L’algebra papale

Quali erano i rapporti di papa Francesco con la base cattolica e con la gente in genere? Fra la gente era molto popolare, perché riusciva a sintonizzarsi con l’umore delle persone a cuore e Vangelo aperto: in lui prevaleva l’impostazione pastorale della misericordia.

Le sue difficoltà erano invece sul fronte interno laddove tende da sempre a prevalere l’impostazione dottrinale. Il pensiero di Bergoglio fu chiaro fin dall’inizio: non tendere in maniera esagerata alla sicurezza dottrinale a scapito della misericordia.

In molti, preoccupati di svilire la dottrina, facevano buon viso a cattiva sorte: li sa solo lui i bastoni fra le ruote che gli avranno messo i patiti della tradizione. Gli avevano consegnato una Chiesa disastrata dagli scandali e lui era riuscito a recuperare la fiducia e il consenso, toccando certi nervi scoperti. Siccome faceva male alla carne conservatrice non vedevano l’ora di sbarazzarsene e l’ora purtroppo è venuta. Non mi stupisco quindi del respirone di sollievo tirato da parecchi ambienti cattolici a pieni polmoni prevostiani: finalmente un papa che torna a vestire prada.

Checché se ne dica è stata troppo repentina la presa di distanza dal papato bergogliano: lo hanno archiviato con tanta sospettabile fretta.

Riusciranno le due correnti di cui sopra esistenti nella Chiesa e di cui si deve prendere atto – anziché negarle ipocritamente confondendole nella melassa del vogliamoci bene – a trovare un punto d’incontro? La prima comunità cristiana, dove le diversità di vedute non mancavano, riusciva nel dialogo franco e costruttivo a superare le divisioni, forse perché allora le preoccupazioni “politiche” e gli equilibrismi conseguenti non esistevano.

E la gente? Non ha spina dorsale, è succube dei media e, siccome i media sono immediatamente saltati sul carro del vincitore, anche la gente si è buttata a capofitto su Leone XIV: in fin dei conti, morto un papa se ne fa un altro. Il bagno mediatico si è immediatamente spostato da Bergoglio a Prevost.

Per papa Francesco l’espressione matematica può essere la seguente: più gente meno Chiesa o meglio più misericordia meno dottrina. Come si sa in algebra il prodotto finale è negativo. Non sono bastate le preghiere, che insistentemente Francesco chiedeva, a mutare quel meno di Chiesa in un più di Carità cristiana per tutti. Non so quale sia il risultato finale nelle coscienze: nella mia è stato “scombussolatamente” positivo, papa Francesco mi ha fatto bene!

Per papa Leone: più gente più Chiesa, con il prodotto positivo fin dall’inizio. Il nuovo papa va sul velluto: si dà enorme credito al suo parlare di pace come se il suo predecessore non ne avesse mai parlato.

Mi sovviene una sferzante annotazione di mio padre. Parlava il nuovo allenatore di una squadra di calcio – non ricordo e non ha importanza quale – che aveva ottenuto subito una vittoria ribaltando i risultati fin lì raggiunti. L’intervistatore chiese il segreto di questo repentino e positivo cambiamento e l’allenatore rispose: “Sa, negli spogliatoi ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che dovevamo vincere”. Non ci voleva altro per scatenare la furia ironica di mio padre che, scoppiando a ridere, soggiunse: “A s’ capìssa, l’alenadór äd prìmma, inveci, ai zugadór al ghe dzäva äd perdor”.

Tutto sommato, a tutti, convintamente o distrattamente, interessa più la dottrina della misericordia: la dottrina è fatta di parole che si possono aggirare e formalizzare, la misericordia richiede fatti concreti e ci tiene quindi sulla corda interpellandoci in prima persona.

Non mi convince la tesi secondo la quale il cardinale Prevost fosse e sia il compromesso ai livelli più alti fra dottrina e misericordia. C’era di meglio, penso al cardinale Tagle, che avrebbe inoltre garantito anche la mondializzazione del papato in chiave evangelica e non geopolitica.

Qualcuno sostiene che sia emersa l’esigenza di cambiare l’aria nei rapporti internazionali fra Vaticano e resto del mondo, con la Cina in particolare, forse non per difendere la Chiesa dalle intromissioni di quel regime, ma per fare un favore al trumpismo (boccaccia mia statti zitta!) e pagare un po’ di dazi religiosi agli Usa. Sembra che la candidatura del cardinale Parolin sia scivolata proprio sulla buccia di banana filocinese.

In conclusione, Pietro nelle intenzioni di Gesù, doveva avere la voce rassicurante e riconoscibile del pastore (pasci i miei agnelli e le mie pecore). Mentre per me la voce di Francesco lo era, anche se a volte dissentivo da certe sue linee, la voce di Leone temo di non riuscire a coglierla. Al momento mi sento una pecora senza pastore, salvo cambiamenti nella voce del pastore e nelle mie orecchie.