L’anti-Costituzione è la mia legge

Più i tempi politici passano e più emerge la lucidità e la lungimiranza dei nostri padri costituenti. All’articolo 54 hanno scritto: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. Andrea Delmastro Delle Vedove è un cittadino italiano a cui è stata affidata la funzione pubblica di sottosegretario di Stato alla Giustizia ed ha giurato “di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le sue funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione”.

Il Tribunale di Roma ha condannato a otto mesi il sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro. Nei suoi confronti l’accusa era di rivelazione di segreto d’ufficio in relazione alla vicenda dell’anarchico Alfredo Cospito. I giudici della ottava sezione penale del tribunale di Roma hanno riconosciuto a Delmastro le attenuanti generiche, la sospensione della pena e applicato l’interdizione di un anno dai pubblici uffici.

Tutto il resto è chiacchiera pseudo-giuridica. I fatti sono arcinoti. Non mi interessano in quanto superate le richieste del Pubblico Ministero così come non mi interessano le tesi difensive dell’imputato: sono state vagliate dai giudici che hanno emesso la sentenza di condanna.

Non sono un giustizialista anche se non ho ben capito in cosa consista esserlo, sono un garantista anche se le garanzie personali devono trovare un limite in quelle dello Stato costituzionale, sono portato per mio carattere ad essere innocentista e a non affrettare giudizi di colpevolezza. E allora non voglio che Delmastro vada in galera, né che venga messo alla gogna, né che gli si tolga il sacrosanto diritto di difendersi nelle sedi e nei tempi previsti dalla legge.

C’è però quel succitato benedetto articolo della Costituzione italiana che impone disciplina ed onore. A questo punto dell’iter giudiziario il sottosegretario Delmastro ritiene oggettivamente che il suo comportamento corrisponda agli obblighi costituzionali? I cittadini, in nome dei quali sta governando, non hanno diritto di chiedergli di farsi da parte, di ripristinare la “legalità costituzionale”, di sgombrare il campo da assurde polemiche verso i magistrati, da un vittimismo fuori luogo, dal considerare la politica come un modo per aggirare gli ostacoli dei governanti e non per affrontare i bisogni dei governati?

Si rende conto della gravità non tanto degli atti per cui è stato condannato, ma del comportamento che ha tenuto e sta tenendo nei confronti delle istituzioni dello Stato e dei cittadini?

Resto letteralmente sconcertato di fronte alle inammissibili giustificazioni che Delmastro accampa per non dimettersi: “Una sentenza politica! Le sentenze non si commentano – ha scritto in un post su Facebook -, ma quelle politiche si commentano da sole! E questa sentenza si commenta da sola! Dopo che l’accusa ha chiesto per tre volte l’assoluzione, arriva una sentenza di condanna fondata sul nulla! Vogliono dire che le riforme si devono fermare? Hanno sbagliato indirizzo! Vogliono dire che il Pd non si tocca? Hanno sbagliato indirizzo. Io non ho tradito i miei ideali: ho difeso il carcere duro verso terroristi e mafiosi. Io non ho tradito! E gli italiani lo sanno! Attendo trepidante le motivazioni per fare appello e cercare un giudice a Berlino. E da domani avanti con le riforme per consegnare ai nostri figli una giustizia diversa”.

Tutto bene (si fa per dire…), posso prendere atto di quanto sostiene, ma solo a condizione che si dimetta, tolga, seppur provvisoriamente, l’incomodo. Non gli chiedo di rinunciare alle sue idee politiche, ma di considerare, oltre che l’assoluta inopportunità di restare in carica violando apertamente e sostanzialmente il dettato costituzionale, l’incompatibilità del suo giudizio sulla magistratura con la funzione che riveste, la confusione che fa tra riforma della giustizia e il suo caso personale nei rapporti con i giudici che l’hanno giudicato e lo giudicheranno.

Aggravano ancor più la sua situazione le vergognose dichiarazioni del presidente del Consiglio, del ministro della Giustizia, dei suoi colleghi di partito e di maggioranza parlamentare. Siamo completamente fuori dalla Costituzione italiana: questi signori si stanno assumendo enormi responsabilità, di cui forse non si rendono conto. Sono peraltro in linea con l’andazzo trumpian- putinian-muskian-netanyahuano: loro se ne fregano dell’Onu, del diritto internazionale, della democrazia, del mondo intero; i governanti italiani (per tutti Delmastro e Santanché) se ne fregano altamente della Costituzione e giù-giù fino a… Molti si chiedono cosa pensi Giorgia Meloni degli indirizzi politici trumpiani. A parole c’è un imbarazzato silenzio, nei fatti c’è una perfetta e spaventosa sintonia di stile e di contenuti.

Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, ha sintetizzato il tutto con una azzeccata e sarcastica battuta: «Un sottosegretario alla Giustizia che attacca i magistrati che lo condannano. E la Meloni sta con lui. Dalla Repubblica delle Banane è tutto».

Chi tace acconsente, ragion di bacio o kisspolitik.

Donald Trump attacca anche l’Europa sulla guerra in Ucraina: “Ha fallito, non è riuscita ad ottenere la pace”. In un post su Truth il presidente americano ha ribadito anche che il Vecchio Continente ha speso meno degli Stati Uniti per una guerra che li tocca da vicino.

Donald Trump attacca Volodymyr Zelensky definendolo un “dittatore senza elezioni” e un “comico mediocre” che è riuscito ad ottenere centinaia di miliardi dagli Stati Uniti per “una guerra che non avrebbe mai vinto. Zelensky ammette che metà dei soldi che gli abbiamo inviato sono ‘mancanti’. Si rifiuta di indire elezioni, è molto basso nei sondaggi ucraini e l’unica cosa in cui è stato bravo è stato suonare Biden come un violino”.

L’iperbole è una figura retorica che consiste nell’esagerare la descrizione della realtà tramite espressioni che l’amplifichino, per eccesso o per difetto. Questo è il linguaggio di Trump! Tale linguaggio, per essere credibile e non suscitare ilarità, deve essere accompagnato da una credibile testimonianza di vita. Non è certamente il caso di Trump! Quanto a comicità direi che sia la sua specialità, basta guardarlo: sembra un burattino. Quanto a democraticità cosa può dire un personaggio che ha mandato i suoi fans all’assalto di Capitol Hill coprendoli dai reati loro ascrivibili con un colpo di spugna. Quanto alle sviolinate, è tutta questione di gusti: Zelensky le faceva all’Europa e a Biden, mentre Trump preferisce farle a Putin. Se poi andiamo sul difficile, vale a dire sulle elezioni, Zelensky le teme, se non altro per il clima di guerra in cui si svolgerebbero, Trump le ha affrontate con inganni miliardari e trappole mediatiche in cui gli americani sono caduti alla grande.

Che dire degli attacchi all’Europa? Tutti hanno fallito. Se ci mettiamo su questo piano non ne usciamo vivi. Tutti siamo vittime di una impostazione bellicista da cui non potrà mai sortire la pace. Crede Trump di costruire la pace dandola su a Putin? Crede Trump di delineare un quadro mondiale pacifico minacciando e ricattando tutti? Pensa che la Cina sarà costretta a stare al suo gioco? Ma ci faccia il piacere…

Mio padre sarebbe oltremodo d’accordo ed aggiungerebbe: “Sì. al pär vón äd coj che all’ostaria con un pcon äd gèss in sima la tävla i mètton a pòst tutt; po’ s’ät ve a veddor a ca’ sòvva i n’en gnan bón äd fär un o con un bicér…”.

E i governanti europei cosa dicono? I francesi reagiscono duramente forse perché hanno nel cassetto la bomba atomica e un conseguente passato storico di relativa autonomia rispetto agli Usa; i tedeschi dicono tutto e niente forse perché hanno qualche scheletro filorusso nell’armadio; la Ue si limita a rivendicare un ruolo essenziale forse perché non potrebbe fare diversamente. Tutto molto scontato!

A Palazzo Chigi per il momento tutto tace, nonostante la premier Meloni si sia sempre ufficialmente spesa per il sostegno a Kiev. Viene da chiedersi dove siano finiti i baci e gli abbracci con Zelensky, per non parlare delle carinerie scambiate con Biden. Umanamente parlando si chiama opportunismo della peggior specie, politicamente parlando chiamiamola “ragion di bacio o kisspolitik”.

In conclusione, per sopravvivere bisogna buttarla in ridicolo: ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere… E allora proviamo a giocarci e riderci sopra con un emblematico episodio, raccontato da mio padre, inerente all’accanimento al gioco dei patiti della scopa, che ben si potrebbe adattare al gioco delle trattative in corso sull’Ucraina. I riferimenti ai personaggi e ai loro comportamenti attuali sono molto facili da immaginare.

All’osteria si stava giocando una partita a carte e tra i giocatori sedeva una persona abbastanza distinta, non uno dei soliti frequentatori del locale. Mio padre assisteva dall’esterno e vedeva che questa persona giocava decisamente male. Ad un certo punto in concomitanza con una giocata fuori dagli schemi (forse costò la perdita del settebello o roba del genere) il suo socio reagì in modo sguaiato e pieno d’ira arrivò a dire: “Sal co’ l’à da fär lu inveci ad calär il cärti?”. Corse un attimo di gelo e di spasmodica attesa.  Poi aggiunse: “Al s’ fa su la manga e ‘l va a spomär di cesso”. Brusio di sorpresa, il giocatore sul banco degli imputati ebbe una reazione piena di dignità e rispose: “Sono venuto qua per giocare in tutta serenità, se la mettiamo su questo piano, io rinuncio e vi saluto cordialmente”. E abbandonò la partita ed il locale e mio padre disse che non si fece più vedere da quelle parti.

Non c’è niente da aggiungere se non che la vera offesa, a ben pensarci, non era consistita tanto nell’invito a “spomare” i cessi, ma nella precauzione del farsi su la manica.

Qual è la parte della similitudine che non funziona? La dignità del giocatore balordo. Nel caso del tavolo allestito per il “gioco” russo-ucraino, quel giocatore assurdo non si allontanerà, ma addirittura pretenderà di cambiare le regole. Trump dovrebbe sì andare a “spomare” i cessi, anche senza farsi su la manica, ma è purtroppo dotato di spurgo muskiano e quindi…

 

Due rondini che fanno un po’ di primavera

Posso essere stanco del cinismo straparlante dell’attuale geopolitica? Lo sono e me ne vanto. La politica ha raggiunto nei rapporti internazionali un livello infimo: buio fitto a qualsiasi parte ci si volga. Si va dalla schizofrenica ricerca su più tavoli della finta pace alla folle ma lucida ricerca di equilibrismi di vera guerra. Siamo arrivati persino agli insulti personali.

Gli Usa di Trump stanno impostando un regime a prescindere dai valori democratici; il mondo è in mano a una cricca di delinquenti che si sostengono a vicenda; l’Europa, vaso di coccio, rischia l’isolamento e l’irrilevanza, schiacciata com’è fra vasi di ferro; l’Italia nei suoi attuali governanti non ha nemmeno il coraggio di ammettere questa rovinosa realtà e cerca di galleggiare giochicchiando col più forte.

Durante le animate ed approfondite discussioni con alcuni carissimi amici, uomini di rara coerenza etica e politica, agli inizi degli anni novanta, si constatava come alla politica stesse sfuggendo l’anima, come se ne stessero andando i valori e rischiasse di rimanerci solo la “bottega” ed al cittadino non restasse che scegliere il “negozio” in cui acquistare il prodotto adatto alla propria “pancia”. Fummo facili profeti.

Gli americani hanno scelto Trump quale miglior prodotto della loro squallida bottega. Gli europei si limitano a gestire le loro botteghe separate, dove si affastellano surrogati dei genuini prodotti di un tempo.

Gli osservatori si rendono conto del menefreghismo suicida dell’Unione europea, i protagonisti sembrano accontentarsi di gestire il loro particolare e confuso interesse, i popoli, storditi e fuorviati dai problemi contingenti e dalle illusorie ricette, faticano a vedere prospettive di medio e lungo periodo.

Per fortuna l’Italia, se da una parte esprime un governo che non si riesce a capire dove voglia parare, dall’altra parte mette in evidenza due personaggi che lanciano precisi appelli e segnali di rilancio europeo e di ritorno ad un clima di rispetto per il diritto internazionale: Sergio Mattarella e Mario Draghi.

Il Presidente della Repubblica ha dichiarato: “Da tre anni a questa parte la posizione dell’Italia, e in questo ambito quello che io personalmente ho sempre espresso ai numerosi interlocutori internazionali con cui mi sono incontrato, è nitida, limpida, chiarissima: quella dell’invito del ristabilimento del diritto internazionale e della sovranità di ogni Stato e della sua indipendenza e dignità, qualunque sia la sua dimensione, piccolo o grande che esso sia. Questa ferma, vigorosa affermazione sui principi della Carta dell’Onu, del diritto internazionale, dell’eguaglianza della dignità di ogni Stato è stata la base del sostegno che l’Italia, con l’Unione europea e con gli Stati Uniti, ha assicurato all’Ucraina: resistere alla violenza delle armi”. “Questa posizione è sempre stata accompagnata dall’auspicio che la Russia torni a svolgere il proprio ruolo di grande rilievo e importanza nella comunità internazionale, nel rispetto di quei principi, del diritto internazionale e della dignità e sovranità di ogni Stato. Questo auspicio ho sempre fatto negli incontri che ho avuto: è un auspicio di rispetto del diritto internazionale, rispetto della Carta delle Nazioni Unite, della sovranità di ogni Stato e degli impegni bilaterali”.

L’Italia – ha detto ancora il presidente della Repubblica – ha sempre auspicato il rispetto degli “impegni bilaterali. A questo riguardo forse è utile ricordare che quando l’Ucraina, con il consenso della Russia, divenne indipendente all’inizio degli anni Novanta, disponeva nel suo territorio di una grande quantità di armi nucleari: circa un terzo dell’arsenale nucleare che era di quella che era stata l’Unione sovietica era in possesso dell’Ucraina sul suo territorio. Su sollecitazione degli Stati Uniti e della Russia l’Ucraina ha trasferito, ha consegnato alla Russia alcune migliaia di testate nucleari di cui disponeva e di cui era in possesso, che l’avrebbero certamente messa al sicuro da ogni aggressione e invasione. A fronte di quello, nel trattato sottoscritto con Russia, Stati Uniti, Regno Unito, l’Ucraina registrava l’impegno di quei Paesi, la Russia anzi tutto, a rispettarne e garantirne l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale”, ha ricordato il capo dello Stato.

“Questo – ha aggiunto – è il mondo che noi vorremmo che si ripristinasse, quello in cui si rispettano gli impegni assunti, in cui si rispetta il diritto internazionale”. Il presidente ha ribadito l’auspicio che “si raggiunga una pace giusta e che non sia fittizia, fragile, superabile o accantonabile nell’arco di poco tempo”. (adnkronos)

Un uomo di Stato che ha il coraggio di esprimere apertamente e coraggiosamente queste idee, nell’attuale clima sbruffonescamente maligno e presuntuosamente vocato alla rovina, non può che creare fastidio e imbarazzo, anche perché probabilmente lo si teme come possibile rifacitore di un’Europa unita e impegnata.  Le stizzite, reiterate e scomposte reazioni russo-putiniane dimostrano ulteriormente, se ce ne fossa bisogno, la giustezza dei richiami mattarelliani.

Un’Europa vulnerabile, incapace di essere competitiva in una fase in cui è proprio su questo aspetto che si gioca la sfida a livello internazionale. Una vulnerabilità che nasce anche dalla frammentazione della Difesa. L’ex premier Mario Draghi è tornato a spronare l’Unione europea a suo avviso bloccata da eccesso di burocrazia ed eccesso di regole. A cinque mesi dalla pubblicazione del famoso rapporto sul futuro della competitività europea, che porta il suo nome e che Draghi aveva elaborato su incarico della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in occasione della Settimana parlamentare europea 2025 del Parlamento europeo a Bruxelles l’ex presidente della Commissione europea ha ribadito l’Unione europea deve attrezzarsi a far fronte a novità nei cambiamenti economici e politici globali. Ed «è sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre di più come se fossimo un unico stato – ha affermato -. La complessità della risposta politica che coinvolge ricerca, industria, commercio e finanza richiederà un livello di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori: governi e parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo».

Insomma, l’Ue «è il principale nemico di se stessa». Oggi non può più esserlo. Il mondo “confortevole” di qualche tempo fa è finito, le dichiarazioni che arrivano oltreoceano portano a prevedere che l’Ue, presto «dovrà garantire da sola la sicurezza dell’Ucraina e della stessa Europa». Il tempo delle attese e dei veti è terminato. «Non si può dire no a tutto, altrimenti bisogna ammettere che non siamo in grado di mantenere i valori fondamentali dell’Ue. Quindi quando mi chiedete “cosa è meglio fare ora” dico che non ne ho idea, ma fate qualcosa!», sono le parole, nettissime, con cui Draghi ha accompagnato la sua relazione in sede di replica. Parole che hanno ripercorso, di fatto, l’incipit dell’intervento dell’ex presidente della Bce. «Dobbiamo abbattere le barriere interne, standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato sull’equity. La risposta dell’Ue deve essere rapida, intensa, su vasta scala», ha scandito Draghi prendendo la parola in Aula all’Eurocamera. (ilsole24ore.com)

Mario Draghi ha la personalità, l’esperienza, la professionalità, la competenza e l’autorevolezza per farsi ascoltare e per prendere in mano la patata bollente europea.

Queste due rondini nel cielo europeo e mondiale potranno fare un po’ di primavera? Non vedo altro di veramente interessante all’orizzonte, che possa rilanciare la politica sulla base di valori e principi determinanti.

Quanto ai valori è utile fare riferimento a quanto segue. Al termine di una interessante intervista pubblicata sul quotidiano “Avvenire” è stato chiesto a Massimo Cacciari: “Non vede valori da cui l’Europa può ripartire?”. Il filosofo ha risposto: «Ci sono radici difficili da estirpare completamente, che contrastano radicalmente con l’opinione comune corrente. Da un punto di vista laico e non credente, penso che una di queste possa essere l’Europa della cristianità. Bisognerà vedere se questa radice è ancora in grado di dare frutti sul piano della convivenza civile, dei valori, se potrà ancora essere “sale della terra” sul piano delle ragioni politiche e sociali».

 

 

La zuppa dei rifugiandi e il pan bagnato dei rimpatriandi

Putost che cédor…limón. Così recita un noto adagio dialettale parmigiano.

Dal palco di Atreju, circa due mesi fa, Giorgia Meloni ha gridato: «Abbiate fiducia, i centri in Albania funzioneranno, fun-zio-ne-ran-no, dovessi passarci ogni notte fino alla fine del governo. Fun-zio-ne-ran-no! Perché io voglio combattere la mafia e chiedo a tutto lo Stato italiano e a tutte le persone perbene di aiutarmi a combattere la mafia».

Non ho sinceramente capito cosa c’entri la mafia, forse alludeva agli scafisti e loro mandanti. Il problema però è un altro: i reiterati stop dei magistrati hanno costituito un’impasse per il governo e allora, per bypassare il pronunciamento della Corte di Giustizia europea, che potrebbe avere tempi lunghi, è allo studio una riconversione nella destinazione di questi centri, inizialmente destinati ad ospitare i richiedenti asilo in attesa delle procedure, che verrebbero invece utilizzati per gli immigrati irregolari già presenti in Italia e su cui pende un decreto di espulsione.

L’operazione, secondo Palazzo Chigi, avrebbe il nulla osta dell’Europa; non ho idea se anche questa destinazione troverà un vaglio negativo da parte dei magistrati.

“Siamo determinati – ha sottolineato la premier – a trovare una soluzione ad ogni ostacolo che appare, non solo perché crediamo nel protocollo ma anche perché rivendichiamo il diritto della politica di governare secondo le indicazioni dei cittadini”.

L’ipotesi che si sta percorrendo è quella di trasferire in Albania non più i richiedenti asilo, ma gli irregolari che hanno ricevuto un decreto di espulsione e sono trattenuti nei Cpr. Ed è proprio sui rimpatri che l’esecutivo è intenzionato a spingere. (ANSA.it)

Tutto considerato, anche e soprattutto gli alti costi dell’operazione, sarebbe stato meglio chiudere la partita, ammettendo gli errori commessi a tutti i livelli. Invece, i centri albanesi fatti uscire dalla porta dalla magistratura, rischiano di spuntare dalla finestra. I tecnici sarebbero al lavoro per superare la situazione incresciosa venutasi a creare.

La vicenda è significativa dell’improvvisazione con cui il governo affronta il tema dell’immigrazione ed è diventata emblematica per il velleitario duro approccio al problema. Il governo ne sta facendo una questione identitaria sulla pelle dei disgraziati, richiedenti asilo o in odore di espulsione.

La testardaggine meloniana sta diventando un dato politico (quasi) ridicolo. La premier intende metterci la faccia, in realtà la faccia la sta perdendo (anzi l’ha già persa).

Putost che cédor…limón. Così recita un noto adagio dialettale parmigiano. Azzardo al riguardo un’interpretazione plausibile: “Piuttosto che ammettere un torto e rimangiarsi la parola… è meglio cavarsela con furbizia”.

Di parole la Meloni se ne sta rimangiando parecchie: un tempo era giustizialista, ora è garantista; un tempo esigeva dimissioni per un nonnulla ora non le chiede se non al povero Sangiuliano; un tempo era euroscettica, ora è europeista convinta (?); un tempo era all’opposizione, ora è al governo. C’è poco da fare le opinioni cambiano…

“L’uomo che non cambia mai la sua opinione è come l’acqua stagnante, e nutre i rettili della mente” (William Blake). Giorgia Meloni prende la scorciatoia, preferisce pestare l’acqua nel mortaio e pensa così di cavarsela nutrendo il camaleonte della sua mente politica. I camaleonti infatti sono dei rettili arboricoli, per la forma, il corpo ricoperto di squame e la cresta che a volte presentano sul dorso sono stati spesso accostati ai dinosauri. Hanno una coda prensile e arti, con dita dei piedi opponibili a coppie, conformati per garantire meglio la presa sui rami.

Sbagliare è umano. Ammettere i propri errori è da grandi. Mettersi in discussione è da persone con cervello (Simona Illiano).  “Putost che cédor…limón” (noto adagio dialettale parmigiano convintamente adottato da Giorgia Meloni).

 

Scaramucce giudiziarie e guerra pseudo-riformatrice

La crisi della democrazia è ormai evidente anche nel suo principale baluardo degli ultimi decenni, gli Stati Uniti. Come accade anche altrove, infatti, viene qui oggi messo in discussione un principale fondamento: il diritto del popolo a scrivere le leggi con cui vuole essere governato. I numerosi executive orders emanati in pochi giorni dal presidente Trump hanno incrinato profondamente l’equilibrio tra i poteri esecutivo, legislativo, giudiziario. Quando un governo esonda dai suoi limiti, il primo che può reagire è il potere giudiziario, cui compete di far rispettare le leggi. (dal quotidiano Avvenire – Agostino Giovagnoli)

Parto da questa acuta osservazione per affrontare la tesa situazione dei rapporti in Italia fra governo e magistratura. Le analogie con la situazione americana si sprecano e anche nel nostro Paese i giudici sono spesso costretti ad intervenire in difesa della Costituzione sotto attacco da parte delle esondazioni legislative del governo Meloni.

Non passa giorno in cui i magistrati a qualche livello non facciano le pulci ai provvedimenti e ai comportamenti del governo: si pensi alla questione del vergognoso tira e molla del trasferimento in Albania degli immigrati su cui il governo ha imbastito un penoso braccio di ferro; lasciamo perdere per il momento l’affaire libico per il quale stiamo ad aspettare gli sviluppi a livello del tribunale dei ministri; ultimo per chi batte la inefficacia,  sentenziata dalla Corte di Cassazione, dei test rapidi anti droga previsti dal nuovo codice della strada (un fiore all’occhiello del governo che viene messo parzialmente in discussione).

Non è questione di censura alle logiche politiche dell’attuale governo, ma di errata impostazione giuridica dei suoi provvedimenti. Possibile che un governo, in cui il ministro della Giustizia è un autorevole ex magistrato, in cui il sotto-segretario alla presidenza del consiglio (ben più di un semplice sottosegretario, ma l’eminenza grigia del governo) è esso pure un ex-magistrato, si faccia continuamente prendere in castagna dalla magistratura.

E non si tratta di piccoli formali incidenti di percorso, ma di svarioni sostanziali, che rischiano di annullare gli effetti di importanti ed emblematici provvedimenti di cui il governo si riempie la bocca.

Il governo, anziché fare saggi mea culpa e stare più attento nell’adottare delicate decisioni e nell’elaborare testi legislativi, la butta in guerra politica con la magistratura. Il procuratore Lo Voi ha notificato ad alcuni componenti del governo l’esistenza di un esposto che prefigura reati a loro carico relativamente alla nota vicenda Almasri e allora ecco pronto il dispetto: i consiglieri laici in quota centrodestra Isabella Bertolini, Claudia Eccher, Daniela Bianchini, Felice Giuffrè ed Enrico Aimi hanno chiesto al Csm di aprire una pratica in Prima commissione per l’avvio di una procedura di trasferimento dello stesso Lo Voi per incompatibilità ambientale-funzionale e di trasmettere gli atti alla Procura generale per la valutazione di eventuali illeciti disciplinari. Un affondo innescato dal caso di un documento con informazioni sul capo di Gabinetto della premier, trasmesso dagli 007 dell’Aisi alla Procura di Roma, ma poi incluso dalla stessa Procura in un insieme di atti inviati ai legali del quotidiano Domani, che l’ha pubblicato. Per i consiglieri, l’accaduto ha «seriamente compromesso i rapporti istituzionali tra la Procura di Roma e le Agenzie dell’intelligence». A loro dire, «risulta essere stato compromesso l’affidamento, da parte delle Agenzie, circa l’effettiva tutela del segreto degli atti trasmessi in Procura». Gli stessi consiglieri nei giorni scorsi avevano chiesto l’apertura di un’altra pratica su Lo Voi in relazione al caso Almasri. Mentre venerdì un consigliere indipendente, Andrea Mirenda, ha chiesto l’apertura di una pratica a tutela di Lo Voi, perché «irriso» dalla premier per il fascicolo aperto sulla liberazione del generale libico. (dal quotidiano “Avvenire”)

Stiamo sprofondando in una farsa tragica inerente i rapporti tra istituzioni dello Stato. Sullo sfondo si gioca però la vera partita della battaglia identitaria della riforma della giustizia, in particolare sulla separazione delle carriere. Le scaramucce servono al governo per drammatizzare i rapporti in modo da rendere inevitabili i contenuti di una riforma molto discutibile nel merito e nelle intenzioni.

Qui, a mio giudizio, la magistratura compie un grave errore, vale a dire quello di farsi trascinare nella polemica sulla riforma della giustizia, lasciando il dubbio di volere più difendere le proprie posizioni di potere piuttosto che l’autonomia della magistratura. Non nego che la politica intenda riportare impropriamente la giustizia sotto il controllo del potere esecutivo (è uno dei punti della deriva populista in atto in parecchi Stati), ma impuntarsi aprioristicamente ed in modo barricadiero non giova a nessuno. La magistratura ha tutto il diritto di esprimere nelle sedi competenti il proprio parere sulla riforma in questione, ma non può svolgere un ruolo di autentica opposizione politica che spetta alle minoranze parlamentari, né arrogarsi preventivamente il diritto di vagliare le norme dal punto di vista costituzionale invadendo il ruolo del Parlamento stesso e del presidente della Repubblica.

Sergio Mattarella ha spesso invitato tutti a rimanere nei limiti delle proprie funzioni e competenze e a dialogare seriamente: non viene ascoltato, tutti assentono salvo continuare nelle loro misere strumentali diatribe.

Per il governo la riforma della giustizia è diventata una guerra di sopravvivenza identitaria, visto che gli altri due provvedimenti costituzionali, vale a dire le autonomie regionali differenziate e rafforzate nonché il premierato, stanno implodendo sotto i colpi ante-referendari della Corte Costituzionale il primo, il secondo per effetto della corretta e leale forza dissuasiva impersonificata da Sergio Mattarella e dal suo consenso popolare.

E allora via con la guerra ai magistrati! Sarò ingenuo, ma mi sembra un azzardo pazzesco già peraltro tentato da Silvio Berlusconi che, dopo tanto rumore, finì ai servizi sociali. Quando Giorgia Meloni afferma di non essere ricattabile, probabilmente si vuole distinguere dal berlusconismo e dalle sue code di paglia: posso concederle di essere assai meno impastoiata in conflitti d’interesse e in comportamenti personali sui generis, ma “qualcosina” da nascondere ce l’ha (famigliari e amici un po’ troppo collocati nelle stanze del potere) e ha intorno personaggi come Daniela Santanché e Ignazio La Russa che non le fanno onore.

Quanto alla separazione delle carriere dei magistrati i casi sono due: o si tratta di uno specchietto per le allodole, vale a dire un falso problema soltanto allusivo a quelli veri dell’autonomia e della funzionalità del sistema giudiziario, oppure è effettivamente il preludio ad un’opera inquietante di subdolo attacco al sistema istituzionale.

Nel primo caso non capisco e, se capisco, non condivido la lumacosa reazione dei magistrati, che dovrebbero aprire la porta, contro cui spinge violentemente il governo, per scoprirne le  vere intenzioni e si dovrebbero semmai risparmiare per il secondo caso, vale a dire per combattere la vera guerra, quella della difesa dell’autonomia del potere giudiziario e dell’ordinamento democratico,  nei modi e nei tempi previsti dalla Costituzione e dalla legislazione nel suo complesso, continuando a svolgere i loro compiti senza farsi trascinare in stucchevoli polemiche.

 

La scoperta del bilancio caldo

Dopo una trattativa non facile, durata mesi, la Commissione europea ha aperto all’ipotesi di adottare una clausola di salvaguardia per le spese della Difesa. Una soluzione che avuto un precedente durante l’emergenza della pandemia Covid. Questa soluzione è stata proposta in più di un’occasione dall’Italia, sia attraverso il presidente del Consiglio Giorgia Meloni sia tramite il ministro della Difesa Guido Crosetto.

«Dovremo aumentare ancora una volta in modo considerevole questo numero – ha detto ha detto la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen in occasione della Conferenza di Monaco -. Perché passare dal 2% a oltre il 3% significa centinaia di miliardi di investimenti in più ogni anno. Quindi, abbiamo bisogno di un approccio coraggioso. Posso annunciare che proporrò di attivare la clausola di salvaguardia per gli investimenti nella difesa». La scelta di attivare la “clausola di salvaguardia” per le spese della difesa va nella direzione di quanto chiede il governo italiano, che da tempo propone di scorporare le spese della difesa dal Patto di stabilità. Il segretario generale dell’Alleanza, Mark Rutte, ha proposto di alzare l’asticella oltre il 3%. Ma arrivare al 3% del Pil per la difesa per l’Italia significa aggiungere 33 miliardi a quello che spende allo stato attuale. L’apertura di Bruxelles rappresenta comunque un passo in avanti, una prima boccata di ossigeno.

 Il nuovo Patto di stabilità, che conserva una forte impronta tedesca ed è in vigore da meno di un anno, è infatti un po’ meno rigido del precedente ma aumentare le spese militari per gli Stati membri ad alto debito resta complicato e politicamente rischioso. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha sottolineato in più di un’occasione che le regole Ue sui conti pubblici impediscono all’Italia di spendere per la difesa come vorrebbe. Occorre dunque alzare l’asticella senza mandare in affanno i conti pubblici. Anche perché il nuovo presidente Usa Donald Trump ha chiesto di portare al 5% il contributo all’Alleanza Atlantica. (ilsole24ore.com)

Scegliete voi se chiamarlo “uovo di Colombo”, “vittoria di Pirro” o “scoperta dell’acqua calda”. Questo è comunque il modo di non governare, di non scegliere e di non prendersi le proprie responsabilità. Dentro o fuori dal patto di stabilità, le spese militari sottraggono risorse a scopi diversi e certamente più raccomandabili. Siamo ad una sorta di artifizio contabile, al nascondere la polvere sotto il tappeto.

Da punto di vista della politica economica ci mettiamo nella prospettiva di una dilatazione del debito senza copertura e foriera di costi, che si scaricheranno inevitabilmente sui soggetti deboli dal momento che i soggetti forti puntano sì alle armi ma senza accollarsene il peso e lucrandone i demoniaci benefici.

Sul piano della politica internazionale l’aumento delle spese militari è il peggior modo per puntare alla pace: siamo in pieno “si vis pacem para bellum”. La Nato con le sue esigenze viene dopo i bisogni della gente che muore di fame. Donald Trump, se vuole perseguire la folle politica del riarmo, se la faccia in autonomia: l’Europa abbia il coraggio di andare per la propria strada, che tutt’al più si chiama esercito comune, con minori spese razionalizzate e unitaria strategia nella difesa comune.

Il nuovo presidente americano ha un pregio, quello di far emergere le contraddizioni: certo non è giusto succhiare la ruota militare statunitense all’interno della Nato, anche perché è una furbizia che sta in poco posto dal momento che gli Usa questi “piaceri” li fa pagare cari agli alleati in termini di sudditanza politica e, sempre più, di compensazioni economico-finanziarie (si pensi alla vergognosa idea di farsi rimborsare dall’Ucraina gli aiuti corrisposti col meccanismo perverso delle “terre rare”).

La Nato va rivista nei suoi compiti e nei suoi indirizzi. L’Europa si deve rendere maggiormente autonoma riappropriandosi, almeno in parte, delle prerogative delegate. Se pensiamo di risolvere i problemi accodandoci a Trump, non ne usciamo vivi.

Si dice che la prospettiva di un esercito comune a livello europeo sia un’utopia. È vero in mancanza di un minimo di unità politica non necessariamente coinvolgente tutti i partner. Sono perfettamente d’accordo con chi sostiene che nelle imprese non si comincia dal fondo, ma comunque bisogna iniziare e non rinviare all’infinito.  Uniti a parole e divisi nei fatti: questa sembra essere l’incoerente e inconsistente fede europeista. Le parole riguardano il patto di stabilità e la compatibilità dei bilanci considerati sommatorie di opinioni, i fatti concernono scelte di vero sacrificio per soddisfare i bisogni della gente. Partiamo dalla dimensione sociale della Ue e operiamo di conseguenza.

«La corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai. Essa serve solo a cercare di ingannare coloro che reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti» (papa Francesco nella sua Esortazione “Evangelii Gaudium).

Il becco di Vance

La minaccia che più mi preoccupa nei confronti dell’Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno, ma la minaccia interna, il ritiro dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti d’America”.

Nel suo vero debutto internazionale, quello alla Conferenza di Monaco, JD Vance dribbla i temi della sicurezza in agenda e sul cruciale nodo della guerra di Mosca a Kiev si limita a profetizzare “un accordo ragionevole tra Russia e Ucraina”. Il giovane vicepresidente Usa preferisce invece salire in cattedra e impartire lezioni di democrazia al Vecchio continente, attaccando l’Europa in modo frontale – dall’immigrazione alla libertà di parola fino all’esclusione dell’estrema destra – minimizzando il ruolo della disinformazione russa e difendendo Elon Musk, paragonato inopinatamente a Greta Thunberg. Un intervento shock, applaudito solo da poche persone, prevalentemente parlamentari repubblicani, ma che gela e lascia attonita la gremitissima sala, dove la maggior parte dei presenti è rimasta seduta senza applaudire. (ANSA.it)

Questo si chiama “becco di ferro”! Come si permette questo parvenu della democrazia di impartire lezioni all’Europa? Da che pulpito viene la predica!? Non so se sia più grave l’attacco di Putin a Mattarella o questo proditorio intervento di Vance. Probabilmente sono due mosse rientranti nella stessa articolata strategia. Siamo solo ai titoli di testa…

L’Europa trattata come una pezza da piedi: dov’è la dignità degli europei e dei loro governanti, che non reagiscono a simili improperi? I casi sono due. O gli europei stanno facendo come i cortigiani del duca di Mantova: quando Rigoletto osa protestare clamorosamente per il rapimento e lo stupro della figlia, dicono: “Coi fanciulli e coi dementi meglio giova simular…”. Nel nostro caso sarebbe un po’ diverso: ci sarebbe di mezzo lo stupro della democrazia rivendicato da Trump tramite il suo tirapiedi, mentre gli europei farebbero finta di niente. Oppure preferiscono legare l’asino dove vuole il padrone americano e stanno buoni e zitti dalla paura.

Siamo veramente alla frutta e c’è magari ancora qualcuno che pensa di cibarsi di qualche residuo dei disgustosi piatti trumpiani. Ogni riferimento a governanti esistenti è puramente “causale”. Possibile che i maggiorenti (?) europei non abbiano un sussulto di orgoglio per riunirsi e imbastire un’azione comune per far fronte a questa volgare deriva anti-democratica proveniente dagli Usa?

Posso capire le divisioni tra i partner europei, posso capire le loro reciproche gelosie, posso capire le loro debolezze politiche, i loro scheletri negli armadi, ma non è ammissibile fare i pesci in barile in una situazione di tale gravità a livello internazionale. Non è ammessa rassegnazione. È il momento di tirare fuori gli attributi, non per gareggiare con Trump per vedere chi ce l’ha più lungo, ma per fargli capire che al mondo non esiste soltanto la prepotenza dei forti ma anche la forza dei deboli se sanno fare squadra.

Il premier tedesco Scholz ha timidamente ed unilateralmente risposto: “Respingo espressamente quanto affermato dal vicepresidente statunitense Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Dall’esperienza del nazionalsocialismo, i partiti democratici in Germania hanno tratto un consenso comune: questo è il muro di protezione contro i partiti di estrema destra”. (ANSA.it)

Non basta: è il minimo che non significa un bel niente. Nel calcio non basta respingere l’attacco buttando la palla in tribuna ma occorre impostare immediatamente una ripartenza (un tempo si chiamava contropiede): la Ue si deve ricompattare e adottare sue forti ed unificanti iniziative.

E chi potrebbe guidare questa squadra alla riscossa? Non certo Ursula, non certo Giorgia…Forse esiste un personaggio all’altezza della situazione. Non ne faccio il nome anche perché non lo ritengo il mago Otelma della politica. Conosce però bene gli Usa, perché è un filo-americano di formazione culturale e professionale. Ha dimestichezza con i fondamentali dell’economia. Ha serietà e fermezza. Ha recentemente pontificato sul futuro della Ue. Non è De Gasperi, non è Adenauer e nemmeno Schuman. Però, sempre meglio dei nani che si accodano ai giganti. Cerchiamo un Davide che provi ad andare contro Golia con le armi dell’intelligenza e della diplomazia. Se non l’avete ancora capito, mi riferisco a…

La Mosca cocchiera di un mondo neonazista

La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha definito offensive, scandalose e del tutto false le “invenzioni blasfeme” e le analogie citate dal presidente Sergio Mattarella, che aveva paragonato l’invasione russa dell’Ucraina al progetto del Terzo Reich in Europa.

Il 5 febbraio, durante una lezione all’Università di Marsiglia, il presidente italiano ha “fatto diverse dichiarazioni offensive” sulla Russia, ha ricordato Zakharova, come riporta l’agenzia Tass. “Ha tracciato parallelismi storici scandalosi e francamente falsi tra la Federazione Russa e, come ha detto, la Germania nazista”, ha spiegato Zakharova in un briefing con la stampa, aggiungendo che a riguardo è “impossibile persino pronunciarsi”.

Mattarella, ha proseguito la portavoce, “ha affermato che le azioni della Russia in Ucraina sono di natura simile al progetto del Terzo Reich in Europa”. Secondo Zakharova, “è strano e folle sentire invenzioni così blasfeme dal presidente dell’Italia, un Paese che conosce in prima persona cosa sia veramente il fascismo”. (AGI)

Riandiamo un attimo alla fonte, vale a dire alle parole, storicamente fondate, eticamente nobili e politicamente coraggiose, di Sergio Mattarella.

L’accostamento, Putin-Terzo Reich, è stato fatto dal presidente Mattarella il 5 febbraio durante un discorso di ventotto minuti dopo che gli era stata conferita una laurea honoris causa. Il riferimento era contenuto all’interno di una lectio magistralis ricca di rimandi storici, in cui paragonava l’attuale situazione mondiale a quella degli anni Trenta del secolo scorso. La tesi è che il protezionismo e la fine del diritto internazionale avevano contribuito a spalancare le porte alla seconda guerra. In questo contesto, ricordando la crisi del ’29 e il fatto che gli Stati scelsero di non affrontare la recessione in modo coeso, Mattarella disse testualmente: «Fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni Paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi nazionali. Il risultato fu l’accentuarsi di un clima di conflitto – anziché di cooperazione – pur nella consapevolezza di dover affrontare e risolvere i problemi a una scala più ampia. Ma, anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista. Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa. L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura» (da ilsole24ore.com)

L’attacco risulta essere clamorosamente pretestuoso e quindi non meritevole di attenzione nel merito oltre che estremamente scorretto nel metodo. Mi chiedo perché Putin e la sua cricca siano usciti così violentemente allo scoperto.

Individuo alcune motivazioni piuttosto plausibili. Innanzitutto Putin sfrutta il momento di debolezza e di isolamento dell’Europa, causato dall’inqualificabile atteggiamento di Donald Trump rispetto al conflitto russo-ucraino. Il presidente russo si sente forte sotto il paradossale ombrello statunitense e si permette di attaccare il più prestigioso e credibile leader europeo.

Putin è un delinquente, ma non è stupido e quindi ha capito benissimo che Mattarella può giocare un ruolo fondamentale nella ricerca di una comune strategia europea, atta a svolgere un ruolo autonomo rispetto al ventilato strapotere americano (non lo chiamo imperialismo per rispetto a Martin Luther King, a Roberto Kennedy ed a quei presidenti del passato che non assomigliano per niente a Trump e per l’aiuto che, nonostante tutto, gli Usa hanno dato al nostro Paese e alla sua rinascita) e un’azione di notevole disturbo per l’imperialismo russo e quindi a costituire un elemento di difficoltà per gli assetti che si stanno profilando nei rapporti tra Russia e America.

In terzo luogo l’autocrate russo prende di mira l’Italia, che è sempre stata l’alleato europeo principale degli Usa, per mettere zizzania nel nostro Paese e convertirlo ad una tattica di appoggio incondizionato al trumpismo che fa rima con putinismo.

Per fortuna, almeno nominalmente, il governo e pressoché tutte le forze politiche hanno espresso solidarietà al capo dello Stato, anche se non credo che quanti applaudono Mattarella siano omogenei rispetto al suo europeismo ed alla sua visione internazionale etica e politica.

Consiglio a tutti coloro che avranno la pazienza di leggere questo mio commento di riprendere integralmente il discorso di Mattarella fatto a Marsiglia: una lezione di democrazia in un mondo che la democrazia se la sta mettendo sotto i piedi.

 

 

La guerra fredda e la pace surgelata

Che differenza c’è fra la guerra fredda Usa-Urss e la pace che si sta profilando fra Trump e Putin. Apparentemente sembrano due facce della stessa medaglia o, forse meglio, due medaglie con facce diverse ma molto simili.

Che pace potrà mai sortire da accordi fra due delinquenti che puntano a spartirsi il mondo sulla pelle dell’Ucraina, nell’assordante silenzio imposto alla Ue, facendo peraltro i conti senza l’oste cinese.

La partita a scacchi è cominciata: si stanno muovendo le pedine semplici (lo scambio di prigionieri come iniziali carinerie), ma si intravedono già le mosse ben più importanti (lo scambio di terre e ricchezze ucraine).

Il quadro è cambiato: dell’adesione dell’Ucraina alla Nato nemmeno a parlarne; agli aiuti alla ricostruzione ci pensi la Ue; la stessa adesione ucraina alla Ue sta diventando un fatto secondario, una partitella di consolazione da giocare su un campetto periferico; la Ue viene ricattata a livello delle spese militari Nato oltre che dei dazi commerciali.

Sembra tutto così semplicemente cinico: l’uovo di Trump!

La questione palestinese viene relegata nel campo delle esercitazioni internazionali sotto la vigile supervisione guerrafondaia di Benjamin Netanyahu.

Ci sono però due variabili indipendenti che potrebbero scombussolare la scacchiera su cui stanno giocando Trump e Putin: la strategia cinese e la eventuale ritrovata unione fra i Paesi europei (almeno quelli di maggior peso politico ed economico), che potrebbero paradossalmente allearsi e far saltare il banco degli sbruffoni.

Non credo che Trump abbia la capacità diplomatica di giocare su più tavoli molto impegnativi e decisivi. Xi Jinping non è Zelensky, la Cina non è l’Ucraina, così come, nonostante tutto, Francia-Germania-Spagna (lasciamo stare l’Italia affaccendata a rimanere nell’orbita trumpiana) non sono i servi sciocchi dei padroni russo-americani.

Ho l’impressione che la Cina stia beffardamente a guardare cosa sta succedendo, pronta ad entrare in gioco a gamba tesa non appena gli accordi russo-americani interferiscano con gli spavaldi interessi cinesi.

L’ Europa è un rebus! Saprà trovare un minimo di strategia comune per battere un colpo e farsi sentire? Le mosse potrebbero essere queste: un esercito comune e una politica commerciale comune. In fin dei conti l’Europa, in questo momento storico ha tutto da perdere, e allora deve scommettere sul futuro a tutti i costi.

In conclusione ci sono altri due elementi da considerare: il mondo cattolico sotto la guida di papa Francesco potrà incidere negli equilibri internazionali?

Tom Homan, responsabili per i confini nella nuova amministrazione Trump, ha risposto alle critiche avanzate da Papa Francesco sulla politica di deportazione di massa dei migranti avviata dal presidente degli Stati Uniti, ricordando che il Vaticano ha un muro attorno. Il Papa “ci attacca perché proteggiamo i nostri confini? Ha un muro attorno al Vaticano, giusto? (…) E noi non possiamo avere un muro attorno agli Stati Uniti”, ha detto Homan, citato dal quotidiano “The Hill”. (nova.news)

Assomiglia molto alla famosa battuta staliniana sulle armate del Vaticano.

E poi, negli Usa la gente e soprattutto le istituzioni democratiche sapranno reagire al trumpismo? Al momento sembrerebbe di no. Il tempo però è galantuomo e staremo a vedere.

Mio padre sintetizzava la parabola storica di Benito Mussolini, usando questa colorita immagine: «L’ à pisè cóntra vént…». Intendeva dire che è andato contro tutto e tutti e c’è rimasto dentro. Speriamo che non occorrano vent’anni e una guerra mondiale per sbarazzarsi di Trump.

 

 

Fine vita e accanimento teologico

La Toscana sarà la prima Regione italiana a garantire ai malati tempi e modalità certi per l’accesso al suicidio medicalmente assistito.

Dopo un lungo e acceso dibattito il Consiglio regionale ha approvato, a maggioranza, la legge di iniziativa popolare promossa dall’Associazione Luca Coscioni: un testo presentato in tutte le Regioni ma, finora, mai arrivata all’approvazione. A votare a favore Pd (con l’eccezione della consigliera Dem, Lucia De Robertis che non ha espresso voto) Iv, M5s e gruppo Misto.

Abbracci e lacrime tra i rappresentanti dell’Associazione Coscioni, presenti in aula al momento del voto finale. “Siamo grati ai consiglieri della Regione Toscana per avere approvato la nostra legge ‘Liberi subito’, che definisce tempi e procedure per l’aiuto medico alla morte volontaria – ha commentato la segretaria dell’Associazione Filomena Gallo – È una legge di civiltà perché impedisce il ripetersi di casi, da ultimo quello di Gloria, proprio in Toscana, di persone che hanno dovuto attendere una risposta per mesi, o addirittura per anni, in una condizione di sofferenza insopportabile e irreversibile”. (ANSA.it)

 

La legge è scaturita dalla proposta d’iniziativa popolare dell’Associazione Luca Coscioni. Un percorso che ha la sua origine nella sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, che ha dichiarato non punibile chi agevola il suicidio «di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni».

Partendo da qui l’Associazione Coscioni ha raccolto firme (10mila in Toscana) e depositato nei Consigli regionali una proposta di legge per definire le procedure delle varie aziende sanitarie. Diversi gli esiti: in Veneto, nonostante il sì del governatore Zaia, l’atto non è passato per un voto; i Consigli di Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Piemonte hanno puntato sulla non competenza regionale; l’Emilia Romagna ha approvato una delibera di giunta, senza passare dall’aula. E in Toscana? «L’Associazione Coscioni ha presentato la proposta di legge a marzo – spiega Enrico Sostegni (Pd), presidente della Commissione sanità – Da fine luglio l’abbiamo approfondita con costituzionalisti, docenti, associazioni e con le aziende sanitarie, che stanno già applicando la sentenza. E proprio questo è il punto: c’è una sentenza, ma non uniformità nella sua applicazione. La nostra norma si limita a garantirla, individuando 10mila euro per le spese, senza alcuna impostazione ideologica». (dal quotidiano “La Nazione”)

Sulla questione sono intervenuti i vescovi toscani con le solite tiritere dogmatiche (peraltro così poco evangeliche), che non riesco a digerire. Sono infatti perfettamente in linea con quanto pensava don Andrea Gallo il quale non si perdeva in disquisizioni teologiche, ma andava dritto alla persona.

Malati terminali: «Sulla base di una scelta chiara e consapevole della persona interessata, bisogna rispettare il suo diritto alla non sofferenza, a un minimo di dignità in ciò che rimane della vita. Ogni caso ha una sua trama e una valutazione diversa». (don Andrea Gallo)

Dal punto di vista legislativo sarebbe opportuno che si intervenisse a livello nazionale, ma purtroppo la politica, come al solito, non riesce a fare i conti con i drammatici bisogni dei cittadini e si nasconde dietro questioni etico-religiose. Allora non si può aspettare all’infinito alla faccia di immani sofferenze patite da cittadini colpevoli solo di essere malati più o meno terminali.

I vescovi della Toscana hanno detto la loro e ne riporto di seguito le dichiarazioni.

 

Legge regionale su suicidio assistito: vescovi toscani, “no a questione di schieramento”. “Sistema sanitario esiste per migliorare le condizioni della vita e non per dare la morte”. “Siamo consapevoli che questa proposta di legge assume per molti un valore simbolico, nel senso che si chiede alla Regione Toscana di ‘forzare’ la lentezza della macchina politica statale chiamata a dare riferimenti legislativi al tema – importantissimo – del fine vita”. Lo sottolineano i vescovi toscani, i quali, riuniti a Livorno per il consueto incontro, ritengono opportuno offrire alcuni spunti al dibattito sulla proposta di legge regionale riguardante il cosiddetto “suicidio assistito” che presto verrà discussa in aula. In primo luogo i presuli invitano i consiglieri regionali e i dirigenti dei loro partiti “a non fare di questo tema una questione di ‘schieramento’ ma di farne un’occasione per una riflessione profonda sulle basi della propria concezione del progresso e della dignità della persona umana”. In questo, suggeriscono i vescovi toscani, “può essere d’aiuto la lettura attenta del documento ‘Dignitas infinita’ pubblicato recentemente dal Dicastero per la Dottrina della Fede, che esprime nel modo più attuale la visione che nasce dall’esperienza cristiana, offrendo un contributo significativo su questi temi di grande drammaticità”. Non solo: “L’altro elemento che può aiutare a fare una scelta legislativa è proprio la storia della nostra Regione. Nella cura delle persone in condizione di fragilità la Toscana è stata esempio per tutti: la nascita dei primi ospedali, dei primi orfanotrofi, delle associazioni dedicate alla cura dei malati e dei moribondi, come le Misericordie, e poi tutto il movimento del volontariato, sono un’eredità che continua viva – affermano i presuli –. Ci sembra che in un momento di crisi del sistema sanitario regionale, più che alla redazione di ‘leggi simbolo’, i legislatori debbano dare la precedenza al progresso possibile anche nel presente quadro legislativo, in un rinnovato impegno riguardo alle cure palliative, alla valorizzazione di ogni sforzo di accompagnamento e di sostegno alla fragilità”. I vescovi della Toscana chiariscono: “La vita umana è un valore assoluto, tutelato anche dalla Costituzione: non c’è un ‘diritto di morire’ ma il diritto di essere curati e il Sistema sanitario esiste per migliorare le condizioni della vita e non per dare la morte”. “Anche da parte nostra vogliamo affermare la necessità di leggi nazionali aggiornate e siamo disponibili al dialogo e all’approfondimento sul grande tema del fine vita, pronti ad ascoltare e ad apportare, per la passione per ogni persona umana che impariamo da Gesù Cristo e che viene offerta a tutti come contributo libero alla nostra società”, concludono i presuli. (Sir – agenzia d’informazione)

L’iniziativa legislativa toscana è partita dall’Associazione Luca Coscioni. È proprio vero che alle degne persone che hanno tanto sofferto i vescovi italiani si ostinano a non concedere pace. Siamo passati dal sadismo cattolico del cardinale Ruini nei confronti di Piergiorgio Welby, a cui furono negati i funerali religiosi, al troppo ragionato e paralizzante attuale tira e molla sul fine vita.

Quando si scende sul piano dogmatico, peraltro condizionati da astratti principi religiosi (con i quali la fede ha poco o niente a che vedere), si arriva a disquisizioni teoriche sulla pelle di persone che non difendono un loro capriccio, ma chiedono il riconoscimento del diritto di uscire dalla loro disperazione per chiudere dignitosamente la loro esistenza. Il parallelismo con le subdole contestazioni farisaiche a Gesù mi viene abbastanza spontaneo. Lui aveva il coraggio di guardare alle persone e al loro cuore senza imprigionarsi nei principi e nelle regole.

Rifiuto sdegnosamente il socio-catastrofismo cattolico: biotestamento = anticamera dell’eutanasia; suicidio assistito = eutanasia camuffata; eutanasia = capriccio esistenziale. Non sarebbe opportuno lasciare questioni così delicate alla coscienza delle persone senza aggiungere alla sofferenza umana ulteriore tensione moralistica, senza generalizzazioni impossibili? C’è il Vangelo e lasciamo che le persone scelgano in base ad esso: la carità evangelica per chi soffre e per chi vuole aiutare chi soffre! Come dice don Gallo, ogni caso ha una sua trama e una valutazione diversa.

Di fronte a queste dissertazioni etico-moralistiche il grande Indro Montanelli sfoderava tutta la sua laicità e concludeva drasticamente e amaramente: «Sono beghe di frati!». Io, a differenza di Montanelli, mi considero un credente, ma condivido pienamente il suo giudizio: «Sono beghe di frati!». Purtroppo però queste beghe continuano a condizionare il Parlamento italiano, a disturbare le coscienze di credenti, non credenti e diversamente credenti, a torturare le persone che soffrono.