Putost che cédor…limón. Così recita un noto adagio dialettale parmigiano.
Dal palco di Atreju, circa due mesi fa, Giorgia Meloni ha gridato: «Abbiate fiducia, i centri in Albania funzioneranno, fun-zio-ne-ran-no, dovessi passarci ogni notte fino alla fine del governo. Fun-zio-ne-ran-no! Perché io voglio combattere la mafia e chiedo a tutto lo Stato italiano e a tutte le persone perbene di aiutarmi a combattere la mafia».
Non ho sinceramente capito cosa c’entri la mafia, forse alludeva agli scafisti e loro mandanti. Il problema però è un altro: i reiterati stop dei magistrati hanno costituito un’impasse per il governo e allora, per bypassare il pronunciamento della Corte di Giustizia europea, che potrebbe avere tempi lunghi, è allo studio una riconversione nella destinazione di questi centri, inizialmente destinati ad ospitare i richiedenti asilo in attesa delle procedure, che verrebbero invece utilizzati per gli immigrati irregolari già presenti in Italia e su cui pende un decreto di espulsione.
L’operazione, secondo Palazzo Chigi, avrebbe il nulla osta dell’Europa; non ho idea se anche questa destinazione troverà un vaglio negativo da parte dei magistrati.
“Siamo determinati – ha sottolineato la premier – a trovare una soluzione ad ogni ostacolo che appare, non solo perché crediamo nel protocollo ma anche perché rivendichiamo il diritto della politica di governare secondo le indicazioni dei cittadini”.
L’ipotesi che si sta percorrendo è quella di trasferire in Albania non più i richiedenti asilo, ma gli irregolari che hanno ricevuto un decreto di espulsione e sono trattenuti nei Cpr. Ed è proprio sui rimpatri che l’esecutivo è intenzionato a spingere. (ANSA.it)
Tutto considerato, anche e soprattutto gli alti costi dell’operazione, sarebbe stato meglio chiudere la partita, ammettendo gli errori commessi a tutti i livelli. Invece, i centri albanesi fatti uscire dalla porta dalla magistratura, rischiano di spuntare dalla finestra. I tecnici sarebbero al lavoro per superare la situazione incresciosa venutasi a creare.
La vicenda è significativa dell’improvvisazione con cui il governo affronta il tema dell’immigrazione ed è diventata emblematica per il velleitario duro approccio al problema. Il governo ne sta facendo una questione identitaria sulla pelle dei disgraziati, richiedenti asilo o in odore di espulsione.
La testardaggine meloniana sta diventando un dato politico (quasi) ridicolo. La premier intende metterci la faccia, in realtà la faccia la sta perdendo (anzi l’ha già persa).
Putost che cédor…limón. Così recita un noto adagio dialettale parmigiano. Azzardo al riguardo un’interpretazione plausibile: “Piuttosto che ammettere un torto e rimangiarsi la parola… è meglio cavarsela con furbizia”.
Di parole la Meloni se ne sta rimangiando parecchie: un tempo era giustizialista, ora è garantista; un tempo esigeva dimissioni per un nonnulla ora non le chiede se non al povero Sangiuliano; un tempo era euroscettica, ora è europeista convinta (?); un tempo era all’opposizione, ora è al governo. C’è poco da fare le opinioni cambiano…
“L’uomo che non cambia mai la sua opinione è come l’acqua stagnante, e nutre i rettili della mente” (William Blake). Giorgia Meloni prende la scorciatoia, preferisce pestare l’acqua nel mortaio e pensa così di cavarsela nutrendo il camaleonte della sua mente politica. I camaleonti infatti sono dei rettili arboricoli, per la forma, il corpo ricoperto di squame e la cresta che a volte presentano sul dorso sono stati spesso accostati ai dinosauri. Hanno una coda prensile e arti, con dita dei piedi opponibili a coppie, conformati per garantire meglio la presa sui rami.
Sbagliare è umano. Ammettere i propri errori è da grandi. Mettersi in discussione è da persone con cervello (Simona Illiano). “Putost che cédor…limón” (noto adagio dialettale parmigiano convintamente adottato da Giorgia Meloni).