La Guerra Russo-Ucraina ha posto la sinistra nuovamente di fronte al dilemma del come comportarsi quando un paese vede minacciata la propria legittima sovranità. Quanti a sinistra hanno ceduto alla tentazione di diventare – direttamente o indirettamente – co-belligeranti, dando vita a una nuova union sacrée, contribuiscono a rendere sempre meno riconoscibile la distinzione tra atlantismo e pacifismo. La storia dimostra che, quando non si oppongono alla guerra, le forze progressiste smarriscono una parte essenziale della loro ragion d’essere e finiscono con l’essere inghiottite dall’ideologia del campo a loro avverso.
La tesi di quanti si oppongono sia al nazionalismo russo e ucraino che all’espansione della NATO non contiene alcuna indecisione politica o ambiguità teorica. Al di là delle spiegazioni – fornite, in queste settimane, da numerosi esperti – sulle radici del conflitto, la posizione di quanti suggeriscono una politica di “non allineamento” è la più efficace per far cessare la guerra al più presto e assicurare che in questo conflitto vi sia il minor numero possibile di vittime. Significa dare forza all’unico vero antidoto all’espansione della guerra su scala generale. A differenza delle tante voci che invocano un nuovo arruolamento, va perseguita un’incessante iniziativa diplomatica.
Inoltre, nonostante essa appaia rafforzata a seguito delle mosse compiute dalla Russia, bisogna lavorare affinché l’opinione pubblica smetta di considerare la più grande e aggressiva macchina bellica del mondo – la NATO – come la soluzione ai problemi della sicurezza globale. Al contrario, va mostrato come questa sia un’organizzazione pericolosa e inefficace che, con la sua volontà di espansione e di dominio unipolare, contribuisce ad aumentare le tensioni belliche nel mondo. (marcellomusto.org/la-sinistra-e-contro-la-guerra)
Non so se sono un pacifista, so soltanto che, come recita la Costituzione, ripudio la guerra e ritengo che non sia nemmeno da prendere inconsiderazione come strumento estremo di difesa.
Il mio bravissimo medico rifiutava categoricamente di rassegnarsi di fronte al decorso delle malattie e non accettava testardamente il detto “non c’è più niente da fare”. Aggiungeva: “C’è sempre qualcosa da fare…” e lo dimostrava con l’impegno e la dedizione a servizio dei suoi ammalati.
Anche di fronte all’incalzare dei venti di guerra si può e si deve sempre tentare di evitare il ricorso alle armi, che non risolve niente per nessuno. L’azione in favore della pace però non deve limitarsi ed iniziare a valle quando le situazioni sono gravemente compromesse, ma va portata avanti a monte contro le ingiustizie che portano alle guerre.
Quante volte mi sono sentito porre l’obiezione relativa al nazifascismo: non si poteva evitare la guerra per sconfiggerlo! Si doveva e si poteva prevenirlo a livello sociale, politico e diplomatico. Invece si pensò di contenerlo con accordi di potere pazzeschi. Quando finalmente ci si svegliò, era troppo tardi. La Resistenza ha il pedigree in ordine, è credibile in quanto partì a monte come lotta politica e civile contro il regime per poi diventare vera e propria guerra di liberazione. Potrà forse essere una lettura storica piuttosto semplicistica, ma credo che corrisponda alla realtà.
Il discorso si ripropone di fronte al nuovo Stalin/Hitler, che invade l’Ucraina e minaccia l’Europa tutta: molti sostengono, anche a sinistra, che non si possa lasciar fare, rinunciare ad aiutare militarmente l’Ucraina e puntare ad un riarmo difensivo per l’Europa.
Mi chiedo: prima che avvenisse l’invasione è stato fatto tutto il possibile per evitarla? Dopo che è avvenuta è stato fatto tutto il possibile per aprire un fronte diplomatico veramente incidente e consistente? È realistica una incombente minaccia bellica russa sull’Europa o è il modo per rimanere in una sistemica e opportunistica logica di guerra?
Altra obiezione è quella della doppia morale, dei due pesi e due misure: contrari all’azione bellica israeliana contro la Palestina e balbettanti di fronte all’aggressione russa all’Ucraina. I due pesi e le due misure per la verità li sta usando soprattutto il governo italiano molto attivo in favore dell’Ucraina e molto latitante sul fronte israelo-palestinese. Non escludo che possa esistere una certa faziosità pacifista: i macellai sono comunque da rifiutare sdegnosamente e le due guerre in questione sono da aborrire nelle coscienze, nelle piazze e nel fare politica.
Temo che il “se vuoi la pace, prepara la guerra” dei romani, stia diventando il “se vuoi difendere il sistema, rassegnati alla guerra” degli europei (per non parlare degli Usa…).
Ho recentemente ascoltato uno stupendo commento alla famosa e apparentemente paradossale regola evangelica del “porgere l’altra guancia”: non è un’assurda virtù, ma un’assoluta necessità. Tutta la storia dell’uomo lo dimostra. Gesù impone a Pietro di rimettere la spada nel fodero, ma non per questo rinuncia alle proprie convinzioni: durante il processo farsa intentato contro di lui, alla guardia del Sommo Sacerdote che lo schiaffeggia, chiede spiegazioni in modo stringente.
Una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: “Così rispondi al sommo sacerdote?” (Gv 18,22). Questa guardia ritiene irrispettose le parole di Gesù che, diversamente da lui, non accoglie passivamente ciò che gli viene chiesto ma ha il coraggio di interrogare e di rinviare l’altro a ciò che già sa, o può sapere.
Questa è una vecchia storia che purtroppo vediamo tutti i giorni ripetersi: ciascuno esercita violenza sull’altro che ritiene in posizione subalterna o quanto meno svantaggiata, ciascuno si sente grande umiliando l’altro, ciascuno nasconde dietro una maschera di straordinaria lealtà all’autorità il suo piccolo io frustrato, che ha bisogno del leader da difendere per sentirsi consistente esercitando violenza sugli altri.
Ma Gesù spezza, come aveva fatto lungo tutta la sua vita, questa catena di violenza e prepotenza e lo fa usando la domanda come un appello alla responsabilità, alla sensatezza di ciò che diciamo e facciamo: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23). (monasterodibose.it)
Non so se l’essere di sinistra imponga l’essere contrari alla guerra, ad ogni e qualsiasi guerra (per quanto mi riguarda credo proprio di sì!), so che l’essere cristiani, Vangelo alla mano, non consente la guerra se non quella contro l’ingiustizia, la povertà e le discriminazioni di ogni tipo. Qualcuno andrà sicuramente a spulciare nei documenti del Magistero Pontificio e in quelli conciliari per sottilizzare sulle cosiddette guerre difensive (una sorta di ossimoro). Ma fatemi il piacere…
Papa Francesco diceva: «Parlare sempre dei poveri non è comunismo, è la bandiera del Vangelo». Mi permetto di parafrasarlo aggiungendo: «Essere sempre e comunque contro la guerra non è (solo) pacifismo, è cristianesimo».
