Penso sia utile ricordare che il sistema capitalistico fa correre da sempre la democrazia sul filo del rasoio impugnato da potere economico (monopoli e corporazioni), da potere tecnico (tecnocrazia) e da potere di apparato (burocrazia). Negli ultimi tempi si è inserito anche e soprattutto il potere mediatico che si è peraltro combinato con quello economico e tecnico, creando una miscela di vero e proprio contropotere rispetto alla politica, confinata nel populismo di facciata e/o nella dipendenza sostanziale.
L’aperta intromissione di Elon Musk costituisce la plastica rappresentazione di questo assetto socio-politico che, da una parte, concede al popolo l’illusione di decidere tutto con un voto di mera ratifica dello strapotere del più forte, e, dall’altra parte, sottrae al popolo ogni significativo percorso di incidenza democratica sulle istituzioni politiche ridotte a mera cassa di risonanza rispetto alla combinazione di governo decisa in ben altre sedi.
Il presidente della Repubblica italiana ha descritto in modo molto efficace la rischiosa situazione che sta vivendo la democrazia.
La concentrazione in pochissime mani di enormi capitali e del potere tecnologico, così come il controllo accentrato dei dati – definibili come il nuovo petrolio dell’era digitale – determinano una condizione di grave rischio.
Gli effetti sono evidenti. Pochi soggetti – non uno soltanto, come ci si azzarda a interpretare – con immense disponibilità finanziarie, che guadagnano ben più di 500 volte la retribuzione di un operaio o di un impiegato. Grandi società che dettano le loro condizioni ai mercati e – al di sopra dei confini e della autorità degli Stati e delle Organizzazioni internazionali – tendono a sottrarsi a qualsiasi regolamentazione, a cominciare dagli obblighi fiscali.
Sembra che – come in una dimensione separata e parallela rispetto alla generalità dell’umanità – si persegua la ricchezza come fine a sé stessa; in realtà come strumento di potere molto più che in passato perché consente di essere svincolati da qualunque effettiva autorità pubblica.
A questi fenomeni si aggiunge il timore che si faccia spazio la tentazione di un progressivo svuotamento del potere pubblico. Fino ad intaccare la stessa idea di stato per come l’abbiamo codificata e conosciuta nei secoli.
Un esempio. Lo stato moderno si è fondato sul monopolio dell’uso della forza militare e della moneta. Ebbene, questi due pilastri sono oggi messi in discussione dalla prospettiva di una progressiva privatizzazione del potere pubblico, dall’iniziativa di potenze finanziarie private, capaci di sfidare le prerogative statuali anche su quei due fronti. Proprietari di immense ricchezze che oggi hanno di fatto il monopolio in diversi settori fondamentali. E costruzione di circuiti monetari paralleli, privati.
Chi può garantire che questo trasferimento di potere dalla sfera pubblica a quella privata abbia come fine la garanzia della libertà di tutti? La sicurezza di tutti? I diritti di ciascuno? Il bene comune inteso come bene di ogni persona, nessuna esclusa?
Questa garanzia oggi dipende da una sola condizione: la tenuta e il consolidamento delle istituzioni democratiche, unico argine agli usurpatori di sovranità.
Di fronte a questo invadente e pericolosa azione di occupazione del sistema democratico, il sistema stesso tende ad indebolirsi e a gettare la spugna. Sergio Mattarella ne coglie i gravi sintomi.
Leggo con queste lenti il crescente e preoccupante fenomeno dell’astensionismo, registrato nelle tornate elettorali da diversi anni a questa parte.
Una democrazia senza popolo sarebbe una democrazia di fantasmi.
Una democrazia debole.
È necessario operare per recuperare fiducia, adoperandosi prima di tutto, per ricostruire il rapporto tra persone e istituzioni.
Perché le istituzioni vivono della partecipazione e dell’impegno personale.
È inutile quindi stracciarsi le vesti di fronte allo strapotere di personaggi che non vengono dalla luna, ma dalle porte accanto spalancate sul nostro sistema. V’è chi si illude di strumentalizzare gli ingordi commensali garantendosi comunque il potere di decidere il menù (vedi Donald Trump). V’è chi pensa di lucrare politicamente cibandosi delle briciole che cadono dalla tavola dei Musk (vedi Giorgia Meloni). V’è chi si nasconde dietro lo storico scetticismo del lasciamo fare a chi la sa lunga: sempre meglio un imprenditore, che sa fare il suo mestiere, di un politico, che non sa fare un cazzo (tutti coloro, e sono tanti, che votano non in base al loro portafogli ma consegnandolo a chi dimostra di saperci fare…). V’è chi non vuole avere niente a che fare con un sistema malato e non vuole contaminarsi (tutti coloro che si astengono dal voto e da ogni forma di partecipazione).
Non illudiamoci che prima o poi il binomio Trump/Musk possa rompersi: cambieranno i mugnai e cambieranno i ladri. Non speriamo che Giorgia Meloni si imbrodi con le lodi muskiane: cambieranno i suonatori, ma la musica sarà sempre quella. Non pensiamo che la democrazia abbia gli anticorpi o almeno che riesca a sopravvivere agli attacchi: una democrazia malata e tenuta in vita dai suoi competitor è una prospettiva da esorcizzare.
I discorsi di Mattarella, se non saranno seguiti dall’impegno delle persone e dalla resipiscenza della classe politica, rischieranno di diventare mozioni degli affetti democratici. La certezza di una società in dissoluto bilico si può sconfiggere con l’incertezza di una società in virtuoso cambiamento.