L’ubriacatura riarmista

«Viviamo in un’era di riarmo». Ursula von der Leyen punta dritta al nodo della questione: il mondo gioca alla guerra e l’Ue si prepara. La presidente della Commissione europea propone perciò un piano per rendere l’Unione a prova di questi «tempi pericolosi», come li definisce lei stessa. Un piano che sarà discusso già tra due giorni, in occasione del vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dell’Ue del 6 marzo, e che snatura l’idea di pace alla base del progetto di integrazione, e che si palesa nel punto tre del piano inviato alle capitali e alle cancellerie di tutta Europa: gli Stati potranno usare i fondi di coesione per spese nel settore di difesa. Non più strade, ponti, ospedali, piste ciclabili, dunque. I fondi strutturali concepiti per rilanciare i territori e appianare i divari come quello nord-sud d’Italia verranno usati per altro. «Rearm Europe può mobilitare quasi 800 miliardi di euro in spese per la difesa per un’Europa sicura e resiliente», spiega Von der Leyen. (La Stampa – Emanuele Bonini)

Non so sinceramente se essere più preoccupato, meglio dire sconvolto, della orrenda piega impressa da Trump ai rapporti internazionali o della reazione avviata in sede europea. Speravo che l’attacco trumpiano potesse servire ad uno scatto di dignità, temo invece che serva a reagire in malo modo, mostrando i muscoli in una sorta di gara bellicista e riarmista. Ci stiamo accorgendo che è proprio quel che desidera Trump? Trascinarci in un vortice senza via d’uscita, diventando politicamente irrilevanti, commercialmente titubanti e strategicamente devitalizzati.

Possibile che l’unica risposta europea debba consistere nell’aumento delle spese militari, in una sorta di conversione da un’economia di pace ad un’economia di guerra? L’industria bellica si sta leccando i baffi e i mercati finanziari ne stanno prendendo atto: le armi le compreremo dagli Usa. La nostra economia soffrirà i dazi commerciali, ma respirerà con i polmoni d’acciaio.

Forse stiamo prendendo troppo sul serio le fandonie americane e ce ne facciamo condizionare. Anziché cercare nel nostro retroterra di civiltà, finiamo col rovistare nel laboratorio americano dell’inciviltà. È il momento di Irrobustire le mani fiacche, di rinsaldare le ginocchia vacillanti, di abbandonare la paura. Non c’è tempo da perdere? D’accordo, ma attenzione all’ansia cattiva consigliera.

I democratici non hanno mai applaudito, i repubblicani hanno consumato mani per applaudire il presidente Trump nel discorso davanti alle Camera riunite in stile Discorso sullo Stato dell’Unione. Una trasposizione dell’America divisa quella andata in scena a Capitol Hill ieri sera. Da una parte i conservatori a sostenere ogni virgola dell’agenda trumpiana, dall’altra gli orfani della presidenza Biden che hanno inscenato proteste mostrando palette nere con le scritte «Musk ruba» o «Falso» alzato ogni volta il presidente diceva qualcosa di poco aderente, secondo i criteri dem, al vero. Dopo pochi minuti è stato cacciato dall’aula il deputato del Texas Al Green che imperterrito ha interrotto più volte il discorso di Trump accusandolo di voler distruggere la sanità pubblica. Tre deputate poi a un certo punto si sono alzate, hanno dato le spalle a Trump si sono tolte la giacca e mostrato una maglietta nera con la scritta «Resist». Poi hanno lasciato l’aula. (La Stampa – Alberto Simoni)

Ebbene, dovremmo avere il coraggio di andare per la nostra strada. Come ho più volte ricordato e scritto, il presidente Sandro Pertini sosteneva, in un ammirevole mix di realismo, patriottismo e riformismo, che il popolo italiano non è né primo né secondo agli altri popoli. Il discorso vale a maggior ragione per il popolo europeo. Non facciamoci quindi prendere dal senso di inferiorità rispetto agli Usa. A tal proposito ricordo una simpatica barzelletta di uno storico personaggio di Parma, Stopàj. Questi, piuttosto alticcio, sale in autobus e, tonificato dall’alcool, trova il coraggio di dire impietosamente la verità in faccia ad un’altezzosa signora: «Mo salä che lè l’è brutta bombén!». La donna, colta in flagrante, sposta acidamente il discorso e risponde di getto: «E lu l’è imbariägh!». Uno a uno, si direbbe. Ma Stopaj va oltre e non si impressiona ribattendo: «Sì, mo a mi dmán la me pasäda!». Gli europei guardano la situazione e la trovano molto, troppo brutta, allora le si rivolgono contro assumendo toni disinibiti da ubriaco per farsi coraggio, con una differenza sostanziale: l’ubriacatura generale non dura solo un giorno, si protrae nel tempo e tutti sappiamo i danni irreversibili che può provocare.