Un papa coraggioso e i don Abbondio sparsi nel mondo

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu “ignora le leggi internazionali e i diritti umani”.  Sono parole attribuite a Papa Francesco dall’agenzia iraniana Irna che le ha raccolte dal rettore dell’Università delle Religioni e delle Denominazioni dell’Iran, Abolhassan Navab, che ha incontrato lo stesso Papa Francesco in questi giorni. Parole pesanti che il Vaticano, finora, non ha smentito. Il Rettore aveva detto: “L’Iran non ha alcun problema con il popolo ebraico, il nostro problema è con assassini come il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu”. Quindi il commento attributo dai media iraniani al Pontefice: “Anche noi non abbiamo problemi con gli ebrei; l’unico problema è con Netanyahu che, ignorando le leggi internazionali e i diritti umani, ha creato crisi nella regione e nel mondo”. Il Papa ha aggiunto, sempre secondo l’Irna, che le organizzazioni internazionali devono affrontare urgentemente questa questione. “Non c’è nessuno che abbia il diritto di calpestare i diritti umani e limitare la loro libertà. Ma oggi ci sono coloro che vogliono schiavizzare gli esseri umani e l’umanità per raggiungere i propri obiettivi,” avrebbe dichiarato ancora il Papa.

La fonte è un nemico storico di Israele ma è evidente che queste parole rischiano di far scattare un nuovo contrasto tra la Santa Sede e Tel Aviv. Dure reazioni del governo israeliano ci sono state di recente sia quando il Papa ha detto che si dovrebbe verificare se a Gaza si stia perpetrando “un genocidio” sia quando il Pontefice, negli auguri natalizi alla Curia e nell’Angelus prima di Natale, aveva espresso il suo dolore per i “bambini mitragliati a Gaza”. Il ministero degli Esteri israeliano aveva risposto con una lunga e dura nota accusando Papa Francesco di usare “due pesi e due misure”. (ANSAit)

Non so se l’Iran stia strumentalizzando o addirittura forzando il pensiero di papa Francesco: è molto probabile. Tuttavia il pensiero del Papa è molto chiaro, lineare e motivato. Gli attuali governanti di Israele stanno forzando a dismisura la situazione e massacrando senza pietà, giustificando queste azioni come risposta difensiva agli attacchi terroristici di Hamas. Come minimo siamo all’eccesso doloso in legittima difesa. Nella peggiore delle ipotesi siamo di fronte ad un vero e proprio genocidio.

Il mondo sta a guardare, solo il Papa ha il coraggio di prescindere dalla realpolitik per dire la verità. L’accusa di usare due pesi e due misure è pretestuosa, semmai è Israele che si comporta così, adottando una misura bellica spropositata rispetto al pur deplorevolissimo peso dell’odio pseudo-palestinese.

Il mondo sta isolando il Papa, esponendolo ai rischi della strumentalizzazione da parte araba: è in prima linea, tutti lo applaudono e nessuno lo appoggia. È un vergognoso comportamento da parte degli Stati che dovrebbero avere una particolare sensibilità in tema di pace.

Qualcuno sostiene magari che il Papa dovrebbe essere più prudente e diplomaticamente più avveduto. Come si fa a non inorridire e a non reagire con vigore al massacro di donne e bambini palestinesi, usando la scusa infantile della ricerca di chi ha cominciato il litigio.

Chi osa mettere in discussione l’operato di Netanyahu viene immediatamente classificato come imperdonabile anti-semita e/o amico del giaguaro arabo-palestinese. Questa è la schematica prevalente narrazione.

“Certo il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare” … scriveva Alessandro Manzoni nel capitolo XXV de” I Promessi Sposi”. Chi non ce l’ha dovrebbe però almeno ascoltare chi ce l’ha e non snobbarlo più o meno vigliaccamente.

 

 

La culla di Bari e la mangiatoia di Betlemme

«Il neonato senza nome, ritrovato esanime nella culla, è una speranza di vita negata, e rappresenta il culmine di una serie di fragilità e difficoltà sociali, che spesso non emergono alla luce dei riflettori. È un richiamo urgente per tutti noi: nessuna vita, dal concepimento fino all’ultimo respiro, sia abbandonata nell’indifferenza. È un invito a un impegno più forte, collettivo, per dare supporto a chi si trova in condizioni di vulnerabilità, per costruire una società che non lasci indietro nessuno, anche nelle situazioni più difficili. Con amarezza profonda prendiamo coscienza che dietro la vetrina luccicante del Natale, esistono storie di solitudine, di fragilità e di disperazione, che non possiamo ignorare. Simbolo di rinascita, di solidarietà e di vicinanza, il Natale di Gesù ci invita a guardare oltre le apparenze, a cogliere le difficoltà e le sofferenze che talvolta si nascondono dietro a sorrisi forzati e auguri di circostanza».

È un passaggio della lettera che il vescovo di Bari ha scritto sul fatto del neonato morto nella culla termica. Non sono un integralista, ma sono sempre più condizionato dalla saggezza proveniente dalla vecchiaia: di fronte a questi incresciosi episodi l’unica reazione plausibile è quella offerta dalla religione e allora faccio di seguito riferimento al commento di padre Ermes Ronchi al prologo del vangelo di Giovanni.

Questo ci assicura che un’onda amorosa viene a battere sulle rive della nostra esistenza, che c’è una vita più grande e più amante di noi, alla quale attingere. Cristo non è venuto a portarci una nuova teoria religiosa, ci ha comunicato vita, pulsante di desiderio. Sono venuto perché abbiate la vita, in pienezza (Gv 10,10). Gesù non ha compiuto un solo miracolo per punire o intimidire qualcuno. I suoi sono sempre segni che guariscono, accrescono, sfamano, fanno fiorire la vita in tutte le sue forme.  Il Vangelo ci insegna a sorprendere perfino nelle pozzanghere della vita il riflesso del cielo. E in noi, il suo volto.

“Veniva nel mondo la luce vera che illumina ogni uomo”, nessuno escluso. “La luce splende nelle tenebre, ma esse non l’hanno vinta”.   Ripetiamolo a noi e agli altri, in questo mondo duro: le tenebre non vincono. Mai.

“Venne fra i suoi ma i suoi non l’hanno accolto”. Dio non si merita, si accoglie. Facendogli spazio in te, come una donna fa spazio al figlio che le cresce in grembo.

Purtroppo la similitudine della donna e del figlio non basta, ma resta il dolce, pressante e imprescindibile imperativo ad accogliere Dio: solo Lui ha risposte convincenti ai drammi umani.

Aborto: non è una risposta, ma una scappatoia. La culla termica di riserva: funziona, più che mai, fino ad un certo punto. I servizi sociali: non possono aiutare chi non può o non vuole essere aiutato. La comunità cristiana: deve ammettere i propri limiti e i propri difetti. La società: arranca, si può arrabattare, ma finisce col lasciare comunque indietro qualcuno.

E allora, dopo aver fatto tutti i doverosi sforzi possibili e immaginabili, ci dobbiamo convincere della nostra inadeguatezza, non per arrenderci, ma per impegnarci nella logica della carità che va oltre l’umana solidarietà. Dobbiamo cioè buttare la palla in quella tribuna dove si gioca la vera partita: la tribuna della fede in un Dio che si è fatto uomo e che rappresenta l’unica risposta concreta ai drammi umani, perché è disposto a condividerli fino in fondo.

“E la vita era la luce”. Cerchi luce? Ama la vita, abbine cura, falla fiorire. Amala, con i suoi turbini e le sue tempeste ma anche con il suo sole e i suoi fiori appena nati, in tutte le Betlemme del mondo. Amala! È la tenda del Verbo, il santuario che sta in mezzo a noi.

Mio padre, non certo un bigotto, ma nemmeno un credente convinto, forse, come si dice oggi, un diversamente credente, quando qualcuno definiva assurda ed illusoria la risposta della religione cattolica ai misteri della vita, della morte, dell’aldilà e dell’aldiquà, era solito rispondere “Catni vùnna ti !!!”.   

 

 

 

 

Ogni simile ama il suo simile

È una intervista lunga, ricca di spunti, quella che la premier rilascia al settimanale 7 del Corriere della sera. Meloni parla del governo, del mondo, dei temi caldi, della sua vita. Domande e risposte si accavallano. Com’è il suo rapporto con Elon Musk, il fondatore di Tesla, il capo di X e oggi il più ascoltato consigliere di Trump? «Elon Musk è un uomo geniale ed è sempre molto interessante confrontarsi con lui… Musk è una grande personalità del nostro tempo, un innovatore straordinario e che ha sempre lo sguardo rivolto al futuro. Certo, ci sono cose su cui il nostro punto di vista è più simile, altre che ci vedono più distanti, ma questo non impedisce il confronto… Fa abbastanza sorridere chi fino a ieri esaltava Musk come un genio e oggi invece lo dipinge come un mostro, solo perché ha scelto il campo ritenuto “sbagliato” della barricata. Io, da sempre, non ragiono così». (dal quotidiano “Avvenire”)

Parecchi anni or sono ero stato invitato a cena da un carissimo amico. Al termine della serata, quasi in modo provocatorio, mi chiese quale fosse il personaggio che più mi incuriosiva ed affascinava. Non ebbi alcuna esitazione e risposi: Madre Teresa di Calcutta (forse allora non era ancora stata canonizzata). Notai un certo imbarazzo e capii che la mia risposta era stata considerata un tantino evasiva rispetto alle categorie culturali imperanti. Non ci fu bisogno di spiegare il perché di questo mio forte riferimento e il dialogo fortunatamente proseguì senza intoppi.

Ognuno ha i riferimenti che crede. Questione di gusti! Oggi, per essere al passo coi tempi, non esiterei a rispondere papa Francesco, anche se non sono catalogabile come un integralista cattolico. Elon Musk non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello. Mi sono sempre dichiarato a-berlusconiano (non anti-berlusconiano) per segnare la totale estraneità rispetto ad una certa concezione della vita e della politica. Figuriamoci cosa posso pensare di Musk e di Giorgia Meloni che lo ritiene un uomo geniale, una grande personalità, un innovatore straordinario.

Ogni simile ama il suo simile diceva spesso mia madre. Il solo pensiero di essere governato da una fan di Musk mi fa ribrezzo. Forse sto esagerando, ma forse chi sta esagerando è Giorgia Meloni. Se si parte dall’ideologia sbagliata non se ne esce vivi e allora credo bene che «togliere la fiamma dal simbolo non sia una questione all’ordine del giorno».

La premier nell’intervista al settimanale 7 ha detto: «Non ho pentimenti, né rimpianti e non ho fatto scelte di cui vergognarmi». E pensare che io non faccio che pentirmi degli errori commessi, che rimpiangere le occasioni che mi sono lasciato sfuggire, che vergognarmi di tante mancanze di serietà, coerenza e generosità. Non mi voglio paragonare a Giorgia Meloni, la lascio indisturbata nel suo olimpo. Mi imbarazza però vedere a capo del governo italiano una persona così presuntuosa e superba. Se avessi età e opportunità, chissà dove andrei per fuggire da questo penoso andazzo politicante.

L’indimenticabile esponente democristiano Mino Martinazzoli a chi gli chiedeva di “sputare” certezze, ammetteva di avere molti dubbi. Altra stoffa! Oggi tutti sparano certezze e nessuno ha il coraggio di esprimere qualche dubbio. Bisognerebbe diffidare e invece ci si prostra ai piedi di questi vanagloriosi personaggi. I media hanno enormi responsabilità nel legittimare l’ignoranza dei politici, inserendoli nel loro circo pieno di prestigiatori che si spacciano per acrobati.

Edith Bruck, scrittrice, poetessa e traduttrice sopravvissuta alla shoah, scappata dall’Ungheria, suo Paese d’origine, oltre settant’anni fa, ha trovato rifugio in Italia ed è rimasta a viverci. Nel settembre del 2022, intervistata da “La Stampa”, espresse giudizi profondamente critici all’indirizzo di Giorgia Meloni e del suo successo elettorale. Riporto di seguito alcune frasi che ritengo la migliore risposta (ben più autorevole e convincente della mia) alle dichiarazioni meloniane di questi giorni.

La massa spesso non ragiona: va dietro a chi urla di più (…) Le persone, specie nei momenti di crisi, si affidano a chi sbatte i pugni e grida. Giorgia Meloni lo fa spesso (…) La prima premier donna: questo non è un bene in sé. Anzi: spesso, nei posti di vertice, le donne diventano peggiori degli uomini, tendono a volerli superare e fanno peggio di loro, sono ancora più spietate (…) Meloni è circondata da uomini di un certo tipo, lavora in una struttura di un certo tipo, è amata da chi le dice cose terribili come “hai le palle”, cioè vali perché sei come un uomo.

 

 

La moltiplicazione dei murali

Qualche giorno fa era comparso, sulla facciata della Stazione di Venafro, un murale dedicato a Cecilia Sala, la giornalista imprigionata a Teheran dal regime iraniano lo scorso 19 dicembre. Ma, dopo poco, è ‘sparito’. A realizzarlo lo street artist Drugi, che aveva raffigurato la reporter seduta, e una colomba, simbolo di libertà, che portava in volo un quadernetto per gli appunti ed una penna. Un messaggio per la libertà di stampa e la difesa dei diritti delle donne.

Un fatto che ha creato sconcerto e ora arriva la proposta di rifarlo non solo a Venafro, ma in tutto il Molise. A metterla nero su bianco in una lettera-appello è lo scrittore molisano Pier Paolo Giannubilo, finalista del Premio Strega e figura di spicco nel panorama culturale.

“Sarebbe bello – scrive sulla sua pagina Facebook – se a Venafro venisse subito riconvocato Drugi, lo street artist autore del murale dedicato a questa brava e coraggiosa reporter di soli 29 anni, per realizzare di nuovo, nello stesso posto, l’opera che qualcuno ha rimosso pochi giorni dopo che ha fatto la sua comparsa in stazione.

Ventinove anni.  Ventinove anni aujourd’hui in Italia è un’età in cui la gran parte delle coetanee e dei coetanei di Cecilia Sala – e non certo solo le coetanee e i coetanei, tutt’altro: ma non apriamo questo argomento, se no divaghiamo troppo – trascorrono la giornata a scrollare idiozie su Instagram e Tiktok, o a confezionare tristi video con i connotati stravolti da qualche magico filtro social.

Il lavoro, coraggioso, di Cecilia, 29 anni, dovrebbe essere d’esempio per tutti noi su come si vive.

La sua, coraggiosa, fede nella ricerca della verità dovrebbe ispirarci. Dovremmo organizzare fiaccolate notturne e scioperi veri per costringere il governo a pretendere, coraggiosamente, la sua liberazione costi quel che costi, perché Cecilia è tenuta in un carcere in condizioni degradanti da un regime criminale solo perché è un essere umano libero e occidentale.

E invece a Venafro, qui in Molise, un bel murale eseguito con una tecnica che rende molto facile l’asportazione è stato subito eliminato proprio perché è un monito a proteggere i nostri valori più alti, come il coraggio, per dirne uno, contro il potere barbaro da parte di qualcuno che in quei valori non crede.

Chiamiamo Drugi, anzi, a rieseguire quel murale in ogni città e morente borgo molisano, non solo a Venafro.

Tempestiamo la regione di questa bellissima immagine – sottolinea infine Giannubilo – a parziale ristoro dell’ingiustizia subita dall’artista e dalla comunità, che non vogliamo accettare passivamente; ma, soprattutto, per Cecilia. (da isNews – è notizia)

Chi ha rimosso il murale? Non credo possa essere stato un solerte pulitore dell’Azienda Ferroviaria Italiana, non credo si sia staccato automaticamente. E allora? Lo stupido di turno che vuol fare una bravata per poi vedere di nascosto l’effetto che fa? Mi sembra assai improbabile anche questa ipotesi. Sono portato invece a pensare che, tutto sommato, la testimonianza di Cecilia Sala dia fastidio, si tenti di rimuoverla dalla coscienza collettiva e di screditarla: chi la ritiene, magari senza il coraggio di affermarlo apertamente, una impicciona in cerca di guai, addirittura un’esibizionista in cerca di notorietà, la solita contestatrice piantagrane che fa casino e poi pretende di esserne tirata fuori.

C’è poco da fare, la vicenda di questa coraggiosa giornalista mette il dito nella piaga: scopre tutti quanti vogliono imporre il silenziatore alle critiche. Tra coloro che invocano la pace c’è purtroppo, a tutti i livelli, chi la intende alla stregua di “pace dei sepolcri” (cfr. Don Carlo di Giuseppe Verdi, duetto tra il re Filippo II e il marchese di Posa a proposito della indipendenza delle Fiandre).

Mio padre mi raccontava come, ai tempi del fascismo, bastasse trovarsi a passare in un borgo, dove era stata frettolosamente apposta sul muro una scritta contro il regime, per essere costretti, da un gruppo di camicie nere, a ripulirla con il proprio soprabito (non c’era verso di spiegare la propria estraneità al fatto, la prepotenza voleva così). Certo i graffitari di oggi sarebbero ben serviti, ma se, per tenere puliti i muri, qualcuno fosse mai disposto a cose simili, diventerei graffitaro anch’io. Dietro l’ansia di pulizia dei muri spesso si cela la volontà di coprire ben altre sporcizie.

Sarò malizioso, ma la scomparsa del murale di cui sopra tendo ad ascriverla all’insofferenza verso ogni e qualsiasi critica ai regimi, che si tengono tutti per mano (Italia compresa). Non la voglio buttare in politica, semmai lo ha fatto subdolamente chi ha rimosso il significativo murale di solidarietà verso Cecilia Sala.

Ben vengano quindi le iniziative volte a moltiplicare i murali, ancor meglio se di fattura artistica, sperando che risveglino il senso e il gusto della critica democratica che stanno venendo meno nella nostra società. Si sente tanto la mancanza di voci genuine e libere per scuotere l’impalcatura anti-democratica che, badiamo bene, non riguarda solo i regimi autoritari ma anche quelli sedicenti democratici in via di snaturamento progressivo.

Quando c’è in ballo la libertà, si scoprono un po’ tutte le posizioni, quelle chiaramente anti-libertarie, quelle fintamente libertarie, quelle libertarie con tanti se e tanti ma, quelle libertarie a servizio dello status quo, quelle di chi si accontenta di disturbare, condizionare e silenziare le libertà altrui. Ecco perché il fronte per la liberazione di Cecilia Sala non sarà poi così largo e unitario come si potrebbe pensare.

 

 

 

 

Il pentolino italiano per il brodo di coltura terroristico

Il probabile attentato di natura islamica accaduto a New Orleans colpisce ma non stupisce. In un caos generale di tutti contro tutti ci sta alla perfezione anche il terrorismo islamico. L’Occidente è in guerra con tutti: con la Russia a sedicente difesa dell’Ucraina, con la Palestina a sedicente argine contro Hamas, con l’Iran a sedicente appoggio verso Israele.

Da sempre la questione palestinese è la madre, a catena, di tutti i problemi del mondo arabo-israeliano anche nei rapporti tra religioni che fanno da sfondo a ben altri interessi geo-politici. Dal momento che l’Occidente, succube della folle strategia israeliana, non è in grado di mettere mano ad un accettabile assetto di questa zona caldissima, deve dare per scontato di subire contraccolpi terroristici.

La morte dell’ex presidente Usa Jimmy Carter porta alla mente gli sforzi che furono fatti per tentare una coesistenza pacifica in quel territorio tramite accordi di pace fra Israele ed Egitto, pagati a prezzo della vita dei leader di questi due Paesi. Allora almeno si tentava di fare qualcosa per la pace, adesso si rinuncia a priori e poi magari ci si scandalizza per gli attentati terroristici, non capendo che la disperazione di certe popolazioni non ha altra strada per sfogarsi.

La presidenza Trump è una mina vagante in un terreno minato. Questo losco figuro finirà, prima o poi, per trascinare anche l’Europa in un vortice bellico senza via d’uscita. Per la verità le cose non sono andate bene nemmeno con la presidenza Biden, ma temo che peggioreranno ulteriormente.

Finora l’Italia ha potuto barcamenarsi contro i rischi terroristici islamici grazie ad una decennale politica di apertura verso i Paesi arabi e soprattutto verso i palestinesi. Il progressivo appiattimento sulla politica americana finirà col trascinarci nella bagarre totale.

Un piccolo “antipasto” potrebbe essere il provocatorio e ingiustificato arresto della giornalista Cecilia Sala: l’Italia è stata giudizialmente coinvolta nell’arresto di un equivoco personaggio considerato filo-terrorista dal governo statunitense. Ora può darsi che per il nostro Paese si ponga il dubbio amletico fra scendere a patti con l’Iran per salvare la pelle della Sala o sacrificare la vita della nostra connazionale sull’altare di uno scriteriato ed aprioristico atlantismo. Non vorrei che fosse solo l’inizio di una fase tragica con tanti ringraziamenti alla pazza e crudele intransigenza israeliana, tanti baci alla pantofola trumpiana e tanti sì ai diktat Usa.

La situazione si sta complicando: in Europa ogni Paese membro fa i cavoli propri, il governo italiano non sa che pesci pigliare, la diplomazia è esilarante, le pubbliche opinioni sono inconsistenti. Stiamo preparando il brodo di coltura ideale per una recrudescenza terroristica, illudendoci che basti fare la faccia feroce e riempire gli arsenali militari per evitare le catastrofi.

Mattarella ci ricarica le pile civiche e costituzionali

Durante la mia adolescenza ho avuto l’opportunità di imparare a pensare e a vivere sulla scorta di preziosi consigli civici da parte dei miei insegnanti. Oggi mi viene spontaneo ricordarne uno: il professor Flavio D’Angelo, che non amava la retorica e il patriottismo di maniera. Si chiedeva sarcasticamente: “Perché la gloriosa Marina? Non sono forse gloriosi anche gli insegnanti che fanno il loro dovere? E che dire degli operai che lavorano alla catena di montaggio? E di tutti coloro che fanno silenziosamente il proprio dovere?”.

Ebbene penso sarebbe più che soddisfatto delle parole contenute nel messaggio di fine anno del Presidente Mattarella, che riporto testualmente nel passaggio riguardante il delicato discorso del patriottismo.

“Nella quotidiana esperienza di tanti nostri concittadini si manifesta un sentimento vivo, sempre attuale, dell’idea di Patria.

Mi ha colpito, di recente, l’entusiasmo degli allievi della nostra Marina militare, su nave Trieste, all’avvio del loro servizio per l’Italia e per i suoi valori costituzionali. Come stanno facendo in questo momento tanti nostri militari in diversi teatri operativi. Ad essi rinnovo la riconoscenza della Repubblica.

Patriottismo è quello dei medici dei pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose. Quello dei nostri insegnanti che si dedicano con passione alla formazione dei giovani. Di chi fa impresa con responsabilità sociale e attenzione alla sicurezza. Di chi lavora con professionalità e coscienza. Di chi studia e si prepara alle responsabilità che avrà presto. Di chi si impegna nel volontariato. Degli anziani che assicurano sostegno alle loro famiglie.

È patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità”.

Di fronte a Sergio Mattarella ho avuto l’impressione di tornare umilmente sui banchi di scuola ad imparare l’educazione civica. Sì, perché il suo discorso è proprio una lezione a trecentosessanta gradi. Davanti alle vere lezioni, prima di dissertare, si ascolta attentamente, si approfondisce e si impara. Ecco perché ho evitato accuratamente di seguire le reazioni dei politici. Ho ascoltato e riascoltato, letto e riletto il testo integrale dell’intervento magistrale del Capo dello Stato. Cercherò di farne tesoro. Lo ringrazio.

Consiglio a tutti di fare altrettanto, uscendo dagli schemi e tornando a ciò che viene prima della politica e ne dovrebbe costituire la base, vale a dire il senso civico rafforzato e alimentato dai valori contenuti nella nostra Costituzione. Quando Mattarella parla, in filigrana se non apertamente, si vede la Costituzione: prendere o lasciare…io la prendo e me la tengo ben stretta.

 

Il primadonnismo anti-parlamentare

Si potrebbe fare del 20 dicembre scorso, un venerdì, la data simbolo dell’irrilevanza del parlamento. In quello stesso giorno, infatti, ci sono state due votazioni emblematiche. L’aula della camera dei deputati ha votato prima la fiducia – l’ennesima – posta dal governo sulla manovra, nonché a sera il disegno di legge di bilancio nel suo complesso. Un provvedimento che ha visto prima marginalizzata la Commissione bilancio (le trattative sono avvenute tutte in sede ministeriale e politica, cioè extraparlamentare) e poi ammutolita l’aula, chiamata solo a sancire a scatola chiusa il provvedimento, senza nemmeno poterla discuterla. Non si dica modificarla, no, neanche esaminarne i contenuti.

A mezzogiorno, tuttavia, la camera ha votato e approvato anche un altro atto apparentemente distante: le dimissioni da deputato di Enrico Letta. L’ex segretario del Pd ed ex presidente del Consiglio ha preferito lasciare il parlamento per dedicarsi all’insegnamento. Questa volta in Spagna. Un addio che fa seguito a quello di molti altri deputati e senatori. Una fuga che per altro era iniziata già nella precedente legislatura.

Il primo a lasciare, in questa legislatura è stato Carlo Cottarelli, dimessosi dopo soli nove mesi di legislatura il 9 maggio 2023. Il senatore del Pd, anticipando in questo Letta, disse esplicitamente di avere la sensazione di essere ininfluente nelle decisioni politiche e anche nel dibattito pubblico dal suo scranno al senato, e di preferire la cattedra alla Cattolica. Ed in effetti da lì è più ascoltato. (dal quotidiano “Il manifesto” – Kaspar Hauser)

È innegabile che sia in atto una sorta di strisciante depauperamento e rimescolamento istituzionale, al punto da chiedersi se la nostra Repubblica sia ancora di tipo parlamentare. Le motivazioni sono diverse: il partitismo che allunga le proprie mani sulle istituzioni, non solo sul parlamento ma soprattutto sul parlamento; il governismo da tempo in atto, che vorrebbe addirittura sboccare in presidenzialismo o premierato forte; l’insofferenza dei parlamentari che, dopo aver sperimentato la durezza e il rischio di insignificanza e di irrilevanza mediatica del loro lavoro, fuggono in preda ad un incontenibile “primadonnismo” alla ricerca di spazi politici alternativi più incisivi e più spettacolari.

Alla base di tutto ciò c’è una mancanza di rispetto per le istituzioni e un protagonismo spinto della politica a livello leaderistico. I parlamentari, per dirla con un’espressione eufemisticamente poco elegante, non sanno dove tenere il culo: si fanno eleggere a Montecitorio o Palazzo Madama, poi scappano verso altri lidi, accampando ragioni poco plausibili e riconducibili più alla smania presenzialista che all’intenzione di incidere realmente nella vita del Paese.

Non ricordo chi fosse, ma un grande personaggio sosteneva che la democrazia si esercita non tanto con le elezioni, ma dopo le elezioni. Questa eloquente affermazione dovrebbe essere messa sotto il naso dei politici, che in questa confusa stagione non sanno dire e fare altro che sputare nel piatto parlamentare dove mangiano. Speriamo di non dovere convertire il nostro sistema in “pirlamentarismo”, come ho sentito dire a margine di una lucida e spietata analisi politica formulata da una simpatica anziana signora.

Se invece di sparlare di riforme costituzionali, di piangere sul latte versato durante i riti parlamentari, di scalpitare sugli scranni di deputati e senatori, di saltabeccare da uno studio televisivo all’altro, di rilasciare dichiarazioni stucchevoli e scontate, i nostri rappresentanti lavorassero sodo per varare buone leggi, scritte con professionalità e competenza, mirate ad affrontare le problematiche concrete, forse avremmo qualcosa di meglio rispetto ad un parlamento di chiacchieroni e di assenteisti che forniscono un perfetto assist all’astensionismo. Non mi preoccupa lo scontro anche duro sulle soluzioni dei problemi, ma mi scandalizza la polemica sul nulla; non mi disturba il richiamo alle ideologie, ma mi preoccupa la mancanza di idee; non mi da fastidio la contrapposizione valoriale, ma mi sconcerta l’assenza dei valori.

Ammetto che esista, anche nei miei auspici, un sottofondo di pericoloso qualunquismo, ma credo sia molto più grave il qualunquismo dei parlamentari che non fanno il loro dovere, rifugiandosi dietro polemiche sterili. Volete una dimostrazione? Le loro manierate pubbliche dichiarazioni partono sempre da un attacco frontale all’avversario e finiscono lì, senza alcun contributo (pro)positivo. Un difetto che purtroppo accomuna un po’ tutti i parlamentari a prescindere dalla loro collocazione politica.

Quando ho l’occasione di seguire qualche scorcio di seduta parlamentare, mi accorgo che il livello culturale e professionale di deputati e senatori non è poi così scandalosamente insufficiente. Allora mi chiedo: provate a lavorare alacremente e seriamente e chissà che non si riesca a cavare un po’ di sangue dalle rape. Restate al vostro posto, laddove, bene o male, vi hanno messo gli elettori, siate più obiettivi e soprattutto più attivi.

Sarebbe necessaria infine una costituzionale larga conventio ad excludendum nei confronti dei media, che non informano ma confondono le idee ai cittadini, promuovono i polemisti, santificano i furbi e penalizzano gli intelligenti. Invece purtroppo c’è la corsa ad occupare spazi mediatici a prescindere dagli scopi e dai contenuti: il gusto politico di apparire anziché di essere.

 

 

 

 

Gli auguri col trucco

Con il videomessaggio di auguri per le festività il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha voluto giocare d’anticipo, con un tempismo perfetto anche se penoso, rispetto alle omelie natalizie papali e al discorso di fine anno del presidente della Repubblica.

Lo voglio riportare integralmente e commentare acidamente, contravvenendo all’imperativo natalizio che mi ero dato, vale a dire di essere buono con tutti.  Vorrà dire che poi, a maggior ragione, varcherò una qualche porta santa.

È la vigilia di Natale e voglio fare a tutti voi i miei auguri. E c’è chi anche in queste ore non riuscirà a stare a casa con i propri cari, che continuerà invece a essere al servizio di tutti. Penso alle nostre Forze armate, penso alle nostre Forze dell’ordine, penso ai medici, a tutti gli operatori sanitari e a quei lavoratori che sia nel pubblico che nel privato, anche in questo periodo di festa, garantiscono grazie al loro lavoro servizi essenziali ai cittadini. Grazie davvero per tutto quello che fate e che farete anche in questi giorni di Natale. 

Sta rubando il mestiere al Capo dello Stato. Sarebbe meglio che si ricordasse sempre di essere il primus inter pares dei ministri a servizio di tutti gli italiani e non solo della risicata minoranza di chi l’ha votata, invece di sparare invettive contro tutto e tutti.

E poi voglio ringraziare anche quanti, e sono tantissimi, che in questi giorni di festa doneranno una parte di loro stessi per essere al fianco di chi ha più bisogno, di chi è malato, di chi è solo, di chi sta vivendo un momento di grave difficoltà. Voi siete uno dei volti più belli di questa Nazione e io voglio ringraziarvi di cuore a nome dell’Italia per quello che fate, perché, come scriveva Flaubert: “il cuore è una ricchezza che non si vende e non si compra, ma si regala”. 

Siamo alle beatitudini meloniane…il papa avrà di che preoccuparsi…gli sta rubando il mestiere, anche se dovrà spiegare come concilia la sua politica col dettato evangelico, il suo rigore anti-migratorio con l’essere a fianco dei bisognosi, la sua faziosa indulgenza con quella plenaria del Giubileo, la grandezza di cuore con il considerare nemico chi osa criticarla.

Allora auguri a tutti, che questo tempo possa essere un’occasione di serenità, di speranza, di gioia, per guardare al futuro con ancora maggiore fiducia e ottimismo.

Allora come spiega l’inerzia governativa sui temi della guerra e della giustizia sociale? Non indossi i panni di operatrice di pace! Le stanno stretti… Semmai prima faccia un po’ di astinenza dalle carni muskiane, trumpiane e orbaniane. E, se volesse, anche un definitivo digiuno rispetto a certe tristi eredità del passato.

Ricarichiamo le batterie perché ci attende un 2025 altrettanto impegnativo, per continuare insieme a costruire un’Italia forte, ambiziosa, capace di guardare lontano e di puntare sempre più in alto. Auguri di cuore, buon Natale a tutti!

E qui “in cauda desiderium”. Non abbiamo bisogno di un’Italia forte e ambiziosa, ma di un’Italia giusta e aperta. Non abbiamo bisogno di guardare lontano per non combinare niente sui problemi attuali. Non abbiamo bisogno di puntare in alto per trascurare chi vive in basso. Buon Natale anche a lei, signora più potente che ci sia.

La benedizione natalizia del papa è definita “Urbi et Orbi”. Quella meloniana paradossalmente, non tanto…, la potremmo definire “bòti da orob” (come diceva, con un latinismo pramzàn, un mio dissacrante zio).

Il vangelo secondo Nordio

Le parole di Papa Francesco dopo l’apertura della Porta Santa a Rebibbia e l’idea lanciata ieri dal vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, sulla possibilità di “un indulto parziale” «per affrontare l’emergenza nazionale di un sovraffollamento carcerario di oltre 11mila presenze rispetto alla capienza prevista», hanno aperto un dibattito politico. Dalle opposizioni sono tante le voci che vorrebbero “un impegno per la tutela della dignità umana”. Ma dalla maggioranza non si registra alcuna apertura, posizione ribadita chiaramente dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, in un’intervista a Libero. «Amnistia e indulto» non sono la strada per risolvere i problemi delle carceri, a partire dal sovraffollamento ormai strutturale. Questi atti di clemenza, ha spiegato Nordio, «sono plausibili come segno di forza e di magnanimità, ma se vengono interpretati come provvedimenti emergenziali svuota-carcere sono manifestazioni di debolezza», che mandano un segnale di «impunità» e di invito «alla commissione di nuovi reati». Piuttosto, aggiunge il ministro, bisogna lavorare «all’umanizzazione della pena», prevedendo attività culturali, lavorative o sportive dentro il carcere o modalità diverse dai penitenziari per scontare il proprio debito con la giustizia. «Penso alle comunità o ad altre forme di detenzione domiciliare per tossicodipendenti o autori di reati di minore allarme sociale. Ci stiamo lavorando, ma non sono cose che si improvvisano».

Il ministro ha chiarito anche la posizione della maggioranza: «No, siamo tutti d’accordo che un indulto incondizionato sarebbe inutile e nocivo. Del resto è la stessa dottrina cattolica a insegnarci che il perdono non è gratuito, presuppone la confessione, la penitenza e il fermo proposito della redenzione. In termini laici, questi concetti si esprimono, come ho detto, con una umanizzazione della pena e la detenzione differenziata». (dal quotidiano “Il dubbio”).

Avevo previsto che le ricadute politiche del Giubileo sarebbero state stucchevoli, fuorvianti e strumentali. L’intervista del ministro Nordio ne è la riprova: una miscela delle solite buone intenzioni e del solito benaltrismo a cui si è aggiunto un ardito parallelismo fra dottrina cattolica e legislazione laica. Nel frattempo i suicidi in carcere continuano ad imperversare.

La politica si divide fra buonisti e rigoristi e tutto rimane bloccato. Il ministro della giustizia Carlo Nordio continua a deludere: è proprio vero che a livello governativo non basta mettere un tecnico (nel caso specifico un giudice) per risolvere i problemi. Nordio è condizionato dalla linea politica del governo di cui fa parte, da ex magistrato tende ad invadere il campo della magistratura, fa una confusione tremenda e non conclude un tubo.

Adesso si è messo anche a interpretare la dottrina cattolica sostenendo che il perdono non è gratuito mentre papa Francesco continua a ribadire inequivocabilmente che Dio perdona sempre tutto e tutti; equivocando fra penitenza e riparazione; scambiando la redenzione con la conversione. Suvvia, la fede cattolica non è il suo forte! Scherzi coi fanti e lasci stare i santi, anche se sulle carceri italiane non c’è da scherzare.

Il dibattito politico si è aperto convenzionalmente ma non convintamente, partendo dalle conclusioni e sparando chiacchiere alla viva il papa. Penso che i carcerati faranno bene a rivolgersi fiduciosamente ai sacerdoti impegnati in queste strutture e a impostare con loro un percorso umano e religioso di recupero. Se aspettano infatti la politica fanno in tempo a marcire nelle loro celle per poi uscirne dentro una bara o con la prospettiva di tornare a delinquere, ammesso e non concesso, come ha detto il Papa, che in carcere ci siano persone quantitativamente e qualitativamente più colpevoli dei cittadini benpensanti e perbenisti con tanto di “pataglia” sporca.

 

 

La democrazia spaventata e la diplomazia spatentata

«Fin dal primo giorno, da quando è arrivata la notizia dell’inaccettabile arresto di Cecilia Sala da parte delle autorità Iraniane, tutto il Governo, in primis il presidente Giorgia Meloni ed il ministro Tajani, si è mosso per farla liberare». Lo ha scritto il ministro della Difesa Guido Crosetto su X. «Ogni persona che poteva e può essere utile per ottenere questo obiettivo si è messa al lavoro» ha aggiunto. «Le trattative con l’Iran non si risolvono, purtroppo, con il coinvolgimento dell’opinione pubblica occidentale e con la forza dello sdegno popolare ma solo con un’azione politica e diplomatica di alto livello. L’Italia lavora incessantemente per liberarla, seguendo ogni strada». (da ilsole24ore)

La dichiarazione del ministro della difesa assomiglia molto ad un invito a non disturbare il manovratore. Senonché bisognerebbe sapere se il manovratore è capace di guidare, dove vuole portare i viaggiatori e quale prezzo intende far pagare agli utenti del servizio e a tutta la cittadinanza.

Ho sempre avuto molta diffidenza verso la diplomazia: generalmente serve a coprire il nulla. Figuriamoci con gli attuali chiari di luna, in una situazione internazionale aggrovigliata come non mai, in un disordine totale e globale. E poi, se devo essere sincero, non mi fido di chi dovrebbe tenere i fili diplomatici, vale a dire dell’attuale governo italiano: queste eventuali operazioni non sono roba da dilettanti allo sbaraglio come il trio Meloni-Crosetto-Tajani, ma operazioni di alta acrobazia purtroppo senza rete protettiva.

Se poi, come sembra, l’arresto di Cecilia Sala rientrasse in uno scambio di prigionieri in cui sarebbero coinvolti gli Usa che avrebbero chiesto all’Italia di arrestare un “bombarolo” iraniano, la questione si complicherebbe non poco e verrebbe in primo piano la sudditanza governativa dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti a cui l’incolumità di Cecilia Strada non potrebbe fregar di meno.

Tutti zitti ad aspettare che i diplomatici facciano la frittata o comunque una ciambella senza buco? Una giornalista coraggiosa, impegnata sul fronte della difesa dei diritti umani non può essere semplicemente oggetto di scambio al peggior offerente. Forse meriterebbe qualcosa di più… Sensibilizziamoci almeno sull’importanza della libertà di stampa in democrazia, che in Italia viene da una parte abusata e dall’altra parte mal tollerata e attaccata. Convinciamoci che la pace non può essere perseguita nell’equivoco e magari calpestando i diritti delle persone più deboli fra cui le donne. Impegniamoci a testimoniare che la democrazia non è morta, ma forse la stiamo uccidendo anche con la realpolitik. Siamo proprio sicuri che stare zitti sia il modo migliore per aiutare Cecilia Sala?

Non ho risposte, ho solo tanti dubbi in mezzo alla certezza che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate finora, ed è bene che diventi sempre più un patrimonio da difendere con le unghie e coi denti da parte dei cittadini europei uniti e da rinverdire continuamente da parte dei governanti convinti europeisti.

A tal proposito l’Unione Europea, se fosse unita, forte ed incisiva, potrebbe dire all’Iran che l’arresto di Cecilia Sala è un affronto alle democrazie, una provocazione che a livello dei rapporti internazionali potrebbe significare isolamento e comportare il pagamento di costi molto alti per le istituzioni di stampo islamico che guidano questo Paese. Dopo di che potrebbero entrare in gioco le diplomazie, non al buio, ma alla luce di queste forse ingenue ma irrinunciabili premesse.