Russiagate si è distinto dal vicepremier Salvini andando in Parlamento, laddove il ministro si è ben guardato dal presentarsi, facendo una scontata difesa d’ufficio del governo e lasciando intatta la confusione esistente, anzi aumentandola, basti pensare che i grillini in gran parte non hanno partecipato alla seduta in segno di protesta contro l’atteggiamento strafottente del leader leghista e che i leghisti hanno sollevato un polverone storico evocando una notte in cui tutti i gatti sono bigi.

Sulla Tav si è distinto dal M5S e dal ministro Toninelli, sostenendo che bisogna andare avanti non essendo possibile fare marcia indietro, facendo incazzare i grillini schierati sull’improbabile revisione del progetto, invitandoli a rimettere nel cassetto il parere della commissione all’uopo incaricata e quindi mettendo sostanzialmente a cuccia i mastini anti-tav, che hanno preannunciato sfracelli protestatari.

Sull’autonomia regionale ha fatto incazzare i governatori leghisti, che lo hanno attaccato duramente, attestandosi sulla posizione difensiva delle prerogative centrali soprattutto in materia sanitaria e scolastica. Sulle procedure per il confronto coi sindacati e le forze sociali in materia economica e fiscale ha bacchettato duramente le estemporanee iniziative salviniane, ricominciando tutto daccapo.

Qualcuno dirà che sta dando un colpo al cerchio e uno alla botte per riuscire a sopravvivere, qualcun altro pensa che stia prenotando lo scranno per il prossimo governo o la leadership del M5S allo sbando.  Personalmente credo di averlo politicamente sottovalutato: è un osso molto più duro di quanto si potesse immaginare. Sembrava il vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. Invece da burattino che ispira tenerezza si sta trasformando in burattinaio che ispira simpatia: resta purtroppo intatto il teatrino dei burattini a cui è ridotto il governo nel suo complesso.

E (non) stiamo a guardare le stelle

L’ex ministro Dario Franceschini, esponente di spicco del Partito Democratico, ha giocato d’anticipo rispetto all’involuzione politica in corso e in una intervista ha proposto l’apertura di un dialogo con i Cinquestelle. Egli ritiene un errore aver assimilato, in un respingimento totale, Lega e M5S e di conseguenza aver chiuso i ponti con l’elettorato grillino, in buona parte proveniente dalle file della sinistra.

Ne è scaturita immediatamente una contrapposizione con renziani, calendani e altri gruppi ed esponenti PD: il segretario Zingaretti mi è parso di capire che si attesti su un’interpretazione minimalista del pensiero franceschiniano, vale a dire sulla presa d’atto che nella maggioranza di governo ci sono due forze politiche diverse e quindi bisogna evitare che diventino un blocco, senza per questo ipotizzare improponibili accordi con i pentastellati, peraltro acidi, riottosi e presuntuosi come non mai (giovani e antipatiche zitelle in cerca di mariti impossibili).

Al di là dei toni durissimi e dei battibecchi, che dimostrano come la convivenza all’interno del Pd sia sempre più problematica, il ragionamento di Franceschini non è da buttare nella pattumiera, come fa Renzi. Quando ho ascoltato in rassegna stampa l’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ho intravisto immediatamente l’edizione riveduta e (s)corretta del patto costituzionale fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. La Dc era sfilacciata e divisa tanto come il PD, ma poteva contare su una classe dirigente di alta levatura ideale e politica; il Pci era un partito serio, dotato di grande senso di responsabilità a livello istituzionale, di cui il M5S è la pessima caricatura in senso velleitario e moralisticheggiante.

È pur vero che, in mancanza di meglio, le nozze si possono fare anche coi fichi secchi, ma mi sembra effettivamente un po’ eccessiva l’apertura di credito franceschiniana: se andiamo bene a vedere non sono poi tante le differenze fra Lega e M5S. Non so se accenda più odio Salvini con le sue muraglie marittime o Di Maio con le sue insulse e cerchiobottistiche posizioni. Non so se sia preferibile la strumentale difesa della centralità dello Stato alla barricadera autonomia regionale rafforzata. Non so se sia meglio il no pregiudiziale e giustizialista alla Tav e a certi investimenti infrastrutturali rispetto all’affaristica voglia di opere pubbliche. Non so se alla chiusura drastica verso il fenomeno migratorio sia da preferire il comportamento da pesce in barile dei grillini. Non so se faccia più pena la collocazione europea dei leghisti o l’europeo girovagare senza meta dei pentastellati.

Forse mentre il dialogo con la Lega appare francamente assurdo, quello col M5S non è così paradossale e schifoso. Non vorrei che il discorso dei rapporti con i grillini diventasse il pretesto politico per coprire il vuoto ideale, strategico e programmatico del partito democratico. Capisco il dente avvelenato di Renzi, ma non si può fare politica con i risentimenti e le pulsioni emotive. I renziani, oltre tutto, dovrebbero anche guardare in casa propria e non ergersi a salvatori della patria. Probabilmente sarà il tormentone a sinistra di questa estate. Al momento lascerei che la situazione governativa si chiarisse, rispetterei gli orientamenti di Mattarella, metterei davanti a tutto gli interessi del Paese e proverei a ricompattare nei fatti il Pd, un partito dilaniato dagli ideologismi, dai personalismi, dai burocratismi, dalle ripicche e dai richiami delle anacronistiche foreste (senza essere sicuro che sia possibile, diversamente…).

Dalla Russia con (equivoco) amore

Qualcuno ipotizza che la vicenda Russia-petrolio-Salvini sia tutta una montatura, un tranello, confezionato ad arte per rovinare la reputazione e l’immagine del leader leghista provocandone la caduta dagli altari elettorali alla polvere affaristica. Non si può escludere questa eventualità, tanto è vero che preferisco valutarne gli aspetti politici, vale a dire un’inquietante opzione russa nei rapporti internazionali, in netta, sbrigativa e strumentale controtendenza rispetto alle storiche e tradizionali alleanze italiane ed europee.

Ipotizziamo pure, con molta cinica fantasia, che Matteo Salvini sia rimasto vittima di una macchinazione, ordita da poteri occulti al fine di screditarlo sullo scivoloso terreno dei rapporti fra politica e affari, lui che appartiene a quel partito, che esibiva in Parlamento il cappio per i corrotti ai tempi di tangentopoli. A parte il fatto che il deus ex machina leghista può vantare un consenso a prova di bomba calunniosa, non sarebbe la prima volta che succedono fatti simili.

All’inizio degli anni duemila Romano Prodi fu invischiato in una questione di spionaggio, che si rivelò totalmente infondata e che era stata cavalcata in Italia a livello politico e mediatico: Prodi era accusato di essere addirittura un agente segreto russo sotto copertura. Tutto si risolse in una bolla di sapone, che tuttavia aveva creato non poco imbarazzo ad un personaggio di primissimo piano, strumentalizzata in modo subdolo e volgare dagli ambienti di centro-destra.

Cosa intendo dire? Chi è senza peccato scagli la prima pietra, chi la fa l’aspetti etc. etc. Le manciate di fango, le calunnie, gli sputtanamenti vari sono purtroppo una costante della storia. D’altra parte la guerra con l’Iraq è stata dichiarata sulla base di prove fasulle: tutti ricordiamo nel 2003 la provetta di antrace esibita al consiglio di sicurezza dell’Onu da Colin Powell, allora segretario di stato americano, che parlò di un grosso faldone dei servizi segreti sulle armi biologiche dell’Iraq e di laboratori mobili per la produzione di quelle armi. Si scoprì anni dopo che il tutto era stato abilmente e falsamente confezionato e che quindi una guerra con migliaia di morti era stata provocata sulla base di vere e proprie falsità. Roba da matti!

Questo non vuol dire che sia corretto il rifiuto salviniano a rispondere in Parlamento. Così come un po’ più di prudenza nel tessere i rapporti internazionali sarebbe oltre modo necessario. D’altra parte di cosa ha paura Salvini? Silvio Berlusconi, l’amicone di Putin, garantisce che non sia successo niente. Sembra invece che, nonostante le ostentate e reiterate boutade, il leader leghista nutra qualche preoccupazione: da una parte c’è chi svacca tutto a livello di intrigo internazionale, dall’altra chi intravede ammissioni di colpa nel comportamento crisaiolo notevolmente accentuato da Salvini. Non mi piace questo modo di fare politica e informazione, sono costretto ad assistere a queste vicende. La politica salviniana mi fa ribrezzo a prescindere dal petrolio e dagli affari italo-russi. Paradossalmente, fra le tante cazzate dette e fatte, quella presumibile di fidarsi di faccendieri è forse la meno grave. Se poi dovesse essere provato che alla Lega sono arrivati fondi sporchi dalla Russia, sarebbe per me solo una piccolissima goccia di un vaso già drammaticamente traboccato.

 

Arrivano i nostri: i lombardo-veneti

Il temporale è nell’aria e da qualche parte andrà a sfogarsi: si intravede una sicura tempesta con una successiva incerta quiete. Mi riferisco al clima governativo, alla crisi strisciante, che ci portiamo dietro fin dalle strane origini del contratto pentaleghista. Più che nel tentativo in extremis di ricomporre il quadro politico, i protagonisti della scena sembrano impegnati nella ricerca del pretesto più plausibile per chiudere col botto un’esperienza travagliata e sconclusionata.

Da sempre si cerca di scaricare sull’alleato la responsabilità della rottura in modo da lucrarne elettoralmente l’impressione negativa, sperando che i cittadini siano in grado di effettuare un’analisi critica tale da passare al vaglio i buoni e i cattivi della vicenda che va a chiudersi. Il M5S ha già i suoi grattacapi, ma forse ha già fatto la cura dimagrante ed è preparato alla prova costume. La Lega invece sembra andare sul velluto, ma forse è ingrassata troppo e i suoi nuovi abiti rischiano di andare stretti e quindi occorre ricercare nell’armadio quelli vecchi più larghi e comodi.

Ecco infatti ritornare di moda l’abito secessionista, riveduto e corretto dai sarti lombardo-veneti. Ai tira e molla governativi sull’autonomia regionale rafforzata il presidente del Veneto Zaia, l’uomo più rappresentativo ed autorevole della periferia leghista, si dice “basito”: «Sono trascorsi 636 giorni dal referendum e più di un anno dalla formazione di questo governo, non c’è neppure l’alibi di dire che le Regioni non abbiano fatto il lavoro che spettava loro. Di fronte a tutto questo non posso non affermare che questa è un’autentica presa in giro e che Conte non può prestarsi a procrastinare ancora. Siamo stanchi anche di sentire dire a Conte che lui sarà il garante dell’unità nazionale, un refrain ormai stucchevole; se sono davvero convinti che tutto quel che facciamo è contro l’unità del Paese, vadano in Parlamento e modifichino la Costituzione. Siamo in un Paese in cui per alcuni applicare l’articolo 116 terzo comma della Carta costituzionale, la legge fondamentale dello Stato, significa minare le basi della Repubblica.  È allucinante, non siamo più disposti ad aspettare, vediamo dichiarazioni che non c’entrano nulla con l’intesa sull’autonomia. A nome dei 2 milioni 328 mila veneti che hanno votato per il sì all’autonomia dico che siamo stanchi, stanchissimi, La misura è colma».

La Lega, dopo essersi impropriamente seduta ai tavoli sovranisti e nazionalisti, sta tirando fuori il proprio mazzo di carte e sta calando un pesante carico. Finalmente la riconosco, perché gioca onestamente e a carte scoperte. Matteo Salvini distratto dagli altri problemi, ha lasciato campo ai governatori leghisti, ha concesso un certo revival alla più genuina anima bossiana. È una mossa tatticamente abile, ma che rischia di dipingere la Lega come la “sfasciacarrozze”, consegnando ai grillini la finta arma della difesa dell’unità nazionale, brandita maldestramente da Giuseppe Conte: «Con l’autonomia lo Stato cede competenze legislative e amministrative alle Regioni, è la prima volta che avviene. Beh, che lo Stato debba cedere tutto può essere auspicio di altri, non è il mio. Il filo conduttore è questo: chi è in cabina di regia di governo, ha bisogno di realizzare strategie nazionali. Se delego tutte le funzioni alle Regioni, quali strategie posso perseguire? Il mio intento è cedere quelle che possono essere svolte meglio dalle Regioni, ma conservando una strategia a livello nazionale».

Se è vero, come è vero, che la Lega ha portato la politica al bar di periferia, invece dei frizzi e dei lazzi da osteria, dei rutti e delle pernacchie da trivio, è un bel passo avanti giocarsi a briscola l’essere padroni in casa propria. Il M5S in questo gioco ha in mano il due di coppe ed è costretto a chiamarsi fuori. Il temporale tende a spostarsi prima da Strasburgo e Bruxelles a Roma, poi da Roma si porta sul “profondo” Nord- Italia. Dove si scaricherà definitivamente lo vedremo. Speriamo non faccia danni irreparabili e non si debba dichiarare lo stato di emergenza costituzionale. Sarebbe la tempesta dopo la tempesta!