Il ben dell’intelletto

«Non siamo i nostri regimi». Comincia così la lettera aperta scritta in persiano, ebraico, inglese e francese da ventuno intellettuali e attivisti iraniani e israeliani «nell’arco di una giornata», come racconta Lior Sternfeld, uno degli autori. In dieci giorni di offensiva i sottoscrittori sono diventati oltre 2.100.

Nella lista figurano la Nobel per la Pace, Narges Mohammadi, il difensore dei diritti umani Mehrangiz Kar, l’ex parlamentare della Knesset, Mossi Raz, e il presidente dell’Accademia delle scienze e delle lettere di Gerusalemme, David Harel.

Con l’attacco Usa a Teheran di domenica, il loro grido di pace si fa ancora più forte. «No, non siamo i nostri regimi. Confondere popoli, Paesi e governi è un grosso errore. Nel caso dell’Iran, poi, data la confusione nelle cancellerie internazionali al riguardo, è macroscopico», sottolinea Sternfeld, docente di storia e studi ebraici alla Penn State University, tra i maggiori esperti di questioni iraniane. L’anno scorso, il docente ha partecipato, a margine dell’Assemblea generale Onu, a una riunione con il presidente Masud Pezeshkian, divenendo il primo cittadino israeliano a incontrare pubblicamente un leader della Repubblica islamica. «Il fraintendimento più grossolano nei confronti di Teheran riguarda l’opposizione interna».

L’opposizione agli ayatollah non solo esiste ma include gruppi consistenti della società. La sua ostilità nei confronti del regime non si traduce, però, nel sostegno agli interventi bellici di Israele e Usa. Gli iraniani non vogliono essere salvati da Benjamin Netanyahu o da Donald Trump. Al contrario: sono consapevoli che la guerra condotta da potenze straniere produrrà danni incalcolabili al proprio Paese. E qui viene il punto cruciale. Buona parte del popolo dell’Iran non ama gli ayatollah ma sì ama – e profondamente – la propria nazione. E non vuole vederla precipitare in una spirale di violenza senza fine, come è avvenuto in Iraq, Afghanistan o Libia. O cadere ancora una volta ostaggio di una dittatura sanguinosa. Hanno sperimentato sulla propria pelle i danni collaterali degli interventi occidentali. (dal quotidiano “Avvenire” – Lucia Capuzzi)

Come si fa a non essere d’accordo con i firmatari di questa lettera aperta? I raid non portano democrazia: così è titolata l’intervista di cui sopra. Esattamente il concetto opposto a quello blaterato da Trump e Netanyahu e subdolamente condiviso dall’Occidente di lor signori.

Visto che abbiamo perso il ben dell’intelletto, meno male che qualcuno ci aiuta a ritrovarlo, non certo nelle opache sedi politiche (al riguardo, la seduta del Parlamento italiano, che non merita più di una trista parentesi, è stata una sfilata di burocrati senza cuore e con poco cervello: di quanto ho sentito salvo l’intervento di Gianni Cuperlo), ma nel pensiero di chi ragiona e di chi soffre.