Le sinistre tattiche al centro

A Roma è andata in scena l’ennesima puntata del “campo largo”, ma stavolta con una novità: spunta il tentativo di dare una gamba centrista e pragmatica a una coalizione sempre più sbilanciata a sinistra. A fare da promotore, come ricorda la Stampa, è l’assessore capitolino Alessandro Onorato, promotore di Civici d’Italia. In platea sindaci, amministratori e il solito Goffredo Bettini, regista ombra della strategia: “Serve una tenda centrista”, ripete come un mantra da mesi. 

Tra i volti in evidenza c’è la sindaca di Genova Silvia Salis e il napoletano Gaetano Manfredi. Proprio Salis – neanche sei mesi di mandato – viene già accreditata come possibile outsider contro Elly Schlein alle prossime Politiche. Il suo appello suona come un avvertimento: “Basta gare su chi è più di sinistra. Non è una gara. Se lo è, è a chi sta più unito”. Applausi, abbracci e, tra le poltrone, anche Giuseppe Conte: “Dialogo? Sì, ma vediamo con chi”. Il tema della sicurezza – finora tabù a sinistra – domina l’agenda dell’incontro: segnale chiaro a una segreteria vista come troppo sbilanciata su diritti e ideologia. Ma non è finita. Venerdì a Milano nuovo summit, stavolta con i riformisti del Pd: Guerini, Delrio, Gori. Tutti stufi della linea Schlein e del silenzioso Bonaccini, accusato di essere troppo “tenero” con la segretaria. Lui si sfila e lancia la frecciatina: “Vedo discussioni fatte da chi vive nei salotti tv e nelle Ztl”. L’eurodeputata Pina Picierno lancia l’invito su Facebook: “Senza crescita non si protegge il welfare”. Una stoccata nemmeno troppo velata a chi parla solo di salario minimo e lavoro equo.

Nel frattempo, Matteo Renzi osserva. Dopo il buon risultato toscano, rilancia la sua Casa riformista e chiama a raccolta proprio alcuni dei civici presenti a Roma. Tutti a caccia del centro, considerato il vero tesoro nascosto della sinistra. Ma il nodo resta sempre quello: chi sarà il leader capace di unire i pezzi? (liberoquotidiano.it – Roberto Tortora)

Siamo alle solite! A sinistra invece di fare bene la sinistra si punta a fare la caricatura, fuori tempo massimo, della democrazia cristiana. Ho l’impressione che tutte le mattine si svegli qualche esponente vicino al Pd che si ponga il problema di come rompere le scatole a Elly Schlein, non provocandola sul terreno dei contenuti, ma stiracchiandola su quello dei posizionamenti tattici.

Cosa vuol dire che la coalizione del cosiddetto campo largo sia troppo sbilanciata a sinistra: non capisco. Sarà che io questa coalizione faccio fatica a configurarla proprio perché temo che sia troppo di destra.

C’è in molti la paura di essere troppo di sinistra nel timore di perdere il consenso dei cosiddetti moderati di centro, così va a finire che si perdono voti e consensi a sinistra mentre la destra di Giorgia Meloni scippa il terreno sociale catto-moderato. Alla fine la sinistra è becca e bastonata: becca nel senso che è tradita da parte del suo elettorato fondamentale idealmente di sinistra e bastonata dal potenziale elettorato di centro affascinato e conquistato dalla destra.

Non mi interessano questi bradisismi doroteizzanti. Don Andrea Gallo diceva: «Non mi curo di certe sottigliezze dogmatiche perché mi importa solo una cosa: che Dio sia antifascista!». Parafrasandolo oserei dire: «Non mi curo delle sottigliezze tattiche perché mi importa solo una cosa: che la sinistra recuperi idealità e valori per affrontare i veri problemi della gente».

Se non c’è identità di valori e principi, il discorso è un altro e si abbia il coraggio di ammetterlo e di fare scelte chiare e conseguenti non creando confusione in cerca di spazi inesistenti.

Il rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari è intervenuto, durante la trasmissione televisiva otto e mezzo su La7. Il tema del dibattito era l’immobilismo della sinistra dinanzi alla destra e il crescente astensionismo. “O la sinistra riesce a dimostrare che è possibile una società più giusta, non a parole ma governando – osserva Montanari – oppure rischia di essere poco credibile. Il progetto della destra, che purtroppo è un progetto di odio e di imprenditoria della paura, poi è più facile da attuare perché si adegua al mondo così com’è. La sinistra dovrebbe avere l’aspirazione a cambiarlo in meglio e se non lo fa, quando è all’opposizione, è difficile che qualcuno le creda”.

Sono perfettamente d’accordo con il professor Montanari. Le manovrette centriste dei moderati di turno sono un diversivo rispetto al vero problema della sinistra: vale anche per chi intende, cattolici e non, tagliarsi il pisello per fare dispetto a Elly Schlein, mentre Giorgia Meloni, ridendo e scherzando, va a letto con Cisl e Comunione e Liberazione.

Papa Bergoglio, papa Prevost e…papa Scaccaglia

Fra gli esclusi del palazzo occupato: il Giubileo è grido di giustizia e riscatto. Viaggio nel condominio abusivo a Roma che dal 2013 è in mano a 400 “senza casa” e che accoglie l’incontro dei movimenti popolari nato da un’intuizione di papa Francesco. «Uno scandalo? No, il Vangelo chiede di soccorrere gli ultimi». Gli inquilini: il dono dell’Anno Santo? La regolarizzazione dello stabile.

«Buongiorno e benvenuto», saluta appena entrati il ragazzo dai tratti latinoamericani che siede dietro il bancone della portineria. Più che altro un tavolo, sistemato appena sopra la rampa di scale che si apre dentro la recinzione affacciata su una delle strade del quartiere Esquilino. Autosorveglianza agli ingressi del parallelepipedo di mattoni e cemento dove la parola d’ordine è autogestione. Sopra l’enorme cancello rosso, lo striscione che a Roma già dice tutto: “Spin Time”. Lo stabile occupato dal 2013. Il colosso di 21mila metri quadrati che dà un tetto a quasi 400 «brave persone», come si definiscono in uno dei manifesti affissi sulle facciate, che «non rispettano le leggi ingiuste» perché le hanno lasciate “senza dimora”. Il monoblocco che, secondo i punti di vista, è l’icona dell’illegalità tollerata in città o il simbolo del riscatto degli esclusi dove la lotta per il diritto alla casa ha fatto nascere all’interno centri d’aggregazione e sportelli sociali all’insegna del motto “Più umanità e cultura, meno profitto e mercato”.

E adesso “Spin Time” è la sede del quinto Incontro mondiale dei movimenti popolari che si tiene a Roma per il Giubileo. Un raduno che era stato voluto da papa Francesco e che Leone XIV ha abbracciato. «Una sorpresa da parte del nuovo Pontefice? No. L’attenzione agli ultimi è il cuore del Vangelo», spiega don Mattia Ferrari. Cappellano di Mediterranea, la ong salva-migranti, e membro della «comunità di Spin Time», come si descrive, è il coordinatore della piattaforma ecclesiale targata papa Bergoglio che raccoglie i movimenti di tutto il pianeta. E la mente dell’appuntamento nel “grattacielo ribelle” organizzato con gli inquilini del palazzone assieme al Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Non è un caso che il cardinale prefetto Michael Czerny si presenti fra i corridoi e gli appartamenti “conquistati”. «I poveri non solo subiscono le angherie, ma lottano contro di esse. C’è bisogno di costruire una società fraterna. E la Chiesa è accanto a chi cerca modelli alternativi di sviluppo economico e di utilizzo delle risorse rispetto a quello dominante che ogni giorno mostra tutti i suoi dannosi effetti», dice Czerny. Prima di lui è la volta del cardinale vicario di Roma, Baldassare Reina, che apre i lavori nei sotterranei del fabbricato. «L’accoglienza e l’amore per il prossimo sembrano usciti dal vocabolario contemporaneo. La comunità ecclesiale intende fare proprio il grido dei poveri», incoraggia. Venerdì 24 ottobre, ultima delle cinque giornate del summit popolare, tocca al presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, varcare i portoni del condominio abusivo. A precederli, nel 2019, era stato l’elemosiniere del Papa, il cardinale Konrad Krajewski, mandato a riattaccare l’energia elettrica che era stata tagliata per morosità. (Dal quotidiano “Avvenire” – Giacomo Gambassi)

Riavvolgiamo il nastro e facciamo un salto indietro, gennaio 2005: andiamo a Parma nella parrocchia di Santa Cristina, accompagnati per mano da don Luciano Scaccaglia, il pretaccio parmense.

Don Scaccaglia era cristianamente esagerato: qualcuno, di questa sua tendenza, faceva oggetto di censura o di critica, mentre in realtà si trattava proprio della sua capacità culturale di affrontare radicalmente le situazioni in perfetto stile evangelico. Ebbene la denuncia del problema, da cui era solito partire, nel caso dell’immigrazione trovò la suo profetica espressione ed il suo apice nell’occupazione della chiesa di S. Cristina da parte di 30 immigrati nel gennaio 2005 (grande freddo!). Questa sacrosanta provocazione fece scandalo, ad essa seguì una forte polemica contro il parroco don Luciano Scaccaglia e la sua comunità aperta e accogliente, rei di averli ospitati col Vangelo alla mano. Anche quella volta c’era stato il preludio dello sgombero, ad opera dei vigili urbani, dai ruderi di una cartiera abbandonata, inutilizzata, lasciata al degrado, ma considerata più preziosa delle vite di schiavi senza valore. A Parma nel 2005 i perbenisti bigottoni, i leccapreti col conto in banca e gli appartamenti sfitti, i clericali ad oltranza sempre dalla parte del manico curialesco si scatenarono ed aprirono un fronte di reazionaria polemica, andando persino molto al di là della tollerante reazione dell’allora vescovo Cesare Bonicelli. Questi infatti andava di prima mattina e senza farsi notare nel “tempio della vergogna” e offriva il suo contributo in danaro oltre all’incoraggiamento a don Scaccaglia. Il coraggio, anche quel poco (?) che dimostrava di avere Bonicelli, se uno non ce l’ha, non se lo può dare. Gli amministratori comunali preferirono il silenzio. Parma non si smentisce mai (certo nel 1922 i parmigiani avevano ben altra sensibilità e coraggio): la reazione dominante fu quella dell’indifferenza.

Per la comunità di Santa Cristina l’occupazione del 2005 fu la scintilla per l’avvio di una comunità di accoglienza: qui sta la saldatura della carità tra denuncia dell’ingiustizia e impegno solidale. La casa di accoglienza però da allora visse in mezzo a mille difficoltà e soprattutto nel silenzio imbarazzato dei pubblici poteri e financo della galassia civile e religiosa impegnata nel sociale. Siamo alle solite, ai sussiegosi scetticismi verso le iniziative di accoglienza, portate avanti, senza beneficiare di alcun aiuto curiale o municipale e con enormi e provocatori sacrifici, dal solito rompiscatole di un parroco scomodo. Questa comunità di accoglienza dava fastidio, sicuramente dava ancora più fastidio don Scaccaglia.  Era ospitata nei locali della parrocchia di S. Cristina, andava oltre il mero rifugio notturno per offrire spazi di socializzazione e integrazione.

 

Altra tappa in questo provocatorio excursus ecclesiale retrospettivo. Questa volta siamo a Roma nientepopodimeno che nella Basilica di Santa Maria Maggiore.

 

Il 07 aprile 2015 i movimenti per la casa occuparono un palazzo a Torre Spaccata, periferia sud-est dove andarono a vivere 50 famiglie, che, il 03 giugno, la polizia fece sgomberare con la solita solerzia. Trovarono provvisorio rifugio, dormirono e vissero per alcuni giorni nella Basilica di Santa Maria Maggiore (che è territorio vaticano). Stupì non tanto il fatto in sé, ma la reazione molto tollerante da parte delle autorità ecclesiastiche con il vicariato addirittura impegnato a ricercare soluzioni al problema riguardante immigrati e non. In filigrana si poteva leggere l’ormai ennesimo segno di un cambiamento di clima nella Chiesa dovuto all’impostazione del pontificato di Francesco. Seppure di traverso molti sono costretti ad inghiottire rospi: in altri momenti li avrebbero clamorosamente sputati.

 

2005, 2015, 2025: tappe decennali di un percorso accidentato. I tempi della Chiesa sono troppo lunghi. A Gesù sono bastati tre anni di ministero pubblico per sconvolgere il mondo. D’altra parte le profezie hanno bisogno di tempo per essere assorbite nel tessuto ecclesiale, ma non prendiamocela troppo comoda, perché siamo chiamati da subito a rispondere della passione per la giustizia.

Torniamo precipitosamente ai giorni nostri. Morale della favola: la fece simpaticamente lo stesso don Luciano Scaccaglia con soddisfazione condita da una punta di amara ironia. Senza alcuna cattiveria e senza inutili rivalse, davanti alle golose novità introdotte da papa Francesco si lasciò andare dicendo: «Il Papa? Mi copia!».

Cosa direbbe oggi? Forse che la copiatura, fortunatamente e nonostante tutto, continua e si allarga. Il ritardo di duecento anni, denunciato per la Chiesa dal Cardinal Martini, si sta accorciando? Stiamo recuperando? Attenti però: passato il Giubileo della speranza gabbato il riscatto degli esclusi?

 

 

 

 

 

 

Diplomazia schizofrenica

Il tentativo di dialogo si era già incrinato quando Trump, la scorsa settimana, aveva usato la richiesta ucraina di missili a lungo raggio Tomahawk per esercitare pressione sul Cremlino, sostenendo di voler prendere in considerazione la fornitura. Ma una telefonata di Putin ha fatto rapidamente cambiare idea al tycoon, tanto che, durante il successivo incontro con il presidente ucraino, Trump avrebbe detto a Volodymyr Zelensky di dimenticare i Tomahawk e di rinunciare invece del tutto alla regione orientale del Donbass, cedendo alle richieste russe. «Sì, è vero», ha detto un funzionario americano, secondo cui Trump avrebbe esortato Zelensky a ritirare le truppe dai territori ancora sotto controllo ucraino. La fonte ha aggiunto che i colloqui del leader di Kiev con Trump sono stati «tesi e non facili», e che gli sforzi diplomatici per mettere fine alla guerra sembrano «trascinarsi» e «girare a vuoto». Il presidente ucraino invece ha descritto il suo incontro alla Casa Bianca come «un successo» che ha prodotto progressi, portando all’acquisizione di nuovi sistemi di difesa aerea, in contrasto con le notizie secondo cui Trump lo avrebbe insultato.

Zelensky ieri ha ribadito la sua disponibilità a fermare il conflitto lungo l’attuale linea del fronte e ha rilanciato l’appello per la fornitura di Tomahawk, che ritiene indispensabili per costringere Mosca al negoziato. «Non appena la questione dei missili a lungo raggio è diventata un po’ più complessa per l’Ucraina, la Russia ha perso interesse per la diplomazia — ha fatto notare il presidente ucraino riferendosi al rifiuto di Trump —. È un segnale che la questione è una chiave insostituibile per la pace». Per ora Zelensky si accontenterà di un contratto per l’acquisto di 25 sistemi Patriot. Ma Mosca resta ferma sulle sue posizioni, negando persino che un vertice fosse mai stato allo studio. «Non è possibile sospendere qualcosa che non è mai stato concordato», ha concluso ieri il vice ministro degli Esteri Sergei Ryabkov. (“Avvenire” – Elena Molinari, Giovanni Maria Del Re – New York e Bruxelles)

Sono in campo ben tre diversi e inconciliabili approcci anti-diplomatici: quello presuntuoso del fatto compiuto trumpiano, quello classicheggiante del tener duro putiniano e quello del tergicristallo zelenskyano. Ne sta uscendo un quadro schizofrenico, che non porta da nessuna parte, o meglio, che porta alla guerra infinita inframmezzata da finte tregue.

Zelensky si illude di farsi forza subendo le umiliazioni tattiche di Trump senza dignità: Trump si accontenta di fare lo specchietto per le sue allodole elettorali interne ed internazionali; Putin gioca il ruolo del politico riottoso che ama farsi corteggiare dicendo dei sì che sono no e lasciando intendere che i no possono diventare sì.

Non mi si dica che la diplomazia è questa: è la caricatura della diplomazia! Bisogna quindi stare attenti, quando si auspica che al fragore delle armi si sostituisca la calma del dialogo e della diplomazia. Non vorrei infatti che dalla padella della violenza delle armi si cascasse nella brace della falsità delle parole.

E allora? Sarebbe l’ora che volge il disio ai navicanti europei e ‘ntenerisce il core … ed ecco infatti la risposta degli europei.

Un piano in dodici punti per porre fine alla guerra in Ucraina, lungo la linea attuale del fronte. Gli europei, pochi giorni dopo l’annuncio del presidente Usa Donald Trump di un possibile incontro con Vladimir Putin a Budapest (ormai sempre più in dubbio) si ricompattano per evitare il peggio. A rivelarlo è l’agenzia Bloomberg. L’idea è di creare un board (una sorta di direttorio) presieduto da Trump per vegliare sull’attuazione del piano. Una volta che la Russia avrà accettato la tregua, ci sarà il ritorno di tutti i bambini ucraini deportati in Russia e scambi di prigionieri. L’Ucraina riceverà garanzie di sicurezza, fondi per riparare i danni di guerra e un percorso rapido di adesione all’Ue. Contemporaneamente, le sanzioni contro Mosca sarebbero progressivamente revocate, ma i circa 300 miliardi di dollari complessivi di riserve della Banca centrale russa in Occidente sarebbero restituiti solo dopo che Mosca avrà accettato di contribuire alla ricostruzione dell’Ucraina. Le sanzioni tornerebbero a scattare se la Russia attaccherà nuovamente l’Ucraina. Non basta, il piano prevede che Mosca e Kiev avviino i negoziati sulla gestione dei territori occupati, senza però alcun riconoscimento formale di terre ucraine occupate da Mosca. (ancora “Avvenire” – Elena Molinari, Giovanni Maria Del Re – New York e Bruxelles).

Si oscilla tra la ruota di scorta di Trump e l’imitazione di papa Leone: una sorta di ircocervo diplomatico. Se gli ucraini aspettano che li salvi l’Europa… Dalle braccia infide di Trump a quelle insulse della Ue. Intanto la Russia avanza imperterrita. Si ipotizza che Mosca possa accettare di contribuire alla ricostruzione dell’Ucraina. Siamo al paradosso!

«Il giorno in cui le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine. Questa è l’ipocrisia» (Papa Francesco).

 

 

 

 

 

 

La “sinnergia” vespiana

Si è trasformato in un vero e proprio boomerang l’attacco social di Bruno Vespa a Jannik Sinner. Il giornalista della Rai, riscopertosi esperto di tennis, nella foga di criticare l’altoatesino ha incredibilmente sbagliato il cognome del numero 1 al mondo della racchetta, Carlos Alcaraz, da lui chiamato ‘Alvarez’.

E non è tutto. Qualcun altro ha anche fatto notare a Vespa che Montecarlo è una località in provincia di Lucca mentre quando si parla della capitale del Principato di Monaco il nome corretto è Monte Carlo.

“Perché un italiano dovrebbe tifare per lui – si è domandato l’abruzzese -? Parla tedesco (giusto, è la sua lingua madre), risiede a Montecarlo, si rifiuta di giocare per la nazionale. Onore ad Alvarez che gioca la coppa Davis con la sua Spagna”.

Gli errori di Vespa (soprattutto quello legato al cognome del fuoriclasse iberico) hanno dato la stura a una serie di critiche, che si sono aggiunte a quelle per il concetto che ha voluto esprimere dopo il rifiuto dell’altoatesino: come noto il numero 2 al mondo ha deciso di non partecipare alla Final-8 di Coppa Davis che si disputerà a Bologna a novembre. (Sportal.it – Storia di Ernesto Villa)

Nei giorni scorsi mi ha colpito la notizia del premio riservato a Jannik Sinner, noto tennista, quale vincita in un importante torneo tenuto in Arabia Saudita: 7,5 milioni di dollari. Scambiando le impressioni con una persona amica ho azzardato un sincero commento: “Io non lo invidio, ma lo compiango…”. Non disprezzo infatti la ricchezza, ma ne condanno l’egoistico accumulo e soprattutto il modo assurdo di accaparrarsela. Spero che lo sportivo in questione ne faccia buon uso, anche se sarà molto difficile, per lui come per tutti, uscire dalla logica del dio-danaro.

Non ho potuto poi evitare di mettere in connessione questa vincita da capogiro con il forfait dello stesso campione di tennis rispetto alla prossima disputa della Coppa Davis. Non ho trovato altra spiegazione se non la scelta di privilegiare carriera e denaro rispetto al valore sportivo delle competizioni.

Conclusione: Sinner, da professionista del tennis, fa i suoi interessi e li colloca prima delle scelte di carattere agonistico e sportivo, finanche quelle in rappresentanza dell’Italia.

Non faccio della retorica perché lo sport ha perduto ogni e qualsiasi parvenza di significato olimpico: l’importante non è partecipare ma guadagnare.  Ciononostante la combinazione fra le notizie di cui sopra mi ha irritato. Pazienza! Ci sono problemi molto più gravi anche se la perdita dei valori sportivi non aiuta a risolverli.

Che però la predica venga dal pulpito vespiano è decisamente inaccettabile e ridicolo: il personaggio più emblematico dell’opportunismo giornalistico che fa le pulci al comportamento opportunistico di uno sportivo.  La gaffe principale non è certo quella di confondere Monte Carlo con Montecarlo e/o di sbagliare il nome di Alcaraz, ma quella di ergersi a moralista della racchetta, lui pennivendolo di primissima specie.

Evidentemente tra opportunisti non ci si intende, o meglio, tra di essi è aperta una penosa gara a chi la fa più grossa. Non mi sento di considerare quella di Sinner una pagliuzza, ma sarebbe comunque opportuno che Bruno Vespa togliesse dall’occhio la propria trave prima di dedicarsi alle travi altrui.

 

 

 

 

Chi dice donna non dice pace

Sanae Takaichi è stata eletta nuova premier del Giappone, diventando – dopo 103 colleghi maschi – la prima donna a ricoprire questo ruolo, dopo la nomina a inizio mese alla guida del Partito Liberal-democratico (Ldp).

Conservatrice convinta, 64 anni, nota per le sue posizioni dure in materia di sicurezza nazionale, difesa e immigrazione, animata da una sorta di “idolatria” per Margaret Thatcher – non a caso ha più volte dichiarato di voler essere la “Lady di Ferro” del Giappone – dopo il trionfo di inizio mese alle primarie del Partito liberaldemocratico, convocate a seguito del passo indietro annunciato a settembre da Shigeru Ishiba, primo ministro per 386 giorni.

Il voto di oggi ha inaugurato una sessione parlamentare straordinaria di 58 giorni che si concluderà il 17 dicembre. Ex ministra degli Affari interni e volto noto della destra giapponese, sul fronte interno, la nuova premier 64enne dovrà affrontare l’arduo compito di governare senza una maggioranza stabile, cercando sponde tra le forze d’opposizione per far avanzare la legislazione. Il Jip, pur parte della coalizione, non avrà ruoli nel nuovo gabinetto e svolgerà funzioni consultive. In politica estera e difesa, Takaichi ha da subito deciso di imprimere un’accelerazione.

I media locali anticipano la revisione di tre documenti strategici chiave per incrementare ulteriormente le spese militari e rafforzare l’asse Tokyo-Washington, segnalando una rinnovata disponibilità ad allinearsi alle richieste Usa su difesa e sicurezza. In linea con l’impegno assunto nel 2022 di portare il bilancio della difesa al 2% del Pil entro il 2027, Takaichi ha dichiarato che il Giappone dovrà “superare quella soglia prima o poi” per rispondere alle crescenti minacce regionali. Aumenti di spesa che saranno finanziati da nuove entrate fiscali, imposte su imprese, redditi e tabacco.

Il primo impegno internazionale della nuova leader dovrebbe essere la partecipazione a un vertice dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (Asean) in Malesia. Subito dopo, Takaichi ospiterà il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in visita ufficiale in Giappone. Entrambi gli appuntamenti sono previsti per la fine del mese. (avvenire.it)

E io che speravo in una nuova era politica di progresso e di pace guidata dalle donne finalmente al potere… Quante volte sono stato costretto ad ammettere che le donne non hanno ottenuto la parità di diritti, ma la parità di difetti.

Papa Francesco, non certo un fulmine di femminismo, il 1° gennaio 2024 aveva incoraggiato tutti a “guardare alle donne e alle madri per trovare la via della pace”. In questo momento storico purtroppo non si vede all’orizzonte nessuna donna che possa ricoprire un ruolo importante in favore della pace. Occorre però sperare che ci siano donne impegnate in tal senso al di fuori delle luci false della ribalta: anche perché la donna dà la vita e non la dovrebbe togliere.

Si pensi storicamente all’azione di una donna come Santa Caterina da Siena, al rivoluzionario messaggio di Madre Teresa di Calcutta, alla testimonianza di Chiara Lubich (De Gasperi, dopo averla ascoltata, le disse: «Stamattina mi ero svegliato disperato, lei mi ha ridato la speranza!!!»).

Lasciando perdere per carità di patria e di genere “la grande statista” Giorgia Meloni, persino in materia di premio Nobel per la pace giungono più ombre che luci dalla venezuelana Machado.

In questo periodo di oscurità, di disorientamento, di mistificazione dobbiamo attaccarci più che mai agli esempi e alle parole delle grandi donne a prescindere da quelle impegnate in politica ai massimi livelli.

Facciamo riferimento a Esther Hillesum, detta Etty: è stata una scrittrice olandese ebrea vittima dell’Olocausto, il cui pensiero è un inno alla vita e un invito alla lotta con gioia, come quella che bisogna combattere contro gli abusi, contro la violenza ad ogni livello, fisico e morale, perché è in gioco sempre e solo un principio irrinunciabile, la libertà.

Pensiamo a Edith Bruck, un’altra di queste grandi donne: smentisce autorevolmente e coraggiosamente che la questione politica femminile sia automaticamente riconducibile ad un fatto di genere e aggiunge fuori dai denti come “una donna premier non sia un bene in sé. Anzi: spesso, nei posti di vertice, le donne diventano peggiori degli uomini, tendono a volerli superare e fanno peggio di loro, sono ancora più spietate».

Molti anni fa scrissi un provocatorio omaggio alle donne, ricordando emblematicamente mia nonna materna, una vedova auto-emancipata, madre Teresa di Calcutta, la soluzione vivente al problema del sesso degli angeli, le suore di clausura, le migliori cosmetologhe possibili e immaginabili. Quanti rimbrotti ebbi da amiche e colleghe! Sono ancora sostanzialmente di quel parere a costo di fare la figura del retrogrado; continuo imperterrito a correre il rischio della retorica.

Tornando alla politica, le delusioni al femminile non mancano: ultima, per chi nonostante tutto si ostina a crederci, la giapponese Sanae Takaichi da cui sono spietatamente partito. Ce n’è per tutti i gusti e in tutto il mondo. In Italia abbiamo il becco di ferro di togliere persino quel po’ di classe e dolcezza presente negli stereotipi delle donne al potere. Una sorta di femminismo (o antifemminismo?) all’italiana.

 

 

 

 

 

Il gatto Trump, la volpe Putin e la pinocchietta Meloni

Difficile stabilire se quella che si profila fra Stati Uniti, Russia e Cina sia una Yalta a beneficio dei più forti. In certa misura lo è, come è innegabile che nel castello di Buda dove presumibilmente si terrà il vertice convergono tre differenti tipi di populismi, quello roboante di Trump, quello nazionalista di Putin e quello sovranista del premier che offre la dimora del vertice ai grandi della Terra, Viktor Orbán, ospitando un leader colpito da un mandato di arresto della Corte penale internazionale che l’Ungheria non ha alcuna intenzione di rispettare.

L’Europa, le democrazie liberali, i vassalli come Starmer, i sognatori di grandeur perdute come Macron, restano al palo. Davanti c’è un’ipotesi di tregua. Poi di pace. Trump la chiede con energia, per tornaconto personale e per legittima vanità. La pace, alla fine, conviene più della guerra. Più dei miliardi spesi in armamenti. Tutti lo sanno, a cominciare dai grandi leader del mondo. Ma occorre che qualcuno la reclami con forza. Perfino The Donald, il tycoon di Mar-a-Lago, è adatto al compito. (“Avvenire” – Giorgio Ferrari)

L’espressione “vaso di coccio tra vasi di ferro” indica una persona fragile e indifesa circondata da persone prepotenti e forti, che rischia di essere sopraffatta. L’origine del modo di dire è una favola di Esopo, in cui un vaso di terracotta teme di scontrarsi con i vasi di ferro che viaggiano con lui. Alessandro Manzoni riprende questa similitudine nel suo romanzo, I Promessi Sposi, per descrivere il personaggio di Don Abbondio.

È abbastanza evidente che la parte del vaso di coccio la stia facendo Zelensky, ridotto a pietire missili nei confronti di un Trump che glieli fa “sgolosare” assai per poi negarglieli sul più bello. C’è un modo di essere dignitosamente poveri e deboli, purtroppo il presidente ucraino non è riuscito, in tutta la lunga e drammatica vicenda, ad essere tale, finendo col rimanere in balia dell’Occidente che lo ha appoggiato e lo appoggia fino a mezzogiorno.

Non è giusto, ma la partita se la stanno giocando altri soggetti di lui ben più forti. Comunque finisca, finirà male. Il mondo in mano ai populisti con le democrazie liberali ripiegate su loro stesse.

Nella politica internazionale, europea e italiana, per il momento non si vede niente all’orizzonte a livello di nuova progettualità. Solo a destra c’è un disegno pericolosissimo: Stati Uniti, Russia, Germania, Francia, Italia, Ungheria. Stiamo aspettando la sinistra in crisi di identità: democratici americani, pd in Italia, casino francese, spagnoli ininfluenti come gli inglesi…

In questa situazione di stallo in cui è impossibile dormire sonni tranquilli, bisogna ripiegare sui sogni: il lungo sogno della resistenza attiva e costruttiva e quello dell’attesa passiva.

Da una parte il ritorno al multilateralismo basato sul dialogo; dall’altra l’accettazione degli accordi affaristici calati dall’alto. Sembra che il mondo abbia scelto la pace sepolcrale proposta dai potenti, ma anche questa non è così facile da perseguire e mantenere. La tregua medio-orientale patrocinata da Trump sta già scricchiolando; quella russo-ucraina è tuttora di là da venire, impantanata com’è nello scontro fra le furberie dei due grandi delinquenti.

L’Europa non è sufficientemente delinquenziale per entrare nel gioco sporco e non è sufficientemente democratica per tentare la problematica scalata ad uno straccio di pace vera. L’Italia, con la sua petulante premier Giorgia Meloni, fa il pesce in barile.

In un delirante messaggio inviato alla Niaf, l’organizzazione di italoamericani con sede negli Stati Uniti, in occasione del cinquantesimo anniversario, la nostra presidente del Consiglio, ha difeso a spada tratta il Columbus day dalle polemiche che negli ultimi anni hanno segnato la giornata di Cristoforo Colombo, con alcune organizzazioni, attivisti e intellettuali che hanno evidenziato l’altro volto della conquista: lo sterminio delle popolazioni indigene delle Americhe da parte degli europei e il colonialismo che ne scaturì. “Il Columbus Day è qui per restare”, ha assicurato la premier.

Ma il più bello è venuto di conseguenza. In risposta il presidente Donald Trump ha pubblicato su Truth un video di 21 secondi di Giorgia Meloni in cui la premier scandisce il suo più celebre slogan: “Sono una donna, sono una madre, sono cristiana”. Trump ha anche ricondiviso un post di LynneP in cui la premier viene lodata. “Giorgia Meloni sfida l’Unione e cerca di ottenere un accordo commerciale diretto con Trump. Ben fatto Meloni. È una mossa brillante”. (today.it)

Non c’è che dire, bel colpo Giorgia! Fuori dall’Unione europea per flirtare con Trump e viceversa. Tra i due sogni di cui sopra è rimasto il triste risveglio indotto dall’alzabandiera meloniano.

L’infinita dinastia degli Erodi

Milioni di bambini sono vivi oggi grazie a decenni di impegni globali per garantire l’accesso a servizi di base, come l’assistenza sanitaria, le vaccinazioni, l’alimentazione, l’acqua potabile e i servizi igienico-sanitari. Dal 2000, i tassi di mortalità globale dei piccoli sotto i 5 anni sono diminuiti del 50%. Ma i drastici e improvvisi tagli ai finanziamenti globali stanno mettendo a rischio risultati ottenuti con fatica.

Secondo la rivista Lancet, queste decisioni potranno causare 4,5 milioni di morti infantili in più entro il 2030. Facciamo appello ai governi e ai donatori privati affinché sostengano i bimbi: il miglior investimento per il futuro. (dall’intervista alla direttrice generale dell’Unicef Catherine Russell – a cura di Nello Scavo – “Avvenire”)

Mia sorella andava profondamente in crisi di fronte alle immagini dei bimbi denutriti o morenti: si commuoveva, pronunciava parole dolcissime di compassione e spesso si allontanava dal video non reggendo al rammarico dell’impotenza di fronte a tanta innocente sofferenza. Sì, perché il cuore viene prima della mente, la sofferenza altrui deve essere interiorizzata prima di essere affrontata sul piano della concreta solidarietà e della risposta politica. Ricordo come, da cattolica convinta e praticante, di fronte alle immagini di popolazioni sofferenti per fame e denutrizione, dicesse senza evidenziare dubbio alcuno: «Occorrono vagoni e vagoni di pillole anticoncezionali, altro che balle…».

Questo succedeva in casa mia nel secolo scorso, oggi mia sorella morirebbe di compassione, perché la situazione dell’infanzia nel mondo è notevolmente peggiorata.

Volti affamati e stomaci vuoti, tonnellate di cibo sprecate e moltitudini di persone che rovistano nella spazzatura, bambini pelle e ossa e campi bruciati dalle guerre, le stesse che permettono che la fame venga usata come arma: un vero e proprio “crimine”. Usa immagini plastiche, impattanti quanto toccanti, Papa Leone XIV, per stigmatizzare quello che definisce “un fallimento collettivo, un’aberrazione etica, una colpa storica”: la fame. Non “il destino” dell’uomo bensì la sua “rovina”; non la battaglia di alcuni, ma di “tutti”, scandisce il Papa dal palco della sala plenaria della FAO di Roma, in occasione della Giornata mondiale dell’Alimentazione e della celebrazione degli 80 anni della fondazione di questa organizzazione Onu che attualmente riunisce 194 Paesi e si occupa di sviluppo, nutrizione, produttività, crescita economica globale. (Salvatore Cernuzio – Vatican News)

Viene spontaneo pensare ai fondi enormi stanziati per le armi, sempre in aumento e giustificati quali deterrenti contro la guerra: e le guerre aumentano sempre di numero e di intensità. Il tetrarca Erode per operare la strage degli innocenti aveva il noto scopo di eliminare sul nascere l’ingombrante presenza del Messia: sono molto più sofisticate le motivazioni dei governanti attuali, ma la sostanza non cambia.

Mio padre notava come i potenti della terra impieghino pochissimo tempo per trovarsi d’accordo nel decidere guerre e per fabbricare armi: quando invece si tratta di aiutare chi muore di fame…

Nell’UE, solo tre Paesi, Danimarca, Lussemburgo e Svezia, hanno raggiunto l’obiettivo delle Nazioni Unite di spendere almeno lo 0,7% del reddito nazionale lordo in aiuti.

Gli aiuti umanitari per le crisi sono diminuiti del 9,6% nel 2024, per un totale di 24,2 miliardi di dollari.

Mentre l’UE e i suoi Stati membri, assieme, sono i maggiori donatori di aiuti, nel 2024 gli Stati Uniti erano il principale Paese donatore, con 63,3 miliardi di dollari, pari al 30% degli aiuti totali. Ma questa cifra è destinata a crollare dopo che Donald Trump ha annunciato una sospensione di tre mesi della maggior parte degli aiuti statunitensi a gennaio.

I principali Paesi donatori dell’UE, Germania e Francia, sono tra gli Stati europei che annunceranno pesanti tagli alla spesa nei prossimi anni. La Francia intende tagliare gli aiuti di oltre 2 miliardi di euro, mentre la Germania, il principale donatore dell’UE, ridurrà il suo bilancio per gli aiuti umanitari da 2,23 miliardi di euro a 1,04 miliardi di euro quest’anno. Anche la Svezia ha promesso dei tagli, mentre il governo olandese prevede di ridurre il proprio bilancio per gli aiuti di circa il 35% entro il 2029.

“I dati odierni sugli aiuti dipingono un quadro desolante per coloro che vivono nei Paesi più poveri del mondo. Ma in realtà sono solo la punta dell’iceberg. Nel 2025, i Paesi ricchi hanno continuato a raddoppiare i tagli ai bilanci degli aiuti, mettendo in pericolo i diritti umani e aprendo la porta a un peggioramento dell’instabilità globale”, ha dichiarato Matthew Simonds, responsabile delle politiche e dell’advocacy della Rete europea sul debito e lo sviluppo. (focsiv.it)

Ho citato mia sorella Lucia, impegnata in politica, che però sapeva mettere a soqquadro la propria coscienza prima di affrontare gli schemi e le categorie della politica e finanche della religione.  Non dobbiamo infatti limitarci a scaricare tutte le colpe sui governanti, aspettando da essi la soluzione dei problemi.

Cristianamente parlando ci sono due livelli di impegno personale e comunitario: la denuncia e la testimonianza. Limitarsi alla denuncia serve solo ad alleggerire la coscienza; puntare solo sulla testimonianza vuol dire fuggire dalla politica lasciandola agli andazzi suicidi di cui sopra. Non possiamo scappare dalle responsabilità se non andando a prestito dalla nostra abbondante ipocrisia.

Concludo con due citazioni contenenti forti e provocatori richiami al riguardo.

«Ho tre anni, mi chiamo Aylan e non ho bisogno delle vostre lacrime ipocrite. Vi servite di me per voi stessi. Alzatevi, muovetevi, migliaia di bambini come me non vogliono, come io non volevo, arenarsi senza vita su una spiaggia» (Ernesto Olivero, scrittore e fondatore del Sermig).

«Ho sempre cercato di saldare Cielo e Terra e i miei riferimenti sono innanzitutto il Vangelo e poi la Costituzione. Nel Vangelo c’è molta “politica”, laddove si denunciano i soprusi, le ingiustizie, le ipocrisie. E la Costituzione ha uno spirito evangelico quando afferma la dignità e l’uguaglianza di tutte le persone» (don Luigi Ciotti, fondatore e presidente del gruppo Abele e di Libera).

 

 

I fichi secchi per gli sposi giocherelloni

Siamo ben lontani da quegli anni del “boom” economico che dispensavano fiducia e prospettive. In questi nuovi tempi, solo misure-choc (come un taglio davvero forte delle tasse) potrebbero avere conseguenze reali nella vita nazionale. Oggi questa scossa manca. Quella che ora si vorrebbe utilizzare per le maxi-spese destinate al riarmo andrebbe riconvertita nel campo civile e sociale: alimentare le paure dei cittadini è più facile che affrontare i loro problemi quotidiani, però è qui che l’Europa, culla del welfare, deve riscoprire le sue radici. Accanto agli spazi di bilancio concessi dall’Ue, l’Italia deve confrontarsi tuttavia col suo problema irrisolto: una spesa pubblica ingentissima, che pur lascia sacche d’inefficienza e di bassi servizi. Solo riuscendo a qualificare questa spesa si potranno trovare in futuro spazi di bilancio per misure-choc, appunto. Viceversa, restano tante misure “coriandolo” (come alcune, anche valide, di questa manovra). Che non fanno però un Carnevale. (“Avvenire” – Eugenio Fatigante)

Questa “sintetica analisi” non fa una grinza: le nozze non si possono fare coi fichi secchi, conseguenza delle enormi risorse sottratte al welfare dagli assurdi e megalomani pruriti riarmisti e da una spesa pubblica sciupata in mille rivoli improduttivi.

Il nostro Paese è caratterizzato, sul piano economico e sociale, da tre fenomeni negativi peraltro fra di loro collegati: l’handicap dell’evasione fiscale, il peso soffocante della burocrazia e la morsa della corruzione. Essi incidono in modo devastante sulle risorse pubbliche. A questi tre freni tiratissimi se ne sta aggiungendo un quarto: le spese per il riarmo.

Proviamo a trasferire questi discorsi nella vita di una famiglia: gli introiti lavorativi deviati su binari morti; la disorganizzazione del ménage; l’utilizzo improprio delle già scarse risorse. Aggiungiamoci l’illusione di potersi costruire una villa con piscina.

Questa ipotetica e virtuale famiglia non potrà che vivacchiare alla meno peggio, finendo magari col picchiare duro sui soggetti deboli: non mandare a scuola i figli, non curare i malati, non assistere gli anziani, costringere al lavoro chi meriterebbe un sacrosanto riposo.

O si ha il coraggio di rivedere dalle fondamenta l’impostazione del bilancio, altrimenti si dovrà quadrare il cerchio a suon di condoni fiscali, contributi straordinari e pannicelli caldi, nascondendo i problemi sotto il tappeto e utilizzando a vanvera le poche risorse disponibili.

Fanno ridere a crepapelle le diatribe interpartitiche della maggioranza governativa: discutono del nulla e hanno persino il coraggio di litigare per accreditarselo.

È durata solo 25 minuti la presenza di Giorgia Meloni alla conferenza stampa convocata a Palazzo Chigi per illustrare i contenuti della legge di bilancio per il 2026. Al termine del Consiglio dei ministri, la premier si è presentata davanti ai giornalisti assieme ai due vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani, e al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Dopo un intervento introduttivo sulle priorità del governo e le misure inserite nella manovra, Meloni ha risposto a due domande. Dopodiché, si è alzata insieme ai due vicepremier e ha lasciato solo Giorgetti a rispondere a tutte le altre domande dei giornalisti.

«Il ministro Giorgetti è disponibile fino a… quando ritenete», dice la premier con un sorriso. Dopodiché, augura una «Buona giornata a tutti», saluta il titolare del Mef con una pacca sulla spalla e gli dice: «In bocca al lupo». Giorgetti, rimasto solo al tavolo, scherza con i giornalisti e resta a disposizione dei giornalisti per rispondere alle loro domande: «Se volete eh, sennò vado anch’io». (open.online)

Allo stadio spesso i tifosi irridono ai supporter della squadra avversaria gridando ritmicamente: “Siete ridicoli…Siete ridicoli…”.  I giornalisti, in vena di dignitoso recupero professionale, avrebbero dovuto fare altrettanto con i membri del governo che giocavano a nascondino.

A ben pensarci cos’altro potevano fare?  Non ci sono soldi, non ci sono idee, non c’è senso di responsabilità. Non rimane altro che lo scaricabarile: “Va’ avanti ti parchè am scapa da rìddor…”.

 

 

 

 

 

 

La sinistra e il suo viaggio a Lourdes

Michele Serra demolisce la sinistra: “Conte e la Schlein devono andare a Lourdes”. Ospite di Corrado Formigli a Piazzapulita, Michele Serra commenta le ultime sconfitte elettorali e ammette: “La sinistra è un mistero anche per me”.

“La sinistra è un mistero anche per me che ci bazzico da una vita intera.” Con questa frase, Michele Serra ha aperto il suo intervento a “Piazzapulita”, ospite di Corrado Formigli su La7, dopo le due pesanti sconfitte elettorali della coalizione di Elly Schlein e Giuseppe Conte nelle Marche e in Calabria.

“È un mistero come la sinistra non riesca a rendere visibile e percepibile da tutti una battaglia come quella sul salario minimo”, ha detto, allargando le braccia in segno di resa. Le sue parole, pronunciate con tono ironico ma severo, hanno trovato eco sui social, dove molti utenti hanno letto nella sua analisi un riferimento diretto alla segretaria dem Elly Schlein. “Non riesce a farsi capire”.

Nel finale del suo intervento, Serra ha sintetizzato così la sua delusione: “Non riesce a farsi capire quando parla, come se dicesse cose incomprensibili, persino quando avrebbe alcune cose comprensibili da dire.” Pur senza citarla, il riferimento alle difficoltà comunicative di Elly Schlein appare evidente.

La riflessione di Serra non è solo una battuta da talk show, ma una diagnosi impietosa sullo stato dell’opposizione: una forza che, a suo dire, ha perso la capacità di parlare al Paese reale. E la sua battuta su Lourdes, diventata virale in poche ore, sembra riassumere perfettamente la crisi di identità di una sinistra che, tra slogan e divisioni, continua a non trovare la strada per tornare credibile. (Storia di Lorenzo Costantino)

La provocatoria riflessione di Michele Serra è più che pertinente. La trovo anzi invitante!

Mio padre osservava acutamente come nelle umane convivenze, ad esempio nei rapporti coniugali e famigliari in genere, quando viene meno l’intesa di fondo, ogni proposta finisca con l’essere rifiutata o, nella migliore delle ipotesi, ignorata: non c’è dialogo, non c’è reciproca attenzione, non esiste corrispondenza di “amorosi” sensi.

Ecco perché la sinistra deve avere la pazienza di ripristinare un clima di fiducia ripartendo dai valori provenienti dalla sua storia: è su questi che può ricuperare attenzione e credibilità. Mentre la destra può prescindere dai valori, puntando tutto sulle risposte pragmatiche ai problemi e ottenendo una passiva acquiescenza, la sinistra non può permetterselo e quindi anche le sue battaglie più sacrosante, se sganciate dagli ideali di fondo, appaiono velleitarie.

In questa riscoperta dei valori una funzione fondamentale e imprescindibile la può e la deve svolgere la sinistra cattolica, attualmente piuttosto emarginata e/o defilata. I popolarismi cattolico e socialista devono riprendere la scena occupata, in modo eccessivo e talvolta sgangherato, dal pur importante discorso sui diritti civili Lgbtq e simili.

Occorre impostare un esame ed un conseguente recupero retrospettivo per avviare a ragion veduta un cammino prospettico: come in atletica leggera per prendere la respinta si fa un passo indietro, in politica, e non solo in politica, per andare avanti è necessario guardare indietro, non per farsi condizionare, influenzare o trattenere, ma per illuminare il futuro con la cultura e l’esperienza provenienti dal passato.

Può Elly Schlein, estranea alle storie e alle culture popolari, guidare un simile processo di rifondazione valoriale su cui poi costruire coinvolgenti politiche sociali? No! Ecco perché non riesce a connettersi con la gente potenzialmente di sinistra nonostante gli sforzi e tutta la più buona volontà. Esiste un personaggio capace di scaldare gli animi e di trascinare la gente su sacrosante battaglie di sinistra? Vedo soltanto Maurizio Landini.

Non è questione di abilità e dimestichezza mediatiche, ma di “cuore” che a sinistra non batte più ed ha bisogno di forti stimolazioni. La gente di sinistra rischia di trovare risposte paradossalmente invitanti magari in casa dell’inquilino della porta accanto (non importa più di tanto se situato a destra) piuttosto che in casa propria. Forse in casa propria cerca un po’ di piazza come quelle pro Pal: vedi l’affermazione, timidamente numerica ma politicamente significativa, della lista Toscana rossa.

Esistono due nodi più tattici che strategici: la piazza e il campo largo. Il partito fondamentale della sinistra, vale a dire il PD, fa fatica ad intercettare le proteste di piazza se non quelle provenienti dalla galassia Lgbtq. Quando qualcosa si muove all’aperto le uniche porte disponibili all’accoglienza sembrano essere quelle dell’ultrasinistra (Potere al popolo e c.); nemmeno l’Alleanza verdi-sinistra riesce ad accogliere questo movimentismo che nella sua spontaneità potrebbe funzionare almeno da pungolo etico-sociale.

Poi si ripropone continuamente, con alterne fortune elettorali, la questione del cosiddetto campo largo: al di là delle varie etichette il problema rimane quello del riformismo più o meno schiacciato sul moderatismo e/o sul post-grillismo. Che senso ha continuare a dissertare sui componenti della famiglia se manca il senso profondo della famiglia?

Su tutto grava inoltre il macigno dell’astensionismo, che non sembra lasciare scampo alla battaglia politica, allontanando da essa i potenziali partecipanti prima che elettori. È difficile comprendere fino a che punto questo fenomeno in continua ed inquietante accentuazione riguardi la sinistra e il suo inesistente feeling con la gente. Non so se l’astensionismo si possa schematicamente scomporre, configurandolo e collocandolo politicamente a destra e a sinistra. Tendo a pensare che esistano due tipi di astensionismo, quello fisiologicamente qualunquista difficilmente recuperabile o comunque terreno di coltura della destra (mia sorella era convinta che chi parte facendo negativamente d’ogni erba un fascio finisce col ripiegare sulla mangiatoia di destra) e quello psicologicamente e socialmente motivato recuperabile prevalentemente a sinistra. Il recupero però non avviene col vogliamoci bene del campo largo o col marciare divisi per colpire uniti, ma ritornando pazientemente e coerentemente da una parte ai valori di fondo e dall’altra ai problemi concreti della dignitosa umana sopravvivenza.

Non so se il richiamo a Lourdes sia soltanto un espediente ironico o se abbia un significato più profondo: a Lourdes si va per chiedere grazie, soprattutto per la guarigione del corpo, ma si dovrebbe andare anche per dimostrare umiltà di fede e di conversione. Sì, umiltà di ricominciare a fare politica in base a certi valori, conversione rispetto ai tradimenti della storia e alle deviazioni dalle idealità. Senza paura di tornare alle ideologie, perché assieme ad esse abbiamo buttato anche le idee e i principi di riferimento e siamo rimasti a mani vuote.

“Andare a Canossa” significa umiliarsi, piegarsi e chiedere perdono dopo aver commesso un errore, accettando una sottomissione forzata per ottenere il perdono di un superiore o di un avversario. “Andare a Lourdes” potrebbe essere una versione meno laica e più ideologica di un percorso da intraprendere per ottenere il “perdono” della gente che non ci capisce dentro più niente.

Prima ridotte a bambole, poi uccise come cagne

L’ultimo episodio di femminicidio, quello per certi versi annunciato e consumato a Milano ai danni di un’avvenente modella, ad opera del suo incontenibile e criminale compagno, ha suscitato in me un senso di fortissimo sgomento e di pietosa impotenza. A quale brutalità può arrivare un uomo, solo per vendicarsi di essere stato abbandonato da una donna a cui era legato non si sa in base a quale rapporto. Come è possibile che una donna nel fiore degli anni venga brutalmente assassinata, solo per avere deciso di interrompere con un uomo non si sa bene quale rapporto.

Dopo avere interiorizzato queste reazioni istintivamente umane è venuto il momento di profonde e serie riflessioni più pacate e razionali sul fenomeno del femminicidio, estremamente delicato, complesso e tragico: ho cercato cioè di collegare cuore e cervello per impegnarmi a capire più che per dare sfogo alla immensa pietà per le vittime e alla richiesta di pene esemplari per i colpevoli.

Tutti si stanno come al solito esercitando col senno di poi: auspicio di tempestive denunce da parte delle donne impaurite in quanto spaventate da minacce persecutorie e da violenze preparatorie; richiesta di interventi puntuali ed efficaci da parte della magistratura e delle forze dell’ordine; attivazione di strumenti sociali a supporto delle donne coinvolte in situazioni di estremo pericolo per la loro incolumità; presa di coscienza del problema a tutti i livelli per rimuovere il macigno del potere machista perdurante, checché se ne dica, nella cultura odierna. Tutte cose sacrosante da mettere in atto e non da enunciare come pianti sul latte versato.

Bisogna però ammettere che il femminicidio avviene nell’ambito di rapporti pseudo-sentimentali in crisi: andando ad esaminare questi rapporti mi sorgono grosse perplessità, mi colpisce quasi sempre la loro estrema superficialità e contraddittorietà. Forse si basano su tutto meno che sul vero amore: opportunismo, avventurismo, sessuomania, ricerca del successo e del piacere a tutti i costi. Si parte cioè col piede sbagliatissimo e si va quasi inevitabilmente a sbattere in una tremenda fiera degli equivoci: la donna si accorge del nulla esistente nel rapporto, si ribella, tenta di liberarsi dal vincolo; l’uomo non riconosce il fallimento del rapporto, fugge dalle proprie responsabilità, si intestardisce nella orgogliosa difesa di una sorta di proprietà privata con cui identifica la donna. La donna resta ferma nelle sue liberanti determinazioni e l’uomo va alle estreme conseguenze omicide.

Ci sono allora tre livelli di intervento. Il primo riguarda le scelte a monte troppo semplicistiche e i conseguenti rapporti troppo vuoti che si vanno ad imbastire. Sul nulla non si può costruire che il nulla e, si badi bene, un nulla che presenta il conto salatissimo del fallimento umano per entrambi i protagonisti. Un rapporto sentimentale è difficile da costruire comunque, figuriamoci se si parte da (quasi) niente, vale a dire dagli egoistici stereotipi consumistici e mediatici della nostra fasulla società.

Guardando la pubblicità e i talk show televisivi, ma anche tutto l’impianto mediatico, si ricava l’immagine della donna oggetto-erotico e dell’uomo-conquistatore: un assurdo e paradossale equilibrio che porta alla rovina.

Ricordo che, molti anni fa, monsignor Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, durante una conferenza all’aula magna dell’Università di Parma, raccontò di avere scandalizzato le suore della sua diocesi esprimendo loro una preferenza verso la stampa pornografica rispetto a certe proposte televisive perbeniste nella forma e subdolamente “sporche” nella sostanza.

Non credo che il profetico vescovo intendesse giustificare la pornografia, ma volesse allargare il discorso a tutta la peste non fermandosi al solo pur grave bubbone pornografico.  In fin dei conti la pornografia pura si sa cos’è e la si prende e combatte per quello che è, mentre è molto più pericoloso, dal punto di vista educativo e culturale, il messaggio nascosto che colpisce quando non te l’aspetti e senza poterlo apertamente contestare.

Alla pedante immagine della donna più o meno angelo del focolare abbiamo sostituito la pesante immagine della donna più o meno bambola gonfiabile; alla deresponsabilizzante figura dell’uomo padrone abbiamo sostituito o sovrapposto quella dell’uomo a cui non si può dire sessualmente di no.

Il secondo livello di intervento è quello dell’educazione alla sessualità e alla corretta impostazione dei rapporti sentimentali: discorso lungo, fatto a monte con seminagione di principi e valori e a valle con verifiche coordinate e continuative. Qui si è creato un corto circuito educativo fra chi ritiene giustamente irrinunciabile e obbligatorio l’inserimento dell’educazione sessuale nei curricula scolastici e chi mena il can per l’aia sostenendo l’opportunità di acquisire comunque preventivamente il parere vincolante delle famiglie. Certo il ruolo delle famiglie è fondamentale, ma non in conflittualità con la scuola: le famiglie facciano le famiglie, la scuola faccia la scuola ed entrambe le istituzioni collaborino fino in fondo senza riserve mentali provenienti dalle solite insulse preoccupazioni pseudo-religiose verso il sesso.

Il terzo è quello degli interventi (pene esemplari, potenziamento delle polizie, impegno della magistratura, etc. etc.) di cui si parla tanto nell’illusione che possano risolvere il problema o quanto meno contenerlo entro limiti accettabili, evitando il peggio del peggio.

La stigmatizzazione di un certo modo di essere maschio non deve illudere che la soluzione del problema passi dalla criminalizzazione generalizzata degli uomini, così come la vittimizzazione delle donne non basta a salvarle dalla violenza consumistica e da quella omicida.

Certo non si può aspettare l’evoluzione culturale delle nuove generazioni prima di intervenire, né si può pretendere la miracolosa conversione di donne e uomini allo sbaraglio.

Ai problemi difficili non si attagliano soluzioni facili. Ecco perché dobbiamo darci una regolata, altrimenti aggiungeremo agli “inevitabili” (?) bagni di sangue delle guerre e degli infortuni sul lavoro anche quello delle donne vittime predestinate di una società sbagliata nei suoi presupposti sentimentali.