L’antidemocrazia perde il pelo, ma non il vizio

È finita l’epoca delle dittature in divisa, dei partiti unici, della censura dichiarata. Oggi gli autoritarismi si presentano in giacca e cravatta, vincono le elezioni e parlano il linguaggio della democrazia. Ma proprio mentre dicono di celebrarla, la svuotano dall’interno. È questa la tesi, lucida e inquietante, del saggio di Steven Forti, che apre il volume di MicroMega 4/2025 – “Sulle macerie della democrazia” – accompagnandoci in un viaggio tra le nuove forme del potere autoritario nel XXI secolo.

Siamo nel pieno di una nuova ondata di de-democratizzazione globale, la prima dalla fine della Seconda guerra mondiale. Eppure, molti regimi autoritari si presentano come democrazie, solo un po’ “illiberali”. In realtà, spiega Forti, siamo di fronte a regimi ibridi che mantengono le apparenze democratiche – elezioni, media, opposizioni – ma ne cancellano la sostanza: libertà, pluralismo, giustizia sociale. È il caso dell’Ungheria di Orbán, della Russia di Putin, della Turchia di Erdoğan, ma non solo.

Un saggio fondamentale per capire come muoiono oggi le democrazie, e soprattutto come possiamo accorgercene prima che sia troppo tardi.

Quando strumentalmente e/o snobisticamente si sottovaluta il discorso del neofascismo si commette un gravissimo errore: intendendo per fascismo il suo presupposto politico-culturale e non soltanto il suo esito istituzionale, bisogna ammettere che la macchia non si è assorbita, ma addirittura si è allargata sul piano geopolitico e, cosa ancora più grave, dal punto di vista etico.

Conversando telefonicamente con il mio carissimo amico Pino siamo arrivati alla conclusione che la gravissima malattia del mondo odierno, che intacca i rapporti umani, sociali e politici e da cui nascono tutte le più tragiche situazioni, è l’incapacità di relazionarsi con gli altri.

Scrive al riguardo una mia amica suora: “Occorre la consapevolezza che le relazioni autentiche si fondano sulla capacità di accogliere l’altro per ciò che è, lasciando che possa esprimersi liberamente, senza il timore di esser frainteso o giudicato, e trovando insieme un terreno comune su cui costruire un dialogo sincero. Solo aprendo uno spazio di autenticità e rispetto reciproco si può davvero contribuire a far crescere legami solidi e duraturi, nei quali il prendersi cura diventi una scelta quotidiana, capace di andare oltre il semplice ascolto per tradursi in atti concreti di attenzione e presenza, così da accompagnare l’altro nei diversi momenti della vita…”. 

Senza questo impegno relazionale si arriva, come diceva papa Francesco, alla globalizzazione dell’indifferenza. Vediamo tutto e niente ci scuote, come scrive Paolo Venturi in un bellissimo recente articolo apparso su “Avvenire”.

Se proviamo a passare in rassegna tutte le vicende e le contingenze che stiamo vivendo, abbiamo la dimostrazione del teorema di cui sopra.

Politicamente parlando il discorso si riflette sui massimi sistemi statuali: dalla globalizzazione dell’indifferenza a quella della mediatizzazione dei consensi per finire con quella della de-democratizzazione il passo è purtroppo breve e oserei dire automatico.

Per rimanere in casa Italia, peraltro influenzata dal resto del mondo, consiglierei a tutti di analizzare gli attuali indirizzi politico-governativi del nostro Paese per individuarne delle belle: dai bavagli all’informazione alla criminalizzazione delle opposizioni politiche e sociali, dalla sgangherata insofferenza per le proteste all’illusione di rendere sicura la convivenza tramite il perseguimento di un ordine sepolcrale, dalle ipotesi di riforma anticostituzionale allo svaccamento istituzionale, dalla “conflittualizzazione” dei rapporti con la magistratura allo svuotamento del ruolo parlamentare, dal fastidio verso la presidenza della Repubblica alla dissolvenza dell’unità nazionale, etc. etc.

Da parte mia esprimo serissime preoccupazioni a livello mondiale e nazionale: da qualsiasi parte mi volga vedo rischi esiziali per la democrazia, incarnati da personaggi penosamente incredibili e drammaticamente pericolosi.

Se non abbiamo il coraggio di ripartire daccapo tornando ai valori fondamentali, resteremo imprigionati nelle botteghe autoritarie, rinunciando a partecipare e scegliere o illudendoci di comprare il benessere dal peggior offerente.

 

Sarah ma non ci credo

«La Tradizione fa crescere la Chiesa dal basso verso l’alto, come le radici con l’albero. Ma oggi c’è un grande pericolo: quello di andare indietro, “l’indietrismo”, che porta a pensare secondo la logica: ‘si è fatto sempre così’». Indica questo rischio Papa Francesco incontrando in Vaticano i membri della Commissione teologica internazionale. (da Vatican news)

«La Tradizione è come un motore della storia: sia della storia in generale, sia di quella della Chiesa. Senza Tradizione vivente che permette la trasmissione della Divina Rivelazione, non potrebbe esistere la Chiesa stessa. Tutto ciò è in perfetta continuità con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II. C’è bisogno di superare un approccio ideologico che ha promosso due visioni della Chiesa che si alimentano l’una contro l’altra. Da una parte, c’è chi vorrebbe cancellare e rinnegare la Tradizione in nome di un’apertura-assimilazione incondizionata al mondo e ai suoi criteri di giudizio. Dall’altra, c’è chi considera la Tradizione come qualcosa di cristallizzato e mummificato che si sottrae a ogni processo fecondo della storia. La missione della Chiesa è unica e come tale occorre che sia adempiuta in pieno spirito di comunione. Diversi sono i carismi, ma la missione è una sola e presuppone la comunione». (cardinale Robert Sarah, prefetto emerito del Culto divino – intervistato da “Avvenire”)

Nella Chiesa cattolica, la Sacra Tradizione è la trasmissione orale e scritta della fede e degli insegnamenti di Cristo e degli Apostoli, che completa e interpreta la Sacra Scrittura. Essa comprende la dottrina, la vita, il culto e la pietà trasmessi dalla Chiesa di generazione in generazione dallo Spirito Santo, distinguendosi dalle “tradizioni umane” che possono essere non conformi al Vangelo.  È come dire tutto e niente.

«La religiosità del nostro popolo si esprime in atteggiamenti più cultuali che profetici, più devozionali che liturgici, più tradizionali che innervati dall’ascolto e dalla conoscenza della Parola di Dio» (d. T. Bello, vescovo e profeta)

Se i profeti si fossero appiattiti sulla tradizione non avrebbero svolto il loro compito: infatti spesso furono osteggiati se non addirittura emarginati e/o perseguitati. Qualcuno di essi non temeva di considerare le fedeltà alla tradizione come una croce.

«E’ la croce che porto per godere dei sacramenti. Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati, e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa» (don Lorenzo Milani e i rapporti con la Chiesa)

Il pericolo dell’indietrismo, evocato da papa Francesco, è sempre stato dietro l’angolo e temo che sia tornato in primo piano con il papato di Leone XIV. La preoccupazione per l’unità e la comunione ecclesiale è il dito dietro cui si nascondono i benpensanti della tradizione usata come clava della conservazione. Sono portato a credere che non si tratti di approccio ideologico, di contrapposizione manichea tra progressisti e conservatori, ma che tutto debba inquadrarsi nell’impegnativa ricerca a livello di prassi cristiana in cui ognuno ha il diritto/dovere di mettere in campo i propri carismi.

«a) La prassi cristiana ha una permanente difficoltà a focalizzare esattamente il giusto atteggiamento dei singoli e della comunità nei confronti del potere tecnico, economico e politico del mondo. b) La prassi cristiana fa fatica nel trovare il giusto atteggiamento nei confronti del corpo, del sesso, della famiglia. c) la prassi cristiana non riesce a trovare il giusto rapporto tra la speranza escatologico-messianica e le speranze, le aspettative degli individui e delle comunità, in relazione alla giustizia, ai diritti umani e così via» (card. Carlo Maria Martini, discorso tenuto a Vallombrosa nel 1984).

Azzardo un provocatorio esempio di assoluta fedeltà alla tradizione, prendendolo di seguito da un profeta del nostro tempo.

«Chi è divorziato non potrebbe comunicarsi, la stessa proibizione la dice l’Humanae vitae per una donna che prende la pillola, mentre chi ha milioni e milioni in banca la comunione la può fare» (p. Alex Zanotelli).

Un altro esempio di staticità tradizionalista lo colgo dalla succitata intervista al cardinale Sarah, riportandone un ulteriore passaggio significativo.

D: Vari episcopati hanno espresso perplessità su Fiducia supplicans, la dichiarazione sulla benedizione delle coppie “irregolari”, fra cui quelle dello stesso sesso. Che cosa lei si aspetta adesso?

R: Mi auguro che si possa chiarire meglio e forse riformulare quanto contenuto in Fiducia supplicans. La dichiarazione è teologicamente debole e quindi ingiustificata. Mette in pericolo l’unità della Chiesa. È un documento da dimenticare.

“Fiducia supplicans” (dall’inglese “supplicating trust” o “benedizioni supplicanti”) è il titolo di una dichiarazione pubblicata dal Dicastero per la dottrina della fede il 18 dicembre 2023, approvata da Papa Francesco, che ha definito la possibilità di impartire benedizioni a coppie in situazioni “non tradizionali” o “irregolari” (come le coppie omosessuali), senza che ciò implichi un’approvazione delle loro unioni o un cambiamento della dottrina cattolica sul matrimonio e la sessualità. Più moderati di così! Ebbene, non va bene nemmeno così…perché si metterebbe in pericolo l’unità della Chiesa: ma fatemi il piacere…

Allora, visto che la moderazione non basta, come la mettiamo con due pareri sull’argomento, certamente delicato, nettamente in controtendenza con la tradizione?

«Racconto la storia di una coppia. Lui aveva dedicato tutta la vita al compagno, lo aveva assistito con dedizione durante una lunga malattia. Il compagno è morto. Lui non aveva diritti. È stato sfrattato dalla casa dai parenti. Ti pare giusto? È la sincerità che comanda» (don Andrea Gallo).

«Non è male che due omosessuali abbiano una certa stabilità di rapporto e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili» (Cardinale Carlo Maria Martini).

Concludo: mi associo nel mio piccolo al grande cardinal Martini e – alla luce della inversione di tendenza che si coglie dall’aria che tira intorno a papa Leone XIV, nonché della sorta di secchiata di acqua gelida gettata sui sogni profetici di papa Francesco – faccio mia, con umile ma forte convinzione, la sua disincantata e stimolante affermazione testamentaria che riporto di seguito. «Sognavo una Chiesa giovane, oggi non ho più di questi sogni. La Chiesa che non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani (cfr Lc 15). La Chiesa che ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti» (Cardinale Carlo Maria Martini, “Conversazioni notturne a Gerusalemme).

Solo i pazzi combattono la pazzia

Ha 22 anni, frequenta una scuola per elettricisti, vive vicino alla famiglia e le sue opinioni politiche si sono radicalizzate solo di recente. L’identikit tracciato dalle autorità e dagli amici di Tyler Robinson, che ieri è stato arrestato e ha confessato di aver ucciso l’attivista conservatore Charlie Kirk, dipinge un giovane ordinario, il cui atto di violenza politica rischia però di dilaniare un Paese già profondamente diviso.

(…)

Eppure Tyler, che secondo le autorità ha agito da solo, deve aver organizzato a lungo il suo atto. Sui proiettili inesplosi rinvenuti, infatti, aveva inciso frasi di natura omofoba e antifascista. «Hey fascista! Prendi questo», recitava una. «Oh bella ciao, bella ciao», la seconda. «Se stai leggendo questo, sei gay. Lmao (laughing my ass off)», l’ultima. Il coinquilino di Robinson ha mostrato inoltre agli agenti dei messaggi di Tyler sull’app Discord nei quali l’amico descriveva un piano che prevedeva la necessità di recuperare un fucile da un punto di consegna, lasciarlo in un cespuglio avvolto in un asciugamano, incidere proiettili, procurarsi un mirino e usare un fucile «unico».

(…)

Dai vertici del governo americano, però, ieri non è giunto un messaggio di unità o riconciliazione. Donald Trump ha invece incoraggiato i suoi sostenitori a «dargliele a morte» alla sinistra, spiegando che la destra ne ha abbastanza di criminalità. Quindi ha annunciato che invierà la Guardia nazionale a Memphis, nel Tennessee, per «sistemare la situazione come abbiamo fatto a Washington».

E se Robinson voleva fermare l’azione dell’organizzazione politica conservatrice Turning Point Usa fra i giovani uccidendone il fondatore, ha fallito nel suo scopo: «Ho parlato con la moglie di Kirk. È devastata, ma vuole continuare a mandare avanti Turning Point», ha detto Trump in un’intervista.

«Spero che venga condannato a morte». In un clima incandescente in cui le parole “guerra civile” sono diventate fra le più usate sui social, Donald Trump si è augurato che il killer dell’attivista conservatore Charlie Kirk venga mandato al patibolo. Quindi ha ostentato il suo disinteresse a sanare le divisioni che dilaniano gli Stati Uniti. A una domanda su come «rimettere in sesto il Paese» e «riunirlo» dopo l’assassinio politico, il presidente Usa ha risposto: «Non me ne potrebbe importare di meno. I radicali di destra sono radicali perché non vogliono vedere criminalità e sono preoccupati per il confine. I radicali di sinistra sono il problema, sono feroci, orribili e politicamente esperti». Trump ha poi attribuito esplicitamente l’omicidio di Kirk alla «sinistra radicale» alla quale «dobbiamo solo dargliele a morte».

Dal suo podcast War Room, il commentatore di estrema destra Steve Bannon ha risposto all’appello del capo della Casa Bianca, definendo Kirk «il primo martire dell’America First». «Non possiamo tirarci indietro. Non possiamo vacillare», ha detto. Jen Golbeck, docente di informatica all’Università del Maryland citata da Reuters, ha riscontrato segnali di crescente radicalizzazione in oltre 3.000 post su X e sul forum pro-Trump Patriots.Win.
«L’intero Partito Democratico deve morire subito!» ha scritto un utente anonimo. «Questo è l’incendio del Reichstag», ha detto un altro, riferendosi all’incendio doloso del 1933 che contribuì all’instaurazione del regime nazista in Germania. «È ora di porre fine alla democrazia», recitava un commento.

Intanto il Dipartimento di Stato annunciava nuovi provvedimenti contro gli stranieri negli Stati Uniti che si ritiene stiano «lodando, razionalizzando o prendendo alla leggera» la morte di Kirk. In un post, il vicesegretario di Stato Christopher Landau ha invitato gli utenti di X a segnalargli casi del genere perché possa far capire a questi stranieri che «non sono benvenuti». (da “Avvenire” – Elena Molinari)

Come volevasi dimostrare. Siamo alla frutta. Bisogna ricorrere ai peggiori dittatori della storia per trovare simili espressioni. E noi italiani abbiamo un premier che si onora di esserne la migliore amica…E noi europei non abbiamo il coraggio di prenderne le distanze…

Pensate, un presidente americano al quale non frega niente di «rimettere in sesto il Paese» e «riunirlo» dopo l’assassinio politico. I casi sono due: o gli americani sono letteralmente impazziti e stanno trascinando nella loro follia tutto il mondo occidentale oppure c’è un lucido disegno di porre fine alla democrazia. Probabilmente le due ipotesi sono compatibili e si integrano a vicenda.

Pensate, c’è qualcuno in Italia che ringrazia Trump per avere avuto, tutto sommato, la mano leggera sui dazi verso l’Europa. Qualcuno, simile a quei signori che godevano del terremoto per farvi sopra i propri affari, ritiene che per i prodotti italiani tutto il male non venga per nuocere (c’è chi a livello dazi, sta peggio di noi…).

Pensate, stiamo buttando in malora decenni di democrazia per andare dietro ad un delinquente che fa i cazzi suoi, mettendo a soqquadro, direttamente o indirettamente, il mondo intero. Oltre tutto si vede lontano un miglio che è un burattino. Forse lo capiscono i soggetti psicologicamente più fragili che reagiscono scompostamente: sì, perché siamo fuori dalla realtà, stiamo facendo un brutto sogno e non so cosa occorrerà per farci uscire dal tunnel in cui ci siamo infilati.

Non capiremo mai cosa ci sia dietro questo attentato: probabilmente la dimostrazione che solo i pazzi trovano la forza di combattere la pazzia.

 

La Chiesa e i tradizionalisti di Pisa

Il Vescovo della diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno Mariano Crociata ha firmato oggi 4 settembre il decreto di sospensione a divinis nei confronti di Don Leonardo Pompei, che ricopriva l’ufficio di Parroco di Santa Maria Assunta in Cielo in Sermoneta.

È una sanzione disciplinare impartita ai sacerdoti colpevoli di gravi mancanze disciplinari. Al sacerdote sospeso è vietato amministrare i sacramenti, il che include tra l’altro la celebrazione della messa e la confessione.

Il decreto del vescovo Crociata prevede dunque la sospensione del Rev. Don Leonardo Pompei «da tutti gli atti della potestà di ordine, da tutti gli atti della potestà di governo e dall’esercizio di tutti i diritti o funzioni inerenti all’ufficio. Qualunque atto di governo dovesse essere posto dal presbitero in parola è da ritenersi invalido. Al Rev. Don Leonardo Pompei è concessa la dispensa dall’obbligo di portare l’abito ecclesiastico ed è chiesto di non presentarsi pubblicamente come sacerdote».

Infine, come previsto dalle norme canoniche, il decreto del Vescovo ricorda a Don Pompei che deve osservare tutti gli obblighi dei chierici e astenersi nel modo più assoluto da tutto ciò che è sconveniente allo stato clericale.

Il Vescovo Mariano Crociata ha firmato il provvedimento di sospensione in quanto il Rev. Don Leonardo Pompei «è venuto meno in forma positiva e pubblica all’obbligo di obbedienza al suo Ordinario, per cui il passo successivo è stato quello della sospensione dal ministero presbiterale».

Il sacerdote avrebbe violato il precetto penale impostogli il 2 settembre scorso dal Vescovo, «che imponeva e ordinava al presbitero, sotto pena di sospensione, di non convocare alcun incontro o assemblea parrocchiali con i fedeli della parrocchia di S. Maria Assunta in Cielo in Sermoneta, e di sospendere qualunque tipo di attività sui social media».

Il 3 settembre sera però Don Pompei ha violato il precetto penale a suo carico ed è andato online con un incontro pubblico su YouTube. L’incontro online in diretta su YouTube è dunque costato la sospensione a divinis al parroco di Santa Maria Assunta in Cielo. La diretta su YouTube è stata soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La tensione tra il sacerdote e il vescovo andava avanti da tempo.

Dopo un periodo di confronto tra il vescovo Crociata e Don Pompei, quest’ultimo lo scorso 29 agosto, e poi il 3 settembre, aveva comunicato in forma scritta a mons. Crociata la volontà di dimettersi da Parroco.

Don Pompei dichiarava di non sentirsi più in comunione con il Vescovo Diocesano e con la gerarchia della Chiesa e di non intendere più celebrare la messa secondo la liturgia del Concilio Vaticano II. Proprio di questo, tra l’altro, ha parlato nel suo intervento online.

Don Leonardo Maria Pompei è molto attivo sui canali social, ha infatti un profilo Facebook, un canale YouTube con 76.500 iscritti, un proprio sito internet e anche un canale Telegram. Dalle pagine social ha sempre manifestato apertamente le sue posizioni in contrasto con alcune direttive del Concilio Vaticano II. Le sue posizioni “tradizionaliste” lo hanno messo in contrasto con le aperture più moderne della Chiesa, in materia di liturgia e catechesi.

La diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno fa sapere che circa quanto Don Leonardo ha dichiarato su YouTube, sarà il Dicastero per la Dottrina della Fede, competente per materia, a valutarne le implicazioni con le relative ed eventuali decisioni in merito.

Il Dicastero per la Dottrina della Fede, in antichità noto come Santa Inquisizione, ha due sezioni, una dottrinale e una disciplinare. Tra i provvedimenti disciplinari più gravi che può prendere c’è la scomunica.

Il Vescovo di Latina ha affidato la cura pastorale della comunità di S. Maria Assunta in Cielo in Sermoneta a Don Giovanni Castagnoli, in qualità di Amministratore parrocchiale (restando sempre Parroco di Pontenuovo e Tufette, in Sermoneta). (Il Caffè.tv – Latina – Carla Mastrella)

Ad occhio e croce penso di essere molto distante dalle idee portate avanti da questo sacerdote “ribelle”, ma anche per me e per la Chiesa dovrebbe valere l’aforisma “Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente” attribuita più o meno correttamente a Voltaire.

Non condivido affatto questi metodi autoritari: il dialogo e la tolleranza dovrebbero sempre e comunque prevalere. Nel caso in questione si può dire che il tradizionalismo viene combattuto con le armi del tradizionalismo: per don Pompei è una beffa, per il vescovo di Latina una ingiusta ed inutile rivalsa.

Gamaliele fu un influente maestro fariseo che ebbe un ruolo ambiguo ma importante nei confronti dei primi cristiani: consigliò al Sinedrio di non ostacolare gli apostoli, prevedendo che la loro opera si sarebbe dissolta se umana. Mi sembra che il consiglio di Gamaliele mantenga a contrariis tutta la sua saggia efficacia: è inutile accanirsi contro chi professa idee provenienti dal tradizionalismo spinto ai limiti dell’indietrismo, meglio lasciare che queste proposte facciano il loro tempo, poi si vedrà…

Di questi atteggiamenti intolleranti della gerarchia sono storicamente e generalmente vittime i progressisti: spesso e volentieri il tempo ha dato loro ragione. Non voglio tuttavia entrare nel merito del pensiero di don Pompei, mi dispiaccio dei rigidi provvedimenti adottati nei suoi confronti, sintomo comunque di un clima sbagliato all’interno della Chiesa. Tanto più che, come appare dalle scarne cronache, il sacerdote stava già prendendo atto della sua difficile convivenza all’interno della Chiesa e intendeva dimettersi. Perché allora non lasciare che fosse lui a decidere in coscienza sul suo futuro: si è voluto dare una dimostrazione di rigorosa forza dottrinale? Ma fatemi il piacere…

Oltre tutto dal punto di vista tattico mi sembra comunque un autogol diocesano: se si voleva tacitare una voce dissenziente, al contrario si è finito per dare ad essa ancor più audience perlomeno mediatica.

In cauda venenum: probabilmente le idee di don Pompei sono le stesse di tanti (purtroppo) esponenti delle gerarchie centrali e periferiche; sono quei signori che hanno dato tanto fastidio a papa Francesco con la differenza che loro sono furbi e tramano nell’ombra magari nelle stanze vaticane, forse persino nell’odierna Santa Inquisizione, che scomunicherà questo sacerdote che ha comunque avuto il coraggio di andare allo sbaraglio.

D’altra parte, udite, udite!

Torna nella Basilica di San Pietro la Messa celebrata con il rito antico, ossia con il Messale tridentino nell’edizione del 1962 di Giovanni XXIII. Lo annunciano i rappresentanti del “Popolo Summorum Pontificum” che riunisce fedeli, sacerdoti e religiosi che sostengono la forma extraordinaria del rito romano. La Messa all’altare della Cattedra che sarà presieduta dal cardinale statunitense Raymond Leo Burke è in programma sabato 25 ottobre alle 15 e rientra nel pellegrinaggio “Ad Petri Sedem” che il sodalizio promuove a Roma dal 24 al 26 ottobre e che quest’anno si tiene in occasione del Giubileo.

Il gruppo riunisce quanti «in più di 100 Paesi desiderano continuare a vivere la loro fede cattolica al ritmo della liturgia e del catechismo tradizionali», spiega sul web Christian Marquant, coordinatore del Coetus Internationalis Summorum Pontificum. (da “Avvenire”)

Forse al termine della celebrazione verrà portato virtualmente in trionfo don Leonardo Pompei e il vescovo di Latina rimarrà con un palmo di naso. È tutta una penosa sfida fra tradizionalisti nel metodo e nel merito: alla fine vanno perfettamente d’accordo. I tradizionalisti di Pisa.

Non simpatizzo per le intuibili idee “pompeiane”, provo (quasi) ribrezzo per le manifestazioni dei nostalgici, ai quali forse non interessa tanto la messa col rito antico, ma una Chiesa comodamente sprofondata nell’indietrismo per chiudere gli occhi sulle responsabilità dell’oggi e del domani.

Tuttavia a don Pompei mi permetto di esprimere tutta la mia simpatia: tra contestatori, pur di opposte tendenze, un po’ ci si intende…

Iago al potere, Otello all’opposizione

Charlie Kirk, l’attivista e podcaster statunitense ucciso mercoledì durante un incontro pubblico in un’università dello Utah, era uno dei più importanti alleati politici del presidente Donald Trump. Con la sua organizzazione Turning Point USA, fondata nel 2012 quando aveva appena 18 anni, Kirk era diventato di fatto il leader dell’ala giovanile del movimento MAGA (Make America Great Again, lo slogan di Trump), e con il suo podcast e i suoi contenuti sui social era riuscito a trasformare i media di destra negli Stati Uniti, acquisendo una grande influenza.

(…)

Questo atteggiamento, comune ad altri polemisti della destra ed estrema destra statunitense, è noto con lo slang own the libs, traducibile come “sottomettere i progressisti”, ed è diventato particolarmente esaltante per la base conservatrice.

Per “own the libs”, Kirk usava spesso argomenti estremisti e spiazzanti, che lasciavano interdetti i suoi interlocutori ed eccitavano i suoi sostenitori. Tra le altre cose, disse che Martin Kuther King era «una cattiva persona», che la legislazione sui diritti umani era stata «un errore», che la Palestina «non esiste», e che le donne dovrebbero rinunciare alla carriera lavorativa per dedicarsi ai figli, e sposarsi «prima dei 25 anni». Nel 2023 disse che valeva la pena «sostenere il costo di alcune persone uccise con armi da fuoco ogni anno» per difendere il diritto degli statunitensi di portare armi.  (da “Il Post”)

Perché la battaglia politica è diventata così tremenda? Da una parte la negazione dei diritti umani pur di rendere possibile il raggiungimento del potere intossicando i cuori e i cervelli; dall’altra parte la vendetta con lo scopo di ristabilire un po’ di ordine a livello ideologico. E magari da entrambe le parti c’è persino un simulacro di buona fede. Voglio sperare di sì, perché altrimenti saremmo veramente alla fine dell’umanità oltre che della democrazia: il fatto grave è infatti che non si tratta di episodi, ma di una nuova impostazione politica che ha portato Donald Trump alla presidenza degli Usa in base alla menzogna scientificamente cucinata e finanche accettata dall’Occidente democratico e che affida alla folle e disperata violenza fisica il ripristino di un briciolo di verità democratica.

Ecco perché ritengo questo attentato un fatto gravissimo: rischia di essere la velenosa e sanguinosa consacrazione di un equilibrio instabile su cui galleggia la politica. Non ne sono sorpreso: immaginavo che l’elezione di Trump potesse portare a questa deriva, pensavo però più a scontri terroristici di livello internazionale. Evidentemente il terrorismo ha altro a cui pensare, persegue interessi geopolitici tali da considerare Trump un semplice momentaneo inciampo (salvo complicazioni in campo palestinese).

Invece si sta scatenando la tempesta ideale (?) e temo che non ci sia più possibilità di quiete: una tempesta infinita che segna la fine dei valori in nome dei valori.  Il successo elettorale è fine a se stesso e sembra una strada senza ritorno. Tanto vale sparare: che disastro!

 

 

L’antidoto europeo per l’arbitrio internazionale

Due forti esplosioni sono state udite a Kiev e una colonna di fumo si è alzata sulla città mentre si stava concludendo la conferenza stampa del presidente ucraino Zelensky e del segretario generale dell’Onu Guterres. Uno dei missili ha colpito un edificio residenziale al piano terra e ha “causato vittime”, secondo le prime testimonianze. Si tratta di tre feriti. Guterres si è detto “sconvolto, non perché ci fossi io, ma perché Kiev è una città sacra sia per gli ucraini che per i russi”. Il presidente Zelensky ha aggiunto che si è trattato di un raid russo mirato “a umiliare l’Onu”. (notizie di agenzia – aprile 2022)

(…)

I civili affamati si riuniscono in folle enormi, in attesa del permesso di avvicinarsi. In molti casi, le truppe israeliane hanno aperto il fuoco sulle masse – e persino durante la distribuzione stessa – uccidendo decine di persone che cercavano di raccogliere qualche chilo di farina o di scatolame da portare a casa in quelli che i palestinesi hanno soprannominato «Hunger games», giochi della fame. Dal 27 maggio, secondo il portavoce della protezione civile di Gaza, Mahmoud Basel, oltre 400 palestinesi sono stati uccisi e più di 3mila feriti mentre aspettavano gli aiuti. Il singolo attacco più letale contro i richiedenti aiuti si è verificato il 17 giugno, quando le forze israeliane hanno sparato con carri armati, mitragliatrici e droni su una folla di palestinesi a Khan Younis, uccidendo 70 persone e ferendone centinaia. (“Il Manifesto” maggio – giugno 2025)

(…)

Dal suo insediamento, come dimostrano diversi rapporti, Donald Trump ha preso di mira i minori guatemaltechi che arrivano negli Stati Uniti non accompagnati, con il fine dichiarato di operare un’espulsione di massa, rimandandoli in Guatemala dove gli avvocati dei minori affermano che sarebbero a rischio di abusi e persecuzioni. Gli avvocati hanno definito il piano dell’amministrazione Trump “abuso sui minori”, “espulsione illegale” e “violazione del diritto al giusto processo” per questi minori. (“Il Manifesto” – settembre 2025)

(…)

Un nuovo attacco – presumibilmente con un drone – ha colpito la Global Sumud Flotilla per la seconda volta in 48 ore. L’imbarcazione Alma, che batte bandiera britannica, è stata presa di mira la scorsa notte nelle acque tunisine al largo di Sidi Bou Said, nella periferia nord di Tunisi, provocando un incendio sul ponte superiore poi domato. Nessun ferito tra passeggeri ed equipaggio. L’episodio è stato confermato anche da Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nella Palestina occupata: la diplomatica italiana ha condiviso un post che descrive nei dettagli il secondo raid alla flottilla: “Le prove video suggeriscono che un drone, privo di luce e quindi non visibile, abbia sganciato un dispositivo che ha incendiato il ponte della barca Alma”, ha detto Albanese. “Fonti esperte suggeriscono che si trattasse di una granata incendiaria avvolta in materiali plastici immersi nel carburante, che avrebbe potuto incendiarsi prima di atterrare sulla nave”, ha aggiunto. “Questi ripetuti attacchi si verificano nel contesto dell’intensificarsi dell’aggressione israeliana contro i palestinesi a Gaza e costituiscono un tentativo orchestrato di distrarre e far deragliare la nostra missione”, denuncia la Global Sumud Flotilla. Saif Abukeshek, membro del comitato direttivo della GSF, punta il dito contro Israele, il quale “continua a violare il diritto internazionale e a terrorizzarci. Navigheremo per rompere il blocco su Gaza, qualunque cosa facciano”. L’esercito israeliano non ha risposto alle richieste di commento di Reuters, così come la Guardia Costiera tunisina. (fanpage.it – settembre 2025)

Sono soltanto alcuni emblematici esempi di come ormai al diritto internazionale si sostituisca clamorosamente l’arbitrio internazionale. Si spara, in un certo senso, sull’Onu, sulla Croce Rossa, sui soggetti più deboli, su chi osa alzare la voce. È saltata ogni e qualsiasi parvenza di legalità.

Il diritto internazionale è l’insieme di norme e principi che regolano le relazioni tra gli Stati e le organizzazioni internazionali, disciplinando aspetti commerciali, sociali, economici e di pace nella comunità globale. Deriva da trattati e consuetudini e si basa sul consenso degli Stati, mirando a promuovere la stabilità e la cooperazione internazionale.

Non c’è più niente!  Vivere in un mondo di questo genere è veramente un’ardua impresa. Volenti o nolenti l’unica istituzione che può salvarci da questa deriva totale è l’Europa e l’unica voce che ci viene in soccorso è quella del Presidente Mattarella. Vale la pena di prenderla in seria considerazione per non cadere nello sconforto.

“Il mondo ha bisogno dell’Europa. Per ricostruire la centralità del diritto internazionale che è stata strappata. Per rilanciare la prospettiva di un multilateralismo cooperativo. Per regole che riconducano al bene comune lo straripante peso delle corporazioni globali — quasi nuove Compagnie delle Indie — che si arrogano l’assunzione di poteri che si pretende che Stati e Organizzazioni internazionali non abbiano a esercitare”. È il giorno di Sergio Mattarella al forum Teha di Cernobbio, che, nel videomessaggio inviato, difende innanzitutto l’Europa — che è “necessità e responsabilità” — in un periodo storico di grandi critiche ma al contempo ricco di grandi sfide.

 “C’è bisogno di istituzioni europee più forti, di volontà di governi capaci di non arrendersi a pericoli e regressioni che non sono ineluttabili. L’Europa, con i suoi traguardi di civiltà, è il testimone che possiamo, e dobbiamo, trasmettere alle nuove generazioni”, ha detto il presidente della Repubblica.

 L’Unione europea, per il capo dello Stato, si è “affermata come un’area di pace e di cooperazione capace di proiettare i suoi valori oltre i suoi confini, determinando stabilità, benessere, crescita, fiducia. Non ha mai scatenato un conflitto, non ha mai avviato uno scontro commerciale. Al contrario, ha agevolato intese e dispiegato missioni di pace. Ha contribuito a elevare standard di vita, criteri di difesa del pianeta — ha aggiunto —. Ha promosso incontri e dialoghi e ha alimentato libertà nei rapporti internazionali, eguaglianza di diritti tra popoli e Stati: condizioni e causa di progresso. Si pone, quindi, anzitutto, una domanda, prima di ogni altra”.

Poi: “Come è possibile, su queste basi, che l’Europa oggi venga considerata da alcuni un ostacolo, un avversario se non un nemico? Quali sono le ragioni, gli interessi di fondo, i principi sui quali si basa la convivenza civile e i traguardi raggiunti dai popoli europei che qualcuno considera disvalori? È soltanto affrontando con lucidità interrogativi di questa natura che potremo trovare risposte esaurienti, utili a illuminare le scelte che siamo chiamati a compiere, pena la irrilevanza e la regressione rispetto ai risultati sin qui raggiunti”.

L’intervento al forum di Cernobbio è stata anche l’occasione per tornare ad accusare lo strapotere delle big tech, “corporazioni globali” che si comportano quasi come “nuove Compagnie delle Indie” e “si arrogano l’assunzione di poteri che si pretende che Stati e Organizzazioni internazionali non abbiano a esercitare. L’incrocio tra le ambizioni di quelle, e l’impulso di dominio, di impronta neo-imperialista, che si manifesta da parte dei governi di alcuni Paesi, rischia di essere letale per il futuro dell’umanità”. (lespresso.it – settembre 2025)

Gli stronzoni alla riscossa

L’altro ieri la sfiducia di Michel Barnier, ieri quella di François Bayrou, e domani? Domani, fuori dall’Assemblée Nationale, sarà il giorno delle piazze: un 10 settembre all’insegna dello slogan bloquons tout (blocchiamo tutto), parola d’ordine performativa nata e lievitata sui canali Telegram, sulle pagine Facebook e le storie di Instagram, una data venuta dal basso alla quale si sono presto associati il partito più importante della sinistra francese, La France insoumise, e numerose federazioni della Cgt, nonostante la direzione del sindacato abbia preferito, all’ultimo, convocare una piazza propria con altre organizzazioni il 18 settembre.

Così, tra l’instabilità del palazzo e l’incognita delle strade, prende avvio questo autunno francese, con sullo sfondo le elezioni municipali del 2026 e le presidenziali del 2027. Nella bufera che s’annuncia la sinistra francese arriva in ordine sparso: siamo ormai ben lontani dall’unità del programma del Nuovo fronte popolare che nell’estate del 2024 aveva portato al primo posto come coalizione nelle urne.

La France insoumise ha scelto di spendersi a fondo nelle mobilitazioni del 10 settembre e in tutte quelle che seguiranno. Ad agosto, quando la data ha cominciato ad assumere consistenza, Jean-Luc Mélenchon ha invitato gli insoumis a «mettersi al servizio» del movimento, pur riconoscendo che «quest’iniziativa, così come quella dei Gilet gialli a suo tempo», per avere successo dovrà «costruirsi al di fuori di ogni quadro politico o sindacale. Se troverà una dinamica, sarà per se stessa». La «dinamica», per Lfi, sarebbe quella di «una fase “destituente”», che può «perfettamente funzionare se il governo è preso in tenaglia tra questo movimento» e la sfiducia al governo.

La prima morsa della tenaglia si è già stretta; domani, pensano gli insoumis, si metterà in movimento la seconda. Quello che Lfi vuole è “la partenza di Macron”, come ha detto ieri in tv Manuel Bompard, coordinatore Lfi. È l’inquilino dell’Eliseo «a essere il punto di blocco della situazione», ha detto Bompard. (da “Il Manifesto” – Filippo Ortona – Parigi)

La convivenza degli italiani con i cugini francesi e viceversa non è mai stata troppo facile e serena: ci si odia cordialmente. Ricordo come mia sorella, nella sua solita schiettezza di giudizio, una volta si lasciò andare e parlò di “quegli stronzoni di Francesi”: forse non sbagliava di molto.   Un conto è essere superiori su basi oggettive, un conto è ritenersi aprioristicamente migliori. Sono convinto che la Francia, come del resto l’Italia, abbia parecchi scheletri nell’armadio da nascondere e invece di cercare l’alleanza con i Paesi più simili, con cui instaurare collaborazioni e solidarietà, ha preferito la fuga in avanti verso la Germania: della serie “è meglio leccare i piedi ai tedeschi” che condividere “la puzza dei piedi” con gli italiani.

Non ho simpatia per i francesi e oltretutto non conosco la situazione politica della Francia, però riconosco ai cugini due virtù che, nel tempo, sono venute a mancare agli italiani: la capacità di rifiutare le rischiosissime chimere della destra mobilitandosi al bisogno sulla base di una sostanziale unità antifascista e l’umiltà di protestare sul piano sociale partendo dal basso.

Qualcuno sta dicendo che l’Italia è in vantaggio sulla Francia in quanto dotata di un assetto politico-governativo stabile, senza considerare che tale stabilità è ottenuta a prezzi esorbitanti sul piano democratico (lo sdoganamento del neofascismo), sul piano politico (una sinistra insipida e inconcludente) e sul piano sociale (la devitalizzazione delle forze sociali e lo svuotamento delle piazze).

Preferisco l’instabilità delle e nelle piazze piuttosto della stabilità nei e dei cimiteri. Tutto sommato invidio i Francesi per la loro meritoria reattività, che si esprime nelle mobilitanti proteste e in una sinistra politica capace, pur tra inevitabili divisioni, di attaccamento radicale a certi valori e principi.

Ci sarà sicuramente più di un pizzico di demagogia nelle piazze e un po’ di strumentalizzazione da parte della sinistra, ma sempre meglio del masochistico realismo della gente italiana e della sinistra del nostro Paese con la puzza sotto il naso. In Francia c’è movimento mentre in Italia c’è stabilità.

Può darsi che il blocco totale della Francia non porti risultati concreti e che il partito de La France insoumise finisca con un palmo di naso davanti alle macroniane acrobazie. Ci avranno almeno provato e chissà che, prova oggi prova domani, qualcosa possa succedere.

Stiamo tirando la volata al terrorismo

Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza. Se c’era bisogno di un’ulteriore verifica per questa verità, ecco l’attentato terroristico a Gerusalemme. Sì, perché, quando di mezzo c’è anche la variabile impazzita del terrorismo, il discorso diventa ancor più tragicamente realistico.

La guerra perpetua non può essere però il destino della terra cara a tre religioni che predicano pace. Israele di fatto ha vinto militarmente, un 7 ottobre non potrà ripetersi, mentre non c’è modo di evitare al cento per cento singoli episodi. Continuare a uccidere e lasciare morire donne e bambini a Gaza costituisce un crimine in sé e finirà con il costringere Israele a chiudersi in un’armatura certo efficace quale protezione, avendo tuttavia diluito quel capitale di amicizia e sostegno che ne ha fatto un piccolo-grande Paese apprezzato per la sua storia, la sua cultura e la sua democrazia. Oggi più che mai gli estremisti arabi sono avvelenatori del loro stesso popolo: vanno isolati e disarmati. Lo Stato ebraico – che soffre, è lacerato al suo interno e non sa fermare un conflitto devastante – viene chiamato nelle ore più drammatiche a scelte, come l’accettazione di una tregua, che ridiano una speranza alla convivenza e un’occasione per costruire di nuovo insieme ai suoi alleati un futuro più sereno. Un futuro che veda placarsi il tornado di odio e violenza che ora lo sovrasta. (da “Avvenire” – Andrea Lavazza)

Il terrorismo non si combatte con la più larga e spietata delle vendette, non solo per motivi etici, ma anche per due ragioni tattiche: nel terrorismo assieme ai fanatici trovano voce i disperati che con la guerra tendono ad aumentare; i terroristi poi non hanno paura di morire e quindi sono brutalmente ed inevitabilmente vincenti.

Dove vuol parare il governo israeliano? Pensa di sconfiggere Hamas allargando sempre più il conflitto? Si illude di risolvere il problema annientando tutto il popolo palestinese? Ritiene opportuno trasformare Israele in un bunker inattaccabile e inviolabile?

Il bunker, per dorato che sia, potrà resistere ai futuri attacchi dei rimasugli terroristico-palestinesi, ma isolerà (sta già avvenendo) il popolo israeliano da tutto il mondo andando contro la storia.

Il cosiddetto mondo democratico occidentale sta cadendo in questa trappola: non trova il bandolo della matassa e continua a pestare l’acqua nel mortaio degli appelli al vento. Gli Usa di Trump sembrano fare questo ragionamento: se questa guerra perpetua sta bene ad Israele, sta bene anche a noi, cerchiamo di trarne qualche vantaggio. Il discorso funzionerà finché la dimensione bellica non oltrepasserà i confini regionali per raggiungere un vero e proprio conflitto globale e finché il terrorismo non passerà dai bus israeliani agli aerei statunitensi.

I Paesi europei, che dovrebbero capire meglio i rischi, se non altro per motivi di vicinanza geografica, reagiscono a parole, ma finiscono col chinare il capo, cavalcando magari la mentalità di chi trova conferma dagli eventi terroristici per convincersi della impossibilità di puntare almeno ad una tregua.

Persino la Chiesa cattolica balbetta: dichiara apertamente che la guerra è il peggiore dei mali e poi si rassegna diplomaticamente (?) alle mosse della sterile realpolitik.

Nemmeno eventuali attacchi terroristici in grande stile potranno scalfire la scorza del fatalismo bellico: tutti si chiuderanno ancor di più nei loro gusci. Il terrorismo avrà sostanzialmente vinto dando l’illusione di essere isolato mentre isolati saremo tutti noi.

Cosa potrà rompere questo circolo vizioso della guerra? Il circolo virtuoso della pace costruito sulle coscienze. Papa Francesco lo aveva capito e puntava lì tutte le sue cartucce evangeliche. Purtroppo lui non c’è più e il ricordo del suo messaggio profetico lo stanno mettendo negli archivi vaticani.

 

L’applausometro sepolcrale

Flavia Pennetta ex tennista, venuta a rendere omaggio alla salma di Giorgio Armani assieme al marito Flavio Fognini anche lui ex-tennista, ha detto una frase che mi ha letteralmente stordito: “Noi avremo un compito, quello magari con le nostre bambine di far capire che cos’è l’eleganza, quello che Armani è stato per tutti noi e continua ad esserlo”.

Qualche tempo fa mi è capitato di ascoltare involontariamente le chiacchiere di un gruppo di mamme in attesa dell’uscita dalla scuola elementare delle proprie figlie. Una di esse ostentava le proprie lamentele per l’eccessivo carico educativo a cui era sottoposta sua figlia: «Al lunedì e mercoledì scuola di musica, al martedì e al giovedì lezioni di danza classica, al venerdì e al sabato lezioni di inglese…dulcis in fundo era arrivata la goccia che rischiava di far traboccare il vaso, vale a dire il catechismo in parrocchia. Non se ne poteva proprio più…». Mi friggeva la lingua, ma mi sono trattenuto, avrei voluto dirgli: «Lei ha messo all’ultimo posto il catechismo non tanto in ordine di tempo, ma di importanza: rifletta sul fatto che dovrebbe stare al primo posto nella scala educativa, ben prima di tutti gli altri impegni…».

Don Raffaele Dagnino sarebbe stato ancor più provocatorio con quella mamma “moderna”, rivolgendole questo categorico invito: “Sarà zôgh c’la porta so fiôla a la scôla dilj òpri bón’ni…”.

Torno a Giorgio Armani ed al clamore suscitato dalla sua morte e dalla sua conseguente eredità culturale: ho sentito dire cose assurde del tipo che Armani avrebbe cambiato la nostra società. Ormai abbiamo perso il senso della misura e delle proporzioni.

Lungi da me sottovalutare il genio imprenditoriale di questo personaggio ed il suo contributo alla vita economica del Paese, ma cerchiamo di essere seri e di non farci prendere dalla smania di santificazione laica proprio nei giorni in cui la Chiesa cattolica ha santificato religiosamente due giovani della porta accanto, magari poco eleganti nelle loro scelte ma molto significativi nei loro messaggi esistenziali.

D’altra parte i funerali ormai comportano l’applauso facile: sotto sotto è un modo per esorcizzare la morte affidando il morto all’eterno (sic!) successo mondano. E pensare che il mio carissimo amico sacerdote don Luciano Scaccaglia veniva aspramente criticato per l’invito che rivolgeva ai partecipanti alla messa di applaudire alla proclamazione della Parola di Dio.

Ho apprezzato che Giorgio Armani abbia voluto funerali in forma privata: ci ha risparmiato un ulteriore fuorviante bagno di folla. Molto più saggio lui delle migliaia di suoi fans, che hanno dato aria ai denti in attesa di omaggiare la sua salma. La nostra società soffre la mancanza di valori assoluti e si attacca a quelli relativi.

Mio padre amava mettere a confronto il fanatismo delle folle di fronte ai divi dello sport e dello spettacolo con l’indifferenza o, peggio, l’irrisione verso uomini di scienza o di cultura. Diceva: “Se a Pärma a véna Sofia Loren i corron tutti, i s’ mason par piciär il man, sa gnìss a Pärma Fleming i gh’ scorzarisson adrè.”

Con tutto il rispetto per Sofia Loren credo che Giorgio Armani abbia fatto qualcosa in più, ma il ragionamento di mio padre era un altro: stiamo attenti a non incoronare re un personaggio nobile ma di portata ben più limitata.

A proposito di re mi sovviene la riflessione del cardinale Angelo Comastri sul terzo mistero doloroso del Rosario: l’incoronazione di spine di Gesù. Dice il cardinale: “Pensate quante corone mettiamo sul capo di personaggi mondani…sulla testa di Dio che ci viene a salvare ne mettiamo una di spine…”.

Chiedo scusa a Giorgio Armani anche perché non gli hanno fatto un gran servizio, probabilmente meritava ben altro che il superficiale bagno mediatico a cui è stata sottoposta la sua persona.

 

 

 

 

 

Porcherie anti-evangeliche e puttanate anti-etiche

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha accolto a braccia aperte l’omologo israeliano per sottolineare la «intensa amicizia» che legherebbe il Belpaese allo Stato ebraico, per poi lasciare che fosse Giorgia Meloni a fare gli onori di casa, ricevendo Herzog a Palazzo Chigi. Isaac Herzog, classe 1960, è presidente di Israele dal 2021. Come il primo ministro Netanyahu, su cui pende un mandato di arresto internazionale con l’accusa di aver commesso crimini di guerra, Herzog è uno dei più fervidi sostenitori di posizioni razziste nei confronti dei palestinesi, come dimostrato all’indomani del 7 ottobre, quando definì «l’intera nazione responsabile» degli atti di quello che Israele definisce «terrorismo».

Il presidente Herzog è stato ricevuto al Quirinale da un sorridente Sergio Mattarella, accompagnato da una banda che ha intonato l’inno dello Stato ebraico. Il quarto incontro tra i vertici delle due Nazioni si è caratterizzato per una conversazione intrisa di retorica vuota, all’insegna delle solite dichiarazioni di propaganda. L’amicizia tra Italia e Israele è solida e l’Europa è unita nella lotta contro il dilagante antisemitismo «che ha ripreso a circolare». Mattarella si è augurato che il cessate il fuoco tra Hamas e Tel Aviv riesca a tenere, permettendo così di compiere i passi necessari per garantire una «concreta prospettiva di futuro per i palestinesi», per la quale l’Italia si dice pronta a dare il proprio contributo. A chiudere i colloqui, la classica formula retorica ad effetto con la struttura incrociata: «non c’è pace senza sicurezza, ma non c’è sicurezza senza pace». (20 febbraio 2025 – L’INDIPENDENTE – Dario Lucisano)

Mi aveva, a dir poco, irritato il trattamento amichevole riservato da Sergio Mattarella al Presidente israeliano, peraltro in netta controtendenza rispetto alle posizioni assunte dal nostro Presidente in materia di politica estera spesso in dissonanza con gli indirizzi dell’attuale governo italiano. Evidentemente funziona a prova di Quirinale la conventio ad tacendum riguardo al genocidio messo in atto da Israele nei confronti dei palestinesi.

Se mi aveva sorpreso e contrariato il comportamento omertoso di Mattarella, figuriamoci cosa avrò provato di fronte a quello di papa Leone XIV, che ha ricevuto Herzog con tutti gli onori e i riguardi possibili.

L’udienza concessa al capo dello Stato di Israele, Isaac Herzog, non è ordinaria nemmeno per la tradizione spregiudicata del potere papale: non ha la prudenza né la saggezza. La bandiera israeliana nel cortile di San Damaso, gli onori militari resi dalla Guardia svizzera, la stretta di mano davanti ai fotografi, lo scambio dei doni, il tenore del comunicato stampa: ognuna di queste cose è uno scandalo (cioè, letteralmente, una pietra d’inciampo: specie per i cristiani). Perché Herzog rappresenta uno stato genocida: e papa Francesco – in sintonia con la scienza giuridica e la coscienza del mondo – chiamava ‘genocidio’ quello in corso a Gaza. E le parole e le azioni personali del presidente sono tra le prove del genocidio. Fu Herzog, tra l’altro, a dire: «è un’intera nazione là fuori che è responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera». È a questo che papa Leone ha dato legittimità morale: quella stretta di mano è una assoluzione in mondovisione.

Alla fine dell’incontro, Herzog ha tra l’altro detto: «L’ispirazione e la leadership del Papa nella lotta contro l’odio e la violenza e nella promozione della pace in tutto il mondo sono apprezzate e fondamentali. Attendo con interesse di approfondire la nostra cooperazione per un futuro migliore all’insegna della giustizia e della compassione». Un abbraccio mortale, sul piano morale. Aver permesso al capo dello stato genocida di Israele di mentire così efferatamente, e di farlo sulla tomba di san Pietro, è una macchia, grave, che rimarrà sulla storia della Chiesa. (da “Invisible Arabs” – Paola Caridi e Tomaso Montanari)

Da cattolico credente e praticante in totale onestà evangelica ed intellettuale mi sento di affermare che qui lo Spirito Santo c’entra come i cavoli a merenda: queste sono autentiche porcherie religiose e puttanate diplomatiche, che gridano vendetta al cospetto di Dio.

E questa sarebbe la continuità con papa Francesco? Bergoglio si scaravolterà nella tomba nel vedere il suo successore compiere simili scandalose scelte politico-pastorali. Non c’è continuità col papato bergogliano, ma semmai con quello pacelliano (la titubanza verso il nazismo) e wojtyliano (l’accettazione dell’ospitalità di Pinochet).

Porcheria religiosa commessa in senso anti-evangelico, puttanata diplomatica che toglie autonomia ed autorevolezza all’azione vaticana. Mi chiedo: cosa ne penserà il cardinale Pizzaballa così coinvolto nelle problematiche della Terra Santa, cosa dirà il parroco di Gaza che era in filo diretto con papa Francesco, come la metterà il cardinale Zuppi, ambasciatore di Bergoglio?

Avranno il coraggio di fare come faceva il cardinal Martini ai tempi di papa Ratzinger: prendeva carta e penna per scrivere articoli sul non plus ultra della stampa laica (il Corriere della Sera), per distanziarsi apertamente, lealmente e motivatamente dalle linee del pontificato di Benedetto XVI.

«Il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario». L’articolo 1 della Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano esprime in forma ufficiale ciò che resta del potere temporale dei papi. È l’ultima traccia di quella doppia natura del papato, autorità religiosa e morale da una parte, signoria mondana dall’altra. Questa doppia natura, ci si è sempre chiesti, è coerente col comandamento del Signore circa l’essere «nel mondo, ma non del mondo», o invece non lega i successori di Pietro alla logica dei principati e dei regni, quelli che il diavolo promette a Gesù nelle tentazioni, ritenendoli suoi? In altre parole, il papa-sovrano che accetta la logica del potere mondano è il san Pietro che ama il Signore, o quello che lo tradisce?

A questa discussione secolare, papa Francesco aveva dato una risposta scardinante: quella della profezia. Un papa non secondo il mondo, ma secondo il Vangelo: capace di spiazzare ogni suo interlocutore perché la profezia e la potestà papale non avevano forse mai coinciso, nella storia bimillenaria della Chiesa. Il suo parlare era sì, sì, no, no: così contravvenendo alla prima regola del potere terreno, quella di una sistematica menzogna. Leone XIV non è, con ogni evidenza, un profeta: con lui il papato torna nell’alveo ordinario dell’esercizio del potere. Fin qui, purtroppo, nulla di strano: “strano” era Francesco. (ancora da “Invisible Arabs” – Paola Caridi e Tomaso Montanari)

Non voglio fare il saputello dell’anti-sagrestia, ma me lo aspettavo. Non ci vedevo e non ci vedo chiaro nell’immediato sollievo del mondo politico alla nomina di Prevost: la Chiesa che ritorna nel solco della tradizione intesa come conservazione degli equilibri interni ed esterni ad essa.

A chi mi chiede cosa farebbe di diverso papa Francesco rispondo con un esempio. Aveva fiutato l’aria che tirava ai massimi livelli verso i migranti. Ricordo quando si rifiutò di partecipare diverso tempo fa ad un convegno. Basti al riguardo riandare ad un commento che riporto di seguito. «Se c’è Minniti, allora non vado io». Dopo tre mesi si scopre il motivo per cui papa Francesco, oltre alla «gonalgia acuta» al ginocchio che già lo tormentava, ha deciso di non partecipare all’incontro finale fra vescovi e sindaci del Mediterraneo, che si è svolto a Firenze domenica 27 febbraio: la presenza dell’ex ministro degli Interni Marco Minniti, definito da Bergoglio senza mezzi termini «criminale di guerra» – visto il suo attuale impegno come presidente della Fondazione “Med-Or”, creatura di Leonardo spa, la principale azienda armiera italiana – nonché “padre” degli accordi fra Italia e Libia che consentono di respingere i migranti nei «campi di concentramento» allestiti nel Paese nordafricano (il Manifesto).

Ebbene se facciamo le debite proporzioni tra Herzog e Minniti, è facilmente immaginabile quale atteggiamento terrebbe papa Francesco verso uno stato genocida: infatti, in sintonia con la scienza giuridica e la coscienza del mondo, chiamava ‘genocidio’ quello in corso a Gaza.

Qualcuno sosteneva che Bergoglio non avesse molta dimestichezza con le questioni politiche ed entrasse quindi troppo a gamba tesa senza la prudenza necessaria: successe ad esempio in occasione delle ultime elezioni americane, quando si pronunciò per l’astensione nei confronti di due candidati che attaccavano i diritti dell’uomo, vedi aborto (Kamala Harris) e chiusura verso gli immigrati (Donald Trump). Rimasi anch’io un po’ perplesso, ma mi ricredetti in fretta: cercava di toccare le coscienze degli statunitensi coinvolti in una pericolosa deriva egoistica (i risultati si sono visti e si stanno vedendo).

Meglio esagerare col Vangelo in mano che farsi guidare dal galateo diplomatico.  Il papa deve essere un profeta che scombussola il mondo e non un burocrate che lo subisce.

Mi sono ripromesso di riservare un marcamento a uomo al nuovo Papa per comprenderne le intenzioni e valutarne le proposte. Speravo di non dovere ricorrere a falli da espulsione. Purtroppo il contropiede papale mi disturba e mi sento di combatterlo a costo di subire cartellini rossi: nella mia partecipazione alla vita ecclesiale ci sono abituato. La squalifica a vita però fortunatamente me la può dare solo il Padre Eterno.