Le Pen…ne intinte nel calamaio autocratico

Per la leader del Rassemblement National Marine Le Pen, per tre volte candidata sconfitta all’Eliseo, l’incubo più temuto diventa realtà: il tribunale l’ha condannata a cinque anni di ineleggibilità, con effetto immediato, compromettendo così la sua candidatura alla presidenza per una quarta volta nel 2027. Un voto per il quale i sondaggi la davano favorita almeno al primo turno.

Le Pen inciampa così nel processo degli assistenti parlamentari a Strasburgo: una frode da 2,9 milioni di euro ai danni del contribuente europeo, coperta da una quarantina di impieghi fittizi. In sostanza, l’ex Fn viene accusato di aver orchestrato un “sistema” di contratti truffa per rimpinguare con i soldi dell’Europa le malconce casse del partito.

Oltre all’ineleggibilità, la paladina della Fiamma tricolore bianca rossa e blu viene condannata a quattro anni di carcere di cui due senza condizionale ma con il braccialetto elettronico.

Elon Musk ha difeso su X la leader del Rassemblement National, Marine Le Pen, condannata in Francia per appropriazione indebita. “Quando la sinistra non può vincere al voto democratico abusa del sistema legale per incarcerare i suoi rivali”, ha scritto il miliardario, citando il caso Le Pen tra quelli di una presunta persecuzione globale dei populisti.

Musk ha definito la decisione un abuso giudiziario che – secondo lui – si ripete ovunque ci siano leader di destra anti-sistema. Nel post condiviso, Musk ha risposto a Mike Benz, ex funzionario dell’amministrazione Trump, che ha elencato altri casi simili: da Bolsonaro in Brasile a Imran Khan in Pakistan, fino a Salvini in Italia

Le parole di Musk si aggiungono a un coro di reazioni internazionali. Il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov, ha parlato di “violenze alle norme democratiche” nei processi politici europei. Viktor Orban, premier ungherese e alleato politico di Le Pen in Europa, ha scritto su X: “Je suis Marine!”. Anche Matteo Salvini su X ha espresso solidarietà alla leader della destra francese. (dalle agenzie Ansa e Virgilio)

Qualche giorno fa, durante un occasionale incontro con alcuni miei conoscenti, mi è stato chiesto un sintetico e lapidario commento sulla situazione storica che stiamo vivendo. Me la sono cavata, rispondendo che non avrei mai più pensato di sprofondare in una palude tanto profonda e paralizzante di cui peraltro forse non abbiamo ancora toccato il fondo. La democrazia ostacola la libertà, la politica prescinde dalla giustizia, il popolo sovrasta le istituzioni, gli interessi nazionali scavalcano il diritto e le istituzioni internazionali.

Le succitate dichiarazioni rese da Elon Musk a latere della sentenza a carico Di Marine Le Pen sono la perfetta sintesi del marasma politico che stiamo vivendo. Gli anti-democratici ritorcono le loro porcherie sulla fantomatica persecuzione messa in atto dalla sinistra, che perderebbe nelle urne e tenterebbe di vincere nei tribunali. Forse mai la favola del lupo e dell’agnello fu così azzeccata.

Il dato di partenza non sono le pesantissime accuse rivolte a Marine Le Pen e la sua conseguente dura (?) condanna, ma la presunta perfida macchinazione politico-giudiziaria atta a metterla fuori gioco. Sarebbe come se in tribunale il soggetto sottoposto a giudizio, anziché difendersi, passasse all’attacco e pretendesse di processare i giudici, addirittura di squalificarli e tacitarli pregiudizialmente e irrimediabilmente.

È la nota metodologia di difendersi dal processo piuttosto che nel processo: è uno dei dati caratteristici degli autocrati di tutto il mondo, da Berlusconi a Trump. Imputato è il sistema democratico e tutto ciò che avviene è inquadrabile nell’abusiva resistenza contro le sacrosante destre anti-sistema.

Dopo avere incantato e messo fuori gioco il popolo, l’ultimo baluardo difensivo della democrazia viene individuato nel potere giudiziario da smantellare con paradossali riforme e/o con strumentali e generali squalifiche. Si tratta di una deriva globale che tenta di coinvolgere mediaticamente i cittadini mettendoli contro le istituzioni democratiche.

Il fatto che l’Europa e gli Usa siano, a livello di classe dirigente, impegnati in questa guerra di sfondamento della democrazia, pone una clamorosa e inquietante domanda: ci siamo sempre storicamente sbagliati nel considerare l’Occidente patria della democrazia oppure abbiamo consentito che progressivamente fra Occidente e democrazia si creasse una frizione fino ad arrivare ad una vera e propria frattura.

Saremo ancora in tempo a invertire la tendenza? Se aspettiamo che si ravvedano gli americani, stiamo freschi… Tocca agli Europei scuotersi dal sonno autocratico e risvegliarsi ad una nuova era democratica. Gli attacchi provenienti da oltre-atlantico dovrebbero quanto meno farci riflettere. Invece temo che ci spingano più al conformismo autocratico che al ribellismo democratico.

 

 

Tutti all’osteria di Calenda

Ma di fatto molte delle parole del leader di Azione ricevono il plauso di Meloni. Specie quelle sul centrosinistra: «Chiunque sostiene che esiste la pace senza la forza o non conosce la storia o è un pusillanime. E se chi lo dice ha sprecato miliardi sui bonus edilizi è un mentitore (e qui anche Crosetto si alza per applaudire, ndr). Con quei 200 miliardi il Paese metteva a posto sanità e scuola e arrivava al 2% per le forze armate. Ma li abbiamo dati ai ricchi per rifarsi le ville. Bel provvedimento di sinistra. L’unico modo per stare assieme al M5s è cancellarlo».  (da “Avvenire” – Matteo Marcelli)

Al di là dei soliti giochetti della farisaica ospitalità, tipici dei congressi di partito aperti a cani e porci, prendo spunto dalle convergenze tra Calenda e Meloni, finalizzate a dare addosso al nemico comune individuato nel M5S, per esprimere un disincantato parere su due provvedimenti legislativi che vengono ormai sistematicamente criticati a destra e manca, vale a dire il bonus edilizio e il reddito di cittadinanza.

Sembra che tutti i guai della finanza pubblica siano causati da questi due interventi: certamente hanno avuto difetti, ma non mi sento di criminalizzarli. Se la memoria non mi tradisce, il superbonus edilizio doveva dare una spinta alla crescita economica nel dopo-covid, mentre il reddito di cittadinanza doveva essere un aiuto per le fasce sociali più deboli.

Non mi avventuro di certo in una disamina contenutistica, mi limito a sottolineare come questi interventi legislativi abbiano avuto paternità plurime (quindi non solo il M5S) e abbiano avuto effetti non così disastrosamente negativi come vogliono far credere i tanti politici del senno di poi.

Cosa sarebbe successo all’economia se non ci fosse stata la spinta per il settore edile introdotta appunto col bonus? Come avrebbero sbarcato il lunario tante persone prive del minimo sostentamento?

Meglio invece pensare che i conti quadrerebbero perfettamente senza il bonus: tutto andrebbe a posto dalla sanità alla scuola alle forze armate. Cosa non si dice per strappare qualche consenso elettorale e conquistare qualche politicante spazio di manovra…

Mio padre sarebbe oltremodo d’accordo ed aggiungerebbe: “Sì. I pàron coj che all’ostarìa con un pcon ad gèss in sima la tävla i metton a pòst tùtt; po’ set ve a veddor a ca’ sòvva i n’en gnan bón ed fär un o con un bicér…”

 

Una ministra per spaventare i migranti

Kristi Noem ha scelto lo sfondo con cura: una delle maxi-celle dove decine di detenuti restano ammassati 24 ore al giorno. Alle spalle, dietro le sbarre, spunta un gruppo dei 238 venezuelani deportati in Salvador il 16 marzo, con le teste rasate e senza maglietta, in modo da mostrare i tatuaggi. Un dettaglio quest’ultimo non casuale: i disegni sulla pelle – secondo le accuse di familiari e organizzazioni per i diritti umani – sono stati esibiti come “prova” dell’appartenenza dei migranti alla gang Tren de Aragua. Con un berretto calato sul volto e al polso un orologio di lusso in bella vista, la ministra alla Sicurezza Usa si è piazzata davanti alle sbarre per registrare il proprio video-messaggio subito diffuso su X: «Se venite nel nostro Paese illegalmente, questa è una delle conseguenze che potrebbe accadervi. Sappiate che questa struttura è a nostra disposizione e non esiteremo a utilizzarla se commetterete crimini contro il popolo statunitense». Poi, guardando fisso verso la camera, ha concluso: «Se non ve ne andrete, vi daremo la caccia, vi arresteremo e vi metteremo in questo carcere salvadoregno». La prigione in questione è il Cecot, il maxi-penitenziario anti-terrorismo, offerto dal presidente Nayib Bukele all’alleato Donald Trump al costo di 20mila dollari l’anno per detenuto. Non è, però, solo una questione di soldi. Il leader salvadoregno, che ha messo in carcere l’1 per cento della popolazione e governa in permanente stato di emergenza, sa che “l’amicizia” del vicino è preziosa. Da qui l’accordo di cooperazione in materia di sicurezza firmato con Noem appena dopo il video. Quest’ultimo ha aggiunto nuove polemiche a una vicenda già incandescente. L’espulsione dei venezuelani è avvenuta nonostante lo stop dei giudici e senza fornire segni concreti del legame dei deportati con il Tren de Aragua. (da “Avvenire” – Redazione Esteri)

Posso azzardare un parallelismo? Questa è la politica di deterrenza da adottare per scoraggiare l’immigrazione? Non c’è una grande differenza con i centri allestiti dal governo italiano in Albania. Non sto a sottilizzare, sempre di lager si tratta! E non mi si dica che questo è un modo per gestire il fenomeno migratorio, per scoraggiare le migrazioni al buio. Questo è un modo per calpestare i diritti delle persone: punto e basta!

Non c’è sicurezza da garantire, legalità da difendere, finanche criminalità da combattere. I migranti non sono bestie da cui guardarsi, da trasferire da un lager all’altro, persone a cui dare la caccia.

Se è vero come è vero che non si possono accogliere tutti i potenziali migranti e che occorre selezionarli, accoglierli e integrarli in modo intelligente, è altrettanto vero che non bisogna esorcizzarne l’arrivo in modo barbaro, né tanto meno procedere sbrigativamente alla loro espulsione, né ancor meno criminalizzarli genericamente e trattarli come delinquenti.

O siamo in grado di considerare il fenomeno migratorio come una realtà da affrontare nel rispetto delle persone e dei loro diritti, oppure ripieghiamo sulle minacce, sui fieri accenti, sui venti razzisti, sulle deportazioni di massa, sulle intolleranze etniche, sugli schiavismi.

La gestione dell’immigrazione (innegabilmente un tema complicato e di quasi impossibile soluzione), infatti, richiede razionalità e concretezza e non sarà mai vincente se si affiderà all’arbitrio e alla negazione dell’inderogabile rispetto di ogni persona. Per una simile strada, come è dimostrato, si possono solo ottenere (pseudo) risultati mediatici, ma mai veri passi avanti. (Gazzetta di Parma – L’opinione di Giorgio Pagliari)

Spesso sento dire che certe zone urbane c’è da aver paura a percorrerle anche in pieno giorno, tanta la criminalità che in esse si annida. Tutta colpa dei migranti clandestini, sfaccendati e portati a delinquere!? Non sono d’accordo: il discorso è molto complesso e non mi sento di restringerlo al mero forzato contenimento della presenza dei migranti.

Attenzione, perché se partiamo da questi presupposti, ha ragione la ministra alla sicurezza Usa, ha ragione il governo Meloni che spaccia le lucciole dei lager albanesi per le lanterne di una gestione del fenomeno migratorio, ha ragione chi, come Trump, vuole ridurre l’umana convivenza alla prepotenza dei forti verso i deboli.

 

 

L’infantile convenienza batte la matura convinzione

Giorgia Meloni ha nella testa un progetto chiaro: mediare tra Usa e Ue. Avvicinare Trump all’Europa. Essere ponte. «I nostri rapporti con gli Stati Uniti sono i più importanti che abbiamo», spiega la premier in un’intervista al Financial Times. E va avanti: «L’Italia può avere buoni rapporti con gli Stati Uniti e se c’è qualcosa che può fare per evitare uno scontro con l’Europa lo farò… Se costruire ponti è nell’interesse degli europei lo farò». Meloni respinge con fermezza l’idea che l’Italia debba scegliere tra Stati Uniti ed Europa. Una scelta che considera tanto «infantile» quanto «superficiale». È un messaggio netto. Consegnato sulla scia del summit appena concluso a Parigi della coalizione dei Paesi europei volenterosi. La premier – scrive il FT puntualizzando che si tratta della prima intervista rilasciata dalla premier italiana a una testata straniera – ha anche chiarito di non vedere il presidente Usa Donald Trump come un avversario e di voler continuare a rispettare il «primo alleato» dell’Italia. «Io sono conservatrice, Trump è un leader repubblicano. Sicuramente sono più vicina a lui che a molti altri». E ancora: «Capisco un leader che difende i suoi interessi nazionali… Io difendo i miei». Il passo verso i dazi è scontato. Meloni ha un messaggio all’Europa: «Bisogna mantenere la calma… Evitare di reagire d’istinto e lavorare pe una buona soluzione comune». Meloni ammette che i dazi su alcuni beni specifici stanno causando attriti. Ma «ci sono grandi differenze sui singoli beni. È su questo che dobbiamo lavorare per trovare una buona soluzione comune». È un altolà alla Commissione europea che ha promesso di reagire contro i dazi annunciati da Trump. «Su questi argomenti bisogna dire “mantenete la calma, ragazzi. Pensiamoci…». Meloni invita l’Europa alla “calma” e parallelamente “assolve Trump. Gli Stati Uniti perseguivano da tempo un programma sempre più protezionistico e a questo proposito la premier cita l’Inflation Reduction Act di Joe Biden. «Pensate davvero che il protezionismo negli Stati Uniti sia stato inventato da Donald Trump?», si chiede retorica. Domande e risposte si accavallano. Meloni riflette sull’idea che l’approccio «conflittuale» di Trump alla difesa europea possa rappresentare uno «stimolo» necessario per assumersi le proprie responsabilità sulla sicurezza: «Mi piace pensare che la crisi nasconde sempre una opportunità». Anche perché la Russia potrebbe diventare una minaccia a lungo termine, ma le «minacce possono arrivare a 360 gradi» e «noi dobbiamo trovare un modo per essere pronti a difenderci da ogni tipo di minaccia che possiamo avere…». Non basta. Meloni si è poi detta «d’accordo» con il vicepresidente americano JD Vance in merito alle sue critiche all’Europa: «Lo dico da anni. L’Europa si è un po’ persa». Ma subito sottolinea che a essere contestata è la «classe dirigente» europea e non il popolo: le critiche dell’Amministrazione Trump – precisa Meloni – sono alla «classe dirigente e all’idea che si possa imporre la propria ideologia invece di leggere la realtà e trovare modi per dare risposte alle persone». (dal quotidiano “Avvenire” – Massimo Chiari)

Finalmente un po’ di vergognosa chiarezza! Scusi lei è favorevole o contraria a Trump? La risposta avrebbe potuto essere: sono favorevole ad uno stretto rapporto di collaborazione con gli Usa, ma non condivido gli attuali indirizzi politici impressi dalla presidenza americana. Probabilmente Giulio Andreotti avrebbe risposto così.

Invece Giorgia Meloni gioca a fare la Taviani, cioè la pontiera. A Paolo Emilio Taviani, in un lontano periodo storico, venne appioppato il ruolo di pontiere all’interno della Democrazia Cristiana fra le diverse correnti: mission impossible!

Lasciamo stare il passato e gli esponenti della DC a cui Meloni non è degna nemmeno di slegare i lacci dei sandali e concentriamoci su una prova di maturità al presente.

È più infantile scegliere fra l’Europa e gli Stati Uniti o illudersi di lavorare a soluzioni comuni con chi vuole distruggere politicamente l’Europa?

È più infantile rispondere unitariamente all’attacco sui dazi commerciali o tentare di scaricare la colpa dei dazi su Joe Biden?

È più infantile discutere obtorto collo un serio ed equilibrato progetto europeo di difesa comune o ritenere addirittura che l’approccio conflittuale di Trump ci faccia del bene costringendoci ad entrare in piena logica militarista?

È più infantile puntare ad un fronte comune sovranazionale europeo pur nella diversità delle visioni politiche o scommettere sull’omogeneità fra conservatori italiani (direi piuttosto reazionari) e repubblicani statunitensi (direi piuttosto imperialisti spinti all’eccesso)?

È più infantile cercare di superare i nazionalismi e i sovranismi di qua e di là dall’Atlantico o rassegnarsi ad una concezione di mera difesa dei propri interessi nazionali?

È più infantile superare il protezionismo dei propri cortili o spartirsi i giocattoli per non litigare in attesa che dai giochi di cortile si passi alle guerre di quartiere?

È più infantile lavorare per un miglioramento delle Istituzioni europee e per il rinnovamento della loro classe dirigente o strizzare l’occhio all’amico del giaguaro che contesta e squalifica l’Europa?

È più infantile credere, nonostante le difficoltà, nel futuro dell’Europa dei popoli o coltivare il populismo spicciolo che mette in egoistica contrapposizione i popoli e le persone?

In conclusione chiedo ai cittadini italiani, che hanno espresso alle ultime elezioni nazionali ed europee un voto favorevole ai partiti di destra (il centro infatti non lo vedo e, se lo vedo, lo disprezzo!): è più infantile ammettere che errare humanum est (le cazzate giornaliere sono lì a dimostrarlo) o piuttosto perseverare diabolicamente nell’errore (la perseveranza oggi si chiama Trump)?

 

 

 

 

Bambini di tutto il mondo preparatevi a morire

Mentre ieri a Parigi si riuniva il Nutrition for Growth Summit, vertice dedicato alla nutrizione del pianeta, nuove stime diffuse da un gruppo di esperti su Nature hanno evidenziato quanto l’improvviso stop agli aiuti avrebbe conseguenze letali per anni a venire. Oltre all’annunciato smantellamento di Usaid, anche altri tra i principali donatori occidentali hanno manifestato l’intenzione di diminuire i loro impegni, dal Regno Unito (-40%) alla Francia (-37%), dai Paesi Bassi (-30%) al Belgio (-25%). In totale questi tagli equivarrebbero a un calo del 44% rispetto agli 1,6 miliardi di dollari donati nel 2022 all’Oms sul fronte degli obiettivi per la nutrizione. La malnutrizione acuta grave, sottolineano gli esperti, è la più letale forma di malnutrizione: è responsabile fino al 20% della mortalità infantile e colpisce 13,7 milioni di bambini ogni anno nel mondo.

Una diminuzione globale – come annunciato di 704 milioni di dollari per i programmi contro la fame si tradurrebbe in un calo di 290 milioni per trattamenti contro la malnutrizione acuta grave. Vorrebbe dire uno stop ad interventi in favore di 2,3 milioni di bambini nei Paesi a medio e basso reddito, con il rischio di ulteriori 369mila morti l’anno tra i bambini sotto i 5 anni, morti che si potrebbero invece prevenire. Il solo stop di Usaid lascerebbe un milione di bambini senza accesso ai trattamenti, con la morte di 163.500 bambini. (da “Avvenire” – Paolo M. Alfieri)

Ricordo che mio padre, con la sua solita e sarcastica verve critica, di fronte agli insistenti messaggi statistici sulla morte di un bambino per fame ad ogni nostro respiro, si chiedeva: «E mi alóra co’ dovrissja fär? Lasär lì ‘d tirär al fiè?». Lo diceva forse anche per mettere fine ai pietismi di maniera che non servono a nulla e vanno molto di moda.

Un conto però sono i pietismi pubblicitari, un conto è la realtà che si sta profilando in conseguenza dell’ondata egoistica mondiale guidata dagli Usa di stampo trumpiano: i rapporti impostati sulla forza, una sorta di colonialismo riveduto e scorretto, un tutti contro tutti all’insegna del “mors tua vita mea”, un globalizzato “chi fa per sé fa per tre”.

«Amare, nella sua radice sanscrita kam, significa desiderare. Non è semplice tolleranza o indifferenza alla differenza. Non è subire, ma agire in modo nuovo, diventare artigiani di pace» (Chiara Giaccardi). Non si tratta di reagire, ma di cambiare le regole del gioco, sostituendo alla violenza qualcosa di più forte e duraturo: la non-violenza efficace, come diceva Simone Weil. E allora, che c’entra l’amore? Si può davvero costruire il bene senza amare il nemico? Comincio a credere che sia, più che questione di morale o di buona volontà, soprattutto di sopravvivenza umana. Che amare il proprio nemico non sia solo un gesto di bontà, ma una necessità. È questa la sfida radicale del Vangelo: non basta smettere di odiare, bisogna persino fare del bene a chi ci avversa. Solo così nasce la pace: dura, difficile, ma possibile. D’altronde, se amiamo solo chi ci ama, che merito ne abbiamo? “Amate i vostri nemici” è forse il proposito più difficile di tutto il Vangelo. Perché “nemico” non è una parola qualunque: porta con sé sofferenza, offese, rabbia, rancore. È un comandamento che scandalizza, perché ci spinge fuori dalla nostra zona di conforto, oltre ciò che ci appare logico e ragionevole. Eppure, proprio lì, in quell’apparente follia, potrebbe nascondersi la più grande rivoluzione possibile. (da un’omelia di don Umberto Cocconi) 

E allora torno da mio padre, che combatteva aspramente la grettezza d’animo, la meschinità e la tirchieria. Nelle sue colorite espressioni, ricordo come rifiutasse la logica dell’avaro: «S’a t’ tén sarè la man, a ne t’ cäga in man gnanca ‘na mòsca». Non sopportava le mentalità chiuse, quanti non sapevano guardare oltre il proprio naso: «Bizoggna volär ält, a stär bas as fa sémpor in témp».

Resto in ambito famigliare. Mia sorella andava profondamente in crisi di fronte alle immagini dei bimbi denutriti o morenti: si commuoveva, pronunciava parole dolcissime di compassione e spesso si allontanava dal video non reggendo al rammarico dell’impotenza di fronte a tanta innocente sofferenza. Sì, perché il cuore viene prima della mente, la sofferenza altrui deve essere interiorizzata prima di essere affrontata sul piano della concreta solidarietà e della risposta politica. Sarà quindi il caso di aprire le mani e i portafogli pubblici e privati, di volare alto, non con i satelliti di Elon Musk, ma con il cuore per vedere e soccorrere le miserie di questo mondo.

 

 

 

 

 

Dell’opposizione non se ne può proprio più

La sfilza di critiche delle opposizioni, le loro richieste di chiarimenti, per il ministro della Giustizia Carlo Nordio, sono come “i libelli dell’Inquisizione”. E sono mosse, è convinto, dal tentativo di fermare quella che definisce “la madre di tutte le riforme”: non più il premierato, dunque, ma la riforma della Giustizia. Che sarà seguita da un referendum, entro l’anno o forse la primavera prossima: e, tra attacchi ai magistrati e accuse di toghe politicizzate, la destra sembra già preparare il terreno. (dal quotidiano “La Stampa” – Francesca Schianchi)

Non se ne può più di un governo che si regge e galleggia sul discredito di chi osa criticarlo e chiedergli conto del suo operato: anche il ministro della Giustizia non è da meno, si nasconde dietro la similitudine con l’Inquisizione e dietro la ferma volontà di portare avanti la madre di tutte le riforme.

Le opposizioni hanno fatto il loro mestiere, gli hanno chiesto conto di una squallida vicenda politico-diplomatica, quella della liberazione del torturatore libico: la risposta è picche!

Mi sembra che la madre di tutte le riforme non sia il “divide et impera” nei confronti della magistratura, ma la delegittimazione del Parlamento ridotto a mera cassa di risonanza del governo. Fino a qualche tempo fa sugli autobus c’era l’avviso al pubblico di non disturbare il manovratore: non lo vedo più, lo hanno collocato nelle sedi governative e parlamentari.

E tutto questo che giustificazione ha? Quella che il governo è stato eletto dai cittadini: due menzogne in una. In realtà il favore popolare al governo Meloni è assai limitato: la maggioranza di una minoranza! Poi, l’elettorato non ha nominato il governo, ma il Parlamento, che a sua volta ha concesso la fiducia la governo. Il discorso è quindi molto meno banale e sbrigativo: il nostro è un sistema parlamentare e il governo deve rispondere al Parlamento, in primis alle opposizioni che hanno il dovere di controllarlo ed incalzarlo.

Qualcuno sostiene snobisticamente che l’opposizione non si fa a suon di mozioni di sfiducia e/o di polemiche sulle parole e i comportamenti del Presidente del Consiglio e dei ministri. E come si fa?

Mi sovviene un gustoso episodio della vita di don Andrea Gallo, chiamato a rispondere davanti ad un pezzo grosso del Vaticano dei suoi atteggiamenti ritenuti religiosamente “scorretti”. Si difese alla grande affermando semplicemente di osservare ed applicare Il Vangelo. Al che il porporato di turno reagì scetticamente dicendo: “Se la metti su questo piano…”. “E su quale piano la dovrei mettere’” ribatté acutamente don Gallo.

Le opposizioni, bene o male, svolgono il ruolo loro assegnato dalla Costituzione. I governanti e i politici raffinati sembrano dire: “Se la mettiamo su questo piano non se ne esce vivi…”. “E su quale piano dobbiamo mettere la politica?”. Probabilmente su un’altra Costituzione, che si intravede sempre più nitidamente all’orizzonte.

 

Quei simpaticoni degli americani…

Che sia sul palco di una conferenza, davanti alle telecamere o scriva in una chat che sarebbe dovuta restare riservata, JD Vance non fa mistero della sua scarsa simpatia per l’Europa, in linea del resto con Donald Trump. E nella conversazione sull’imminente attacco in Yemen, cui era stato aggiunto per errore il direttore di The Atlantic, Jeffrey Goldberg, il vicepresidente americano è particolarmente duro: “Odio salvare di nuovo l’Europa”, dice nello scambio con il segretario alla Difesa, Pete Hegseth. Il riferimento è all’imminente raid americano in Yemen, per spingere gli Houthi a mettere fine agli attacchi contro le navi commerciali in transito nel Mar Rosso. Vance esprime chiaramente dubbi sull’operazione che servirebbe più gli interessi europei, visto che dal Mar Rosso, dallo stretto di Bab-el-Mandeb e dal Golfo di Aden passa il 40% del traffico commerciale europeo contro solo il 3% di quello americano.
“Penso che stiamo commettendo un errore”, dice il vicepresidente, esprimendo dubbi sul fatto che Trump ne sia consapevole, secondo la ricostruzione di Goldberg che, davanti al regalo di uno scoop inatteso, ha pubblicato foto delle schermate degli scambi tra Vance, Hegseth e il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, che lo aveva aggiunto alla chat per errore. Vance teme che l’attacco sia “in contraddizione” con le bacchettate di Trump all’Europa. Nonostante questo, “se pensi che dobbiamo farlo, andiamo. Odio solo salvare di nuovo l’Europa”, chiarisce Vance a Hegseth che si affretta a dirsi sulla stessa linea. “Condivido pienamente il tuo disgusto per un’Europa scroccona”, scrive il capo del Pentagono, secondo cui, arrivati a quel punto, bisogna almeno controllare la narrativa. Dunque, bisogna dare la colpa all’ex presidente Joe Biden per avere fallito con gli Houthi e all’Iran per il loro sostegno ai ribelli. La scarsa simpatia di Vance verso l’Europa non è una novità. Pochi giorni dopo l’insediamento, dal palco della conferenza di Monaco, non lesinò critiche al vecchio continente: “La minaccia che mi preoccupa di più per l’Europa non è la Russia. Non è la Cina. Non è nessun altro attore esterno. Quello che mi preoccupa è la minaccia interna – il ritiro dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori che sono condivisi con gli Stati Uniti d’America”, aveva detto. E sulla stessa linea una recente intervista a Fox News: “L’Europa rischia di arrivare a un suicidio della sua civiltà”. (AGI – Sabrina Bellosi)

I rapporti internazionali non si basano sulle simpatie personali, ma anche sulle relazioni umane tra i governanti. Non auspico certo l’ipocrisia fra i potenti della terra, però mi sembra che tutto abbia un limite. Che l’Europa abbia beneficiato ripetutamente degli aiuti statunitensi è innegabile, ma non mi si dica che tutto è avvenuto per il buon cuore degli americani e non anche per tornaconto internazionale.

Quante porcherie hanno fatto gli Usa e l’Europa ha taciuto… Non so sinceramente dove voglia parare l’attuale amministrazione americana se non ad un assetto del mondo in chiave squisitamente egoistica. Qualcuno sostiene che sia sempre stato così: oggi si ha il coraggio di dirlo e farlo apertamente.

Rifiuto categoricamente il cinismo della politica: con ogni probabilità Trump (e chi abbaia per lui) sa che solo l’Europa, pur con tutti i limiti e i difetti, può contribuire ad un assetto mondiale ben diverso da quello imperialistico di Usa, Russia e Cina. Le provocazioni vanno rinviate al mittente, ma la dignità europea non deve venir meno.

Il nostro presidente della Repubblica Sandro Pertini amava dire: «Gli italiani non sono primi né secondi ad alcuno». Il concetto vale, a maggior ragione, anche per l’Europa.

Ecco perché bene ha fatto Sergio Mattarella a prendere netta posizione sulla questione emblematica dei dazi.

L’Europa “ha la forza per interloquire con calma, autorevolezza e determinazione” ai dazi che minaccia l’amministrazione Trump. Sergio Mattarella sembra voler far ritrovare autostima e compattezza ad un’Europa che appare timorosa a replicare alle barriere tariffarie che l’America trumpiana sta imponendo al mondo.

(…)

C’è tanta Europa nei pensieri di queste settimane del presidente: un’Europa che è un modello “straordinario” che il mondo ci imita. Un’Europa che non si deve fermare, che – aggiunge – ha bisogno di aggiornarsi, di colmare lacune, di avere processi decisionali più veloci e tempestivi”. Ma soprattutto c’è un’Europa che deve essere forte ed orgogliosa, che deve però far valere il suo peso nella guerra – Mattarella sottolinea la parola “guerra” – dei dazi. “Bisogna essere sereni senza alimentare un eccesso di preoccupazione perché la Ue – rimarca ancora – ha la forza per interloquire e per contrastare una scelta così immotivata. L’Europa è un soggetto forte, quindi bisogna interloquire con calma ma anche con determinazione”. Non si legge, quindi, nelle parole del presidente alcun timore reverenziale nell’affrontare il problema ma neanche si scorge l’irrazionale volontà di “rappresaglie”. (Ansa.it)

E se a JD Vance non dovesse piacere l’atteggiamento del nostro Presidente della Repubblica, vorrà dire che se ne dovrà fare una ragione. L’importante è rimanere ancorati ad una visione pacificamente dignitosa e dignitosamente pacifica. Il resto lasciamolo agli americani di turno e agli opportunisti di comodo.

 

 

 

 

Un filosofo che vuol strafare

Ho grande stima, considerazione e attenzione per il professor Massimo Cacciari, ma ho il timore che sia sempre più affetto da protagonismo a tutti i costi. Mi ha sinceramente sorpreso lo scomposto e strafottente attacco culturale da lui fatto al presidente Mattarella per le dichiarazioni inerenti i rischi storici corsi dalla Russia in materia di imperialismo.

Quando non gli si dà ragione inizia a muoversi nervosamente, sbuffa, e puntualmente erutta l’iconico: “Sono trent’anni che lo dico!”. Parliamo ovviamente di Massimo Cacciari, filosofo italiano ed ex sindaco di Venezia, ospite fisso dei talk show italiani. Da brillante allievo di Hegel qual è, sa bene che la filosofia, come la Nottola di Minerva, arriva sempre al tramonto di un’epoca e tenta di spiegare l’intrinseca razionalità della sua parabola. Lui, invece, arriva prima di cena e spiega come si sarebbe dovuto fare, che se solo avessimo studiato i libri che dice lui lo avremmo pre-visto (il trattino è per imitarne lo stile di scrittura).

E così, con la solita albagia spirituale, liquida come “puttanate” le parole Mattarella su Russia e Terzo Reich, rimembrando il sacrificio dei soldati sovietici per liberarci dai nazisti. E pazienza se il Presidente della Repubblica non ha mai paragonato direttamente la Russia di oggi alla Germania nazista, ma ha detto correttamente che le guerre di conquista hanno sempre una natura simile, dinanzi alla quale ogni tentativo di “appeasement”, cioè di ingenuo “accomodamento pacificatorio”, rischia di essere inefficace e controproducente. Cacciari è dotato di una forza speculativa di prim’ordine connessa a una cultura vastissima, e non lo si può certo associare alla brigata dell’antiamericanismo rozzo e del nostalgismo sovietico. Eppure anche lui, sull’Ucraina, abita più o meno la medesima narrazione della “complessità”, che inserisce l’invasione di Putin in un telaio dell’antagonismo tra imperi talmente intricato da far perdere le tracce delle responsabilità. (da “Il Pensiero Storico – rivista internazionale di storia delle idee”, articolo originariamente pubblicato il 1° marzo 2025 sul quotidiano “L’Altravoce – il Quotidiano nazionale” a firma di Alfonso Lanzieri (1985), dottore di ricerca in filosofia dal 2017)

È evidente e condannabile che l’Europa si sia appiattita sulla sterile autodifesa di principi e non abbia rischiato alcuna via diplomatica su cui basare il reale contrasto all’invasione dell’Ucraina. Ciò non toglie che la Russia stia percorrendo strade storicamente imperialistiche e che ciò lo si debba affermare a piene lettere senza indulgenze e senza opportunismi. Sergio Mattarella ha tentato proprio di coniugare questi due aspetti e lo ha fatto con eloquenza culturale, coerenza storica e credibilità politica.

Forse è il caso che Massimo Cacciari si dia una calmata per uscire da una sorta di sistematico e sterile scetticismo. Nessuno ha la verità assoluta in tasca: come spesso ho sentito dire da lui stesso, bisogna ragionare!

Sono personaggi come Mattarella ad avere il carisma per rilanciare il ruolo dell’Europa: non oscuriamo, per amor di Dio, questi spiragli di luce, magari solo per cattivo gusto catastrofista, per ridimensionare la portata dei principi, per non disturbare i manovratori finalmente usciti allo scoperto, per essere più machiavellici di Machiavelli. Per favore, lasciateci respirare, se non a pieni polmoni, almeno con l’aiuto di chi ha fiato per l’europeismo autentico e per la ricerca di una pace giusta.

 

 

 

Un po’ di piazza non fa mai male

La manifestazione in piazza convocata da Michele Serra a favore dell’Europa ha subito attacchi concentrici ed inaccettabili. Da che mondo è mondo la piazza non è mai stata momento di coerente contestazione, ma piuttosto di contraddittoria provocazione.

Che senso ha quindi pretendere che in piazza scendano persone di uguale sensibilità: credo che decidere di manifestare a favore dell’Europa sia stato di per sé un evento positivo al di là delle differenze e delle sfumature politiche.

Qualcuno vi ha voluto vedere necessariamente una opzione riarmista tout court: non risponde a verità, ma all’intenzione di piegare la realtà alla propria visione settaria.

Qualcuno ha inteso seppellirla sotto le ipotetiche e strumentali polemiche pseudo-storiche: che senso ha mettere in contrapposizione gli aneliti di Ventotene con i dubbi attuali se non quello di creare confusione e scompiglio paralizzanti?

Qualcuno ha finto di scandalizzarsi per un contributo che il comune di Roma avrebbe concesso agli organizzatori: è più scandaloso sperperare soldi pubblici in feste di piazza o far sì che la piazza accolga degnamente un dibattito politico esiziale come quello europeo?

Cosa ne concludo? Che, nonostante tutto, la piazza fa ancora paura, a destra e a manca. Fa paura a Giorgia Meloni abbarbicata alla sua comunicazione fasulla, fa paura ai partiti di governo che temone di essere messi a nudo nelle loro insensatezze, fa paura persino ai pacifisti timorosi di essere “spiazzati”, fa paura ai perbenisti che protestano per i fondi pubblici utilizzati e alzano le spalle per le migliaia di morti provenienti dalle guerre in corso.

Bene ha fatto Michele Serra a smuovere le acque. Non so se l’iniziativa potrà avere un seguito, sicuramente avrà costretto parecchi cittadini a porsi almeno il problema del futuro dell’Italia, dell’Europa e del mondo.

Ricominciare a discutere seriamente è il modo migliore per uscire dal pantano in cui stiamo sguazzando. Usciranno idee divergenti? Si scontreranno visioni alternative? Sempre meglio che subire pedissequamente l’incedere (anti)storico di Donald Trump, di Ursula von der Leyen e di Giorgia Meloni.

Le guerre a ciliegia

Raid Usa contro gli Houthi, Trump: “Fermate gli attacchi nel Mar Rosso o scateneremo l’inferno”.

Senonché l’inferno è già ampiamente scatenato ad opera di questo pazzo criminale e di chi, direttamente o indirettamente lo sostiene. Cosa si potrà mai fare ancora di più?

Non conosco i termini politici della questione terroristica degli Houthi, so soltanto una cosa, che mi diceva mio padre.

Quando capitava di ascoltare qualche notizia riguardante provocazioni fra nazioni, incidenti diplomatici, contrasti internazionali era solito commentare: “S’ag fis Mussolini, al faris n’a guera subita. Al cominciaris subit a bombardar”.  Ora c’è in giro per il mondo ben più di Mussolini, come minimo ne conto tre o quattro.

Non ho idea di dove si andrà a parare, certamente avremo conflitti a ciliegia. A noi resterà l’orgoglio di mettere in riga chi disturba. Guerra chiama guerra!

L’ignoranza trumpiana è crassa: questo imbecille, che ha incantato e incanta gli imbecilli, non ha capito o finge di non aver capito che la questione palestinese è centrale nei rapporti col mondo medio-orientale e non solo.  Sta mettendocela tutta per mettere a soqquadro tutti i già difficilissimi rapporti in essere.

Potrebbe essere il suo disastro: stia bene attento che col mondo islamico non si scherza. Personalmente prevedo a breve termine un evento traumatico tipo “Torri gemelle”, dopodiché … buon divertimento a tutti o meglio, buon inferno a tutti. Trump potrà illudersi di parlare a nuora (Russia) perché suocera (Cina) intenda; potrà tentare di mettere in buca l’Europa anche perché l’Europa non aspetta altro che di essere imbucata.

Col terrorismo islamico il discorso è molto diverso: le minacce e i fieri accenti servono a poco con chi non ha paura di morire. Pensa un po’ a che punto sono arrivato: non avrei mai pensato di fare paradossalmente il tifo per gli islamici. Chi sostiene Trump sappia che prima o poi potrebbe raccogliere non solo immigrazione aggiuntiva e fuori controllo, ma terrorismo bello e buono.  Vorrà dire che ce lo saremo voluto…